Questo classico del cinema sudcoreano ha anticipato il movimento esploso agli inizi degli anni Novanta e battezzato con poca originalità new wave, di cui Park Chan-wook e la sua iconica trilogia della vendetta sono figli. Aldilà di abusate etichette, la nuova ondata di registi ha coinciso con un nuovo modo di concepire il cinema nei contenuti e nel ciclo di produzione e distribuzione, un cambiamento che riflette una profonda riorganizzazione della società coreana: l’equilibrio faticosamente raggiunto dopo l’allentamento della morsa militare e la compiuta “interiorizzazione” della cultura occidentale, che molto presto, con la fine della guerra fredda e dei suoi blocchi, si sarebbe “evoluta” nel fenomeno oggi noto come globalizzazione.
Il film si svolge intorno alle vicende di due uomini di età diversa, accomunati dallo stesso lavoro di cartellonisti e da una simile sensibilità. Per la loro posizione sociale Chilsu e Mansu sono degli emarginati. La Corea che fa da sfondo alle loro vicende è un paese controllato da un regime militare autoritario e oppressivo, negli anni appena precedenti la transizione verso una democrazia liberale: è la Corea della legge marziale e del defense drill, l’addestramento civile alla difesa che di fatto emargina la popolazione, ostacolandone la mobilità e le attività quotidiane. Nella Seul di Chilsu e Mansu tutti sono potenzialmente emarginati, tutti sono outsider, nel nome di un bene collettivo il cui vero senso stenta a rivelarsi. L’unica libertà concessa ai due lavoratori precari (in tutti i sensi, perché parte fondamentale del loro lavoro consiste nello stare appesi a delle funi, sospesi nel vuoto, per dipingere cartelloni pubblicitari), l’unico loro privilegio consiste nel sovrastare visivamente la città dall’alto, dominarla con lo sguardo, un privilegio che però rivela tragicamente tutte le incongruenze dello spazio e della società, e porterà uno dei due, il più anziano e disilluso Mansu, a prendere una decisione radicale.
La società descritta impone all’individuo regole tiranniche. Il suo governo autoritario, con il pretesto del bene comune e attraverso un accentuato paternalismo (coercitivo e coadiuvato da mezzi militari), sembra perseguire interessi privati e strategie finalizzate alla perpretrazione del potere: una delle figure chiave della storia non a caso è il padre assente di Mansu, condannato a un lungo periodo di prigione – praticamente equivalente all’ergastolo – per reati contro lo Stato. Il problema della disciplina è comune a molte società asiatiche in cui il Confucianesimo, che pone il rispetto reverenziale per i genitori al di sopra di ogni altra virtù, ha messo radici profonde, e il destino di Chilsu e Mansu sembra proseguire sulla falsa riga di quello dei padri. Il mondo esterno si affaccia attraverso i cartelloni da loro dipinti (che più che un prodotto sembrano pubblicizzare uno stile di vita) e le locandine di film di successo del periodo, tra cui si riconoscono Top Gun, Arma Letale, A Chorus Line e Il Padrino. L’America stessa, lontana ma dominante dall’alto e vistosa come le pubblicità, è ridotta a un’immagine normativa il cui accostamento con la realtà storica è problematico, se non critico.
Il finale, in cui ogni speranza è preclusa, ma che resta comunque aperto non svelando niente del possibile destino dei due uomini, rappresenta il culmine di questo dramma dell’ironia, intesa come continuo differimento del significato: i protagonisti in cima a un cartellone vengono scambiati dal basso, dalla città che tutto mistifica, per attentatori (con bombe molotov in mano, ma in realtà sono solo innocue bottiglie) e aspiranti suicidi. Il malinteso è soverchiante, aggravato dalla distanza che non permette alle parti contrapposte – i due amici in alto, e le forze dell’ordine in basso – di comunicare. Suggestionato dalla situazione delirante, ma forse solo consapevole dell’impossibilità di una via d’uscita, “mastro” Mansu salta, senza alcuna rete sociale e materiale sotto di lui (si sposta infatti al lato del palazzo, per evitare la rete di salvataggio sotto la facciata), un gesto paradigmatico e consegnato al futuro anche in virtù del congelamento del fotogramma.
Nonostante le premesse e la conclusione, il film mantiene un tono leggero, quasi da commedia, dove il dramma non è mai enfatizzato e tuttavia scorre sottopelle in modo sottile e persistente, lasciando una sensazione di pacata disperazione. Una caratteristica del nuovo cinema coreano, ciò in cui a mio avviso è racchiuso il valore e l’unicità di tutto il “vero” cinema asiatico in generale, è la possibilità di comunicare con un pubblico internazionale e farsi capire pur ricorrendo a un bagaglio emotivo radicato nella cultura autoctona e non (necessariamente) mutuato da tradizioni occidentali come la tragedia greca o il melodramma romantico. Uno dei momenti più indicativi di questo approccio, che segna il culmine della complicità tra Chilsu e Mansu ma anche il momento in cui tutto precipita, arriva a metà del film, quando i soci escono la mattina presto per reaggiungere il centro della città, sede del loro lavoro, e prendono la bicicletta convertita da Mansu in tandem, pedalando di buona lena su e giù per le strade del sobborgo. Sembrano allegri e spensierati, uno stato d’animo enfatizzato dalla trascinante musica pop-folk di sottofondo, e neanche lo scivolone che li scaraventa per terra sembra compromettere la loro serenità, ma prelude a una caduta peggiore e progressiva, coincidente col precipitare delle rispettive situazioni famigliari e della crisi del lavoro.
La città è un elemento fondamentale, perché la sua divisione in zone rispecchia la polarizzazione della società che segna il film dall’inizio alla fine: il centro blindato e al tempo stesso brillante di vetrine, grandi magazzini, fast food, locali notturni, e il sobborgo semi-rurale, con baracche, case fatiscenti e chioschi; a questa polarizzazione corrisponde un’umanità contrapposta: formalmente impeccabile ma ipocrita e forse anche corrotta l’una (i vari capi dei cantieri, datori di lavoro di Chilsu e Mansu, le autorità e Jina, la ragazza borghese che Chilsu frequenta per un po’), approssimativa e impulsiva, ma anche genuina e generosa l’altra.
Chilsu e Mansu è un esempio di cinema globale nel senso più nobile del termine, perché pur avendo una forte impronta e un orientamento “locali,” con problematiche e modi di affrontarle tipicamente “coreani,” mostra una profonda umanità e una comprensione universale per la natura dell’uomo e la sua sorte nella società moderna, violenta e contraddittoria.
Mariagrazia Costantino
Nato da un'idea di Franco Rina, "Cinema da mare" si riconferma anche quest'anno un successo: un vero e proprio "raduno cinematografico itinerante".
Una modalità di "creare" insolita, che porta ormai da 8 anni, nelle piazze di tutta Italia le opere di questi talenti, che ogni anno accorrono sempre più numerosi, dividono le stesse roulotte e attraversano il paese per portare il proprio bagaglio creativo e crescere professionalmente allo stesso tempo. "Un viaggio che avvalora le opere e le rende uniche, perché create dal gruppo e dalla collaborazione di giovani in movimento"
La maggior parte dei partecipanti del festival sono filmmaker, ma il progetto è aperto anche ad attori, scenografi, costumisti, make-up artist, sceneggiatori, fin'anche architetti, e a tutti gli amanti del cinema che desiderano cogliere la sfida di trascorrere tre settimane o più mossi da quest'unica grande passione per il cinema.
Ma parliamo anche dei numeri della manifestazione:
Lo scorso anno ben 100 partecipanti, da 47 Paesi; 3.800 i chilometri percorsi insieme in 70 giorni; 8 le Regioni italiane. Tutti i i Film vengono girati durante lo svolgimento dell’Evento e la giornata tipo di ognuno si svolge con orari e appuntamenti precisi.
Dalla mattina la sezione “shot on the spot”, gli ospiti del Festival, girano i loro film, costituendo tra loro troupes internazionali (i film vengono girati in una settimana, in modo da partecipare, prima della partenza della “carovana” del Festival per un’altra città, alle nostre 7 weekly competitions).
Nel pomeriggio si discutono e si prendono in analisi, con il contributo del Personaggio/Regista (ospite alla Rassegna) e dei giovani cineasti, i capolavoro della cinematografia italiana che hanno reso grande il Cinema mondiale
In serata invece, nel piazza centrale della città, il Personaggio/Regista in programma, parla al pubblico della città ospitante
argomentando la sua cinematografia e proponendo ai nuovi talenti le possibili soluzioni artistiche che la sua esperienza suggerisce;
Infinevengono proiettati i film in Concorso e subito dopo una "Pellicola" del Cinema Classico ritenuta interessante dal punto di vista tecnico e artistico, aperta al pubblico.
In questi anni tra gli ospiti, volti illustri dello spettacolo hanno portato la loro esperienza al festival, tra questi: Ken Loach, Wim Wenders, Giuseppe Tornatore, Margarethe von Trotta, Bahman Ghobadì, Giuliano Montaldo, Amos Gitai, Vincenzo Cerami, K. Zanussi, Giuliano Montaldo, Theo Angelopoulos, Michele Placido, Mohsen Makhmalbaf, Vincenzo Mollica…e quest'anno il percorso si concluderà direttamente alla "Mostra del Cinema di Venezia"(28 agosto - 11 settembre.)
scadenza del bando: 14/01/2012
L'Associazione Socio Culturale “Frammenti”, organizza la V° edizione del Concorso “FRAMMENTI” riservata ai cortometraggi di finzione, di animazione e di documentazione .Il concorso è a tema libero. Ogni lavoro deve avere durata massima di 15 minuti, inclusi titoli di testa e di coda. Il concorso prevede una sezione riservata alle animazioni tradizionali e digitali
QUOTA DI PARTECIPAZIONE: gratis
link da cui scaricare la documentazione per l'iscrizione:
http://www.assframmenti.com