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Visualizza articoli per tag: horror

IO SONO IL MALE intervista agli autori

Martedì 06 Aprile 2021 13:19
È da poco uscito per GM Libri IO SONO IL MALE, romanzo di esordio di Andrea Cavaletto, già sceneggiatore  per  cinema (Hidden in the Woods, A taste of phobia)  e fumetto (Dylan Dog, Martin Mystère, Zagor, Tex), scritto a quattro mani con l’autrice Lisa Zanardo (Visioni d’amore color lilla, Ogni giorno un nuovo inizio) che da anni si batte perché la sclerosi multipla, malattia di cui è afflitta, trovi sempre più voce. Un lavoro originale per l’Italia che, attraverso il genere dell’home thriller e con enfasi simile a quella del racconto cinematografico, affronta la malattia, vissuta dentro e fuori di noi, e tutte le derive di un amore malato, senza farsi mancare simbolismi magici e ancestrali. Una storia che segna una fase inedita dell’esistenza della stessa Lisa che, attraverso l’alter ego della protagonista Stella, fa un percorso “durissimo, ma altrettanto necessario” capace di riflettere il proprio vampiro interiore perché, alla fine, come sostiene Andrea, “siamo tutti stati dei vampiri psichici, se non contro il prossimo, sicuramente contro noi stessi.”
 
 
Ecco cosa è uscito dall’incontro con gli autori
 
Lisa e Andrea, come vi siete scelti?
LISA: Io e Andrea ci siamo conosciuti per caso su Facebook solo qualche mese prima di iniziare a scrivere “Io sono il Male”. Ricordo che, dopo essere stata colpita da un suo commento in un post di un contatto comune, gli ho mandato una richiesta d’amicizia. Da quel momento abbiamo iniziato a chattare, realizzando fin da subito di avere una sensibilità e una visione delle cose molto affini. All’epoca stava uscendo il mio primo romanzo (“Visioni d’amore color lilla”) e, probabilmente, uno dei suoi innumerevoli lavori! Data la sua esperienza, mi è venuto spontaneo fargli leggere qualcosa di mio. In quei passaggi, Andrea ha riconosciuto uno stile di scrittura e un modo di raccontarsi estremamente compatibile con il suo, e di lì a poco, mi ha proposto l’idea di questo romanzo. Per lui avrebbe rappresentato l’occasione per rompere il ghiaccio con la narrativa tradizionale, realizzando anche il suo proposito di farlo con una storia che vertesse sulla malattia; per me, un valido approccio alla fiction, e l’opportunità di convertire il mio dolore più profondo in un lavoro unico e, al contempo, necessario per la mia vita. E così è accaduto.
 
Avevate un’idea precisa di dove volevate arrivare o la storia si è costruita strada facendo?
ANDREA: Avevamo un'idea ben precisa di cosa volevamo raccontare, ossia una storia di fiction, in specifico un thriller che mettesse a nudo l'ansia che accomuna moltissime persone nei confronti della malattia, sia psichica che mentale. Lisa è riuscita poi a rendere realistico e credibile il personaggio della protagonista, Stella Miani, scavando a fondo nel suo vissuto e nella sua condizione di lotta continua con la sclerosi multipla. Per il resto, in fase di scrittura procedevamo a definire capitolo dopo capitolo, fino ad arrivare al finale che avevamo accordato.
 
Il racconto si presta moltissimo ad una narrazione cinematografica, quanto il cinema e che tipo di cinema ha influenzato il vostro immaginario, in generale, ma soprattutto in riferimento a questo lavoro?
ANDREA: Credo che questa impronta arrivi principalmente da me, essendo che lavoro ormai da più di venti anni nel campo del cinema indie e nel fumetto, ho acquisito una certa formazione professionale che mi facilita nel dare alle mie storie il giusto ritmo cinematografico. Per questo romanzo avevo bene in mente film come Gone Baby Gone e serie TV quali The Affair e Big Little Lies. Ma, nella struttura, si riscontra anche un po' del cinema di Takashi Miike, in particolare Audition.
 
 
Com’è stato approcciarvi all’home thriller, soprattutto per Andrea essendo un genere di appannaggio femminile, ma anche tu Lisa che è il tuo primo lavoro su queste corde?
ANDREA: In fondo l'home thriller è solo un'etichetta commerciale per definire i racconti del brivido contorti e psicologici. Io sono conosciuto per essere particolarmente contorto e psicologico nelle mie storie, e in questo IO SONO IL MALE non mi discosto molto dalle mie tematiche.
LISA: Prima di passare attraverso un approccio metodico e guidato da indicazioni ben definite, la scrittura, per me, si manifesta come un’esperienza del tutto irrazionale. Quando mi sento satura di vita, nel momento in cui avverto quella forza dirompente dibattersi dentro di me, mi siedo davanti al pc e provo a conferirle un ordine, un senso, tramite un utilizzo funzionale delle parole. Detto ciò, per me non è molto importante di quale genere debba scrivere, quanto che senta di poter fare mia l’idea che dev’essere sviluppata, risultando quindi in grado di raccontare una verità. Considero il genere del thriller un’opportunità efficace per parlare liberamente delle zone oscure e delle fragilità insite in ognuno di noi.
 
La magia qui è uno degli elementi essenziali, perché l’avete resa funzionale e che tipo di approccio avete voi personalmente all’esoterismo?
ANDREA: L'esoterismo è un mondo ricco di misteri, e per questo mi affascina tanto quanto la psiche umana e la sociologia. È un elemento fondamentale delle mie storie, un argomento che affronto sempre con la giusta competenza e lucidità, cercando di non banalizzarlo mai. D'altronde, il legame tra magia e psicologia è fortemente interconnesso. Le basi della psicologia e della sociologia derivano in parte dalle scienze esoteriche di maghi e alchimisti del 1500, 1700 e 1800. Interessante e affascinante, no?
LISA: Sono da sempre affascinata da tutte le condizioni umane che non possono essere spiegate attraverso la ragione, perché, nel chiedermi cosa celino, scopro universi interi. Tutte quelle sfaccettature dell’essere umano che, a prima vista, passano inosservate. Approfondirne alcune, e viverle, mi ha arricchita tantissimo.
 
 
I personaggi appaiono anche fin troppo umani, cosa avete ritenuto non trascurabile nella loro caratterizzazione? Che tipo di lavoro avete fatto sulla loro costruzione?
ANDREA: Abbiamo studiato la storia e la psicologia di ogni singolo personaggio, compresi quelli secondari. Perché ciascuno di loro rappresenta un tassello fondamentale della storia e nessuno è messo lì per caso. Personalmente, essendo un individuo molto empatico, mi viene naturale immedesimarmi in tutti loro, cercando di capirne il vissuto e le differenti ferite che, essendo questa una storia sul male, accomunano tutti. Ho cercato di far entrare Lisa nel mio schema di lavoro mentale, essendo meno avvezza alla fiction e più portata a raccontare di sé stessa. Nonostante io sia un pessimo maestro, lei è stata fantastica nel recepire quello di cui i nostri personaggi avevano bisogno.
 
La malattia è un altro elemento portante, come mai avete scelto di renderla così centrale e parlarne proprio in questa chiave?
LISA: Come ho espresso in precedenza, Andrea immaginava che il suo primo romanzo ruotasse proprio attorno alla tematica della malattia per esorcizzare ed elaborare le sue paure a riguardo, e condividere questo prezioso meccanismo. Quanto a me, la faccenda tocca corde un po’ diverse. Cercherò di essere breve (quando dico così, penso che Andrea sospiri alzando gli occhi al cielo…!)
Non si parla quasi mai senza filtri di argomenti scomodi come la condizione patologica. Eppure, nelle rare occasioni in cui qualcuno lo fa, la gente stacca gli occhi da qualsiasi attività e ne è fortemente attratta… perché? Perché sensazioni come il dolore, la paura, la frustrazione, l’impotenza riguardano tutti e, soprattutto, caratterizzano la vita. La vita esiste anche quando è accompagnata da questi stati. Fanno parte di noi SEMPRE. La grande maggioranza delle persone impone a se stessa di chiudersi dentro una zona di comfort che in realtà non esiste, circoscrivendo ed etichettando a parte qualunque cosa potrebbe minarla. Gettare luce sull’esperienza del dolore, affinché la sua conoscenza permetta di integrare a livello sociale e legislativo tutti quanti, è una specie di scopo che porto avanti da una vita. La scrittura mi sta permettendo di farlo in maniera mirata e creativa.
 
Lisa, la protagonista è un po’ un tuo alter ego per certi aspetti, addirittura nella copertina si trova una tua risonanza magnetica, cosa c’è maggiormente di te? E come hai vissuto il parlare di te attraverso di lei?
LISA: Ho ideato Stella fornendole come unico background la mia parte oscura. Quella che coincide col dolore procuratomi dall’avvento della sclerosi multipla, ma non solo. La mia protagonista è il frutto di tutta la sofferenza che ho dovuto mettere da parte per sopravvivere, del dolore che non avevo ancora avuto il tempo e lo spazio per capire ed elaborare. Il momento giusto è stato la stesura di “Io sono il Male”. Scriverlo ha sancito l’inizio di una fase inedita della mia esistenza. È stato durissimo, ma altrettanto necessario.
 
 
L’aspetto psicologico è preponderante quando si affronta il tema dei vampiri psichici. È un thriller vissuto scandagliando le fragilità umane, prima ancora che il peso fisico di una malattia. Quanta espiazione e quanta colpa passano attraverso il concetto di dolore che ci avete raccontato?
ANDREA: Il vampirismo psichico è un argomento che ritengo molto interessante, ed è per questo motivo che ho voluto svilupparlo. Inoltre, credo si possa effettivamente correlare alla malattia, poiché, secondo varie teorie, spesso il male fisico non è altro che una conseguenza di quanto la nostra psiche stia soffrendo. E, tante volte, sono gli altri che ci fanno soffrire, volutamente o meno. Ma, se poi ci guardassimo bene dentro, vedremmo che fondamentalmente i primi a farci e a fare del male siamo proprio noi stessi. Credo che, almeno una volta nella vita, siamo tutti stati dei vampiri psichici, se non contro il prossimo, sicuramente contro noi stessi.
LISA: Attraverso i personaggi di “Io sono il Male" vengono passati in rassegna moltissimi percorsi di dolore che definiscono una vita umana vissuta sinceramente e appieno. Senza risparmiarsi. Sono del parere che esercitiamo e subiamo il vampirismo psichico rispondendo a differenti bisogni ben precisi, che rivelano attitudini ugualmente responsabili. Anche la vittima del vampirismo psichico, in molti casi, all'inizio e nel profondo, sente in che cosa si sta imbattendo. Non può farne a meno, perché ha la necessità di vivere il suo “vampiro" per far affiorare, e sanare, ferite, che, se affrontate, le permetteranno di andare oltre… vero, Stella?
 
Chiara Nucera
 

Corto GALP 2011

Lunedì 14 Novembre 2011 15:13

scadenza del bando: 30/11/2011

Corto GALP 2011 offre la possibilità ai giovani registi emergenti (e non), di partecipare con il proprio cortometraggio alla rassegna cinematografica amatoriale, e di farsi conoscere al pubblico con l'aiuto della G.A.L.P.

- I generi ammessi al concorso 2011 sono suddivisi per categorie: 

Horror (Spiritismo, Satanismo, Fantasmi, Trash, Splatter) 

Commedia (Tema Libero)

Thriller (Tema Libero)

Guerra (Tema Libero)

Fantascienza (Alieni) 

- Non sono ammesse rappresentazioni teatrali, commedie musicali, documentari, drammatico e/o altri generi.


QUOTA DI PARTECIPAZIONE:  gratis





link da cui scaricare la documentazione per l'iscrizione:

http://www.galpitalia.it/concorsi/concorso-corto-galp-2011.html
 

L'HORROR ITALIANO AL FRIGHTFEST DI LONDRA

Martedì 10 Luglio 2012 09:06

Tulpa, il nuovo horror firmato da Federico Zampaglione, sarà proiettato in anteprima mondiale sabato 25 agosto in occasione della dodicesima edizione di uno degli appuntamenti cinematografici più importanti per tutti gli amanti del genere. Il nuovo film di Federico Zampaglione sarà infatti presentato il 25 agosto alle ore 21 all'Empire Cinema di Leicester Square come evento di punta del Frightfest di Londra.  Al festival (23- 27 agosto) saranno presenti alcuni tra i più grandi autori del genere, primo fra tutti il Maestro dell’Horror Dario Argento. 

 
Federico Zampaglione arriverà a Londra per l’anteprima mondiale del suo ultimo film, forte del successo di pubblico e critica del precedente Shadow, l’horror made in Italy più venduto all'estero degli ultimi 10 anni.
 
Il film, girato a Roma e ambientato nel quartiere dell’Eur, è interpretato da Claudia Gerini, Michele Placido, Ivan Franek, Michela Cescon, Crisula Stafida, Giulia Bertinelli e Nuot Arquit, già protagonista di Shadow, che qui interpreta un misterioso guru tibetano gestore dell’inquietante locale che da il nome al film. Il soggetto di TULPA, oltre che di Zampaglione, porta la firma di Dardano Sacchetti, già autore per registi come Dario Argento, Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Stelvio Massi, Mario e Lamberto Bava. La sceneggiatura è firmata dal regista in collaborazione con Giacomo Gensini.  Le musiche sono affidate agli Alvarius, gruppo formato dal fratello di Federico, Francesco Zampaglione e da Andrea Moscianese. 
 
"E' un grande onore e una grande responsabilità al tempo stesso - dichiara il regista - Mi sembra evidente che l'horror italiano stia tornando in primo piano a livello internazionale e cercherò di rappresentare il mio Paese nel migliore dei modi".
 
Prodotto dalla IDF - Italian Dream Factory fondata e diretta da Maria Grazia Cucinotta, il film uscirà in sala distribuito dalla Iris Film di Christian Lelli, Pina Caruso e Alessandra Ibbadu.
 
Redazione
 

Morituris

Sabato 29 Dicembre 2012 21:19

Morituris (dativo di morituri: “per/a coloro che stanno per morire”) rappresenta, forse, uno dei primi mattoncini della ri-costruzione dell’horror movie italiano, lacerato dai limiti economici e da una concorrenza spietata a livello internazionale, a cui spesso soccombe.

Prima ancora della sinossi e delle tematiche affrontate, il punto forte del primo lungometraggio di Raffele Picchio è la qualità di realizzazione, che riguarda tanto la sceneggiatura come la tecnica di regia, toccando anche il comparto degli effetti speciali.

La sceneggiatura, opera del critico cinematografico Gianluigi Perrone, qui alle prima esperienza di elaborazione di uno script, è ben calibrata e riesce a tenere insieme elementi e suggestioni variegate ben cuciti all’interno di un progetto nichilista ed estremo. Il male, infatti, è qualcosa che permea la natura umana informando di sé ogni relazione e situazione. Ed è un male gratuito, immotivato, irrazionale, che non risparmia niente e nessuno annullando qualsiasi posizione valoriale ma anche i classici ruoli di vittima e carnefice. Se all’inizio è la violenza sui corpi femminili a prendere il sopravvento – all’interno di quello che a tutti gli effetti può apparire come un torture porn – gradualmente assistiamo ad un cambiamento di struttura che non capovolge la relazione fra vittime e carnefici ma ingloba tutti i personaggi dentro ad unico universo in cui si ritrovano ad essere ugualmente vittime di violenze atroci da cui nessuno di loro avrà scampo.

La violenza si aggancia, nell’intreccio, alla vendetta, che è qui qualcosa di ancestrale, tale da riportare in vita quei gladiatori che nel 73 a.C., guidati da Spartaco, affrontarono l’esercito romano ed uscirono mentalmente provati da quell’esperienza iniziando una serie di rapimenti e assassini, e che, nelle oscurità di un paesaggio boschivo tanto bucolico quanto terrificante, tornano per sfogare la loro rabbia su un gruppo di ragazzi e ragazze “innocenti”. Va detto che questo spunto di storia antica, che si riallaccia nelle intenzioni degli autori al ben più noto evento di storia italiana contemporanea quale il massacro del Circeo (con citazioni che lasciamo allo spettatore il piacere di trovare), rappresenta solo un elemento utilizzato per costruire un horror movie non eccessivamente attento alla verità storica – non dobbiamo dimenticare che si tratta di un film di genere, volto all’intrattenimento - ma dove la violenza, elemento trainante di qualsiasi racconto horror, è fine a se stessa. Tant’è vero che la ferocia dei gladiatori riesumati si volge contro tutti, senza sublimarsi in una sorta di spedizione punitiva nei confronti degli uomini sadici e violenti.

Dalla sceneggiatura alla resa filmica con mezzi tecnici d’avanguardia - il film è girato con una Red One Digital Camera - e con una meritevole attenzione ai dettagli: i gladiatori tornano alla vita vestiti di elmi ed armature sapientemente costruiti (merito di Tiziano Martella e dei ragazzi della Lewis Carrol) ed assumono tutta la loro carica di terrore grazie alla fotografia e agli effetti speciali di Sergio Stivaletti.

Non mancano alcuni limiti evidenti sia nella costruzione dei dialoghi iniziali che oscillano fra il piano ironico e la banalità estrema, senza raggiungere nessuna forza stilistica, sia nelle scene nella location boschiva, assolutamente poco illuminate, tanto da rendere difficile la visione di alcuni momenti topici. Difetti che in un’opera prima sono ampiamente contemplati e che, ad ogni modo, non disturberanno troppo gli amanti del genere.

Probabilmente leggere l’impianto narrativo del film come una denuncia ad una società onnivora e perversa dove la salvezza non è contemplata in nessuna forma e dove il male conduce solo ad un male ancora più efferato, è un lavoro di ermeneutica non sorretto da nessuna prova. Eppure, sebbene in assenza di morale o di qualsivoglia messaggio di redenzione, sembra palesarsi, fra le righe, la presa di coscienza di una virulenta malattia sociale in cui la legge del più forte è ancora l’unica a sopravvivere. Le urla straziate delle protagoniste stanno lì a ricordarcelo.

 

Elisa Fiorucci  

 

vedi http://www.fuoritraccia.eu/recensioni/item/299-versipellis

Spider Baby Or, The Maddest Story Ever Told

Giovedì 01 Novembre 2012 17:09

Tanti effetti digitali e spesso poche idee. Non si può dire che tutto il cinema fantastico attuale, soprattutto quello horror, sia riassumibile in queste poche parole, ma probabilmente si può dire che il genere abbia vissuto tempi migliori, come lo testimoniano i tanti, troppi, remake che hanno invaso le sale negli ultimi anni. Una death valley di ispirazioni che riflette un orizzonte culturale apatico, in cui tutto sembra essere stato già detto e in cui regna un immaginario piatto, maldestramente camuffato con una tridimensionalità spesso posticcia. Ecco la ragione per cui, andando a scavare nel cinema del passato, diventa improvvisamente più facile trovare delle piccole pepite dove tanti anni fa si pensava di riuscire a trovare solo sassi. Quello che state per leggere è un omaggio a un vecchio film, del quale solo recentemente è stata realizzata una versione in dvd per l'Italia, che merita di essere recuperato.

 
Un libro. Un sedicente “Dizionario delle malattie rare e bizzarre”. Così veniamo a conoscenza della terribile “Merrye Syndrome”, che causerebbe una progressiva regressione fino a una condizione precedente alla nascita. Una sorta di bestialità “pre-umana”, caratterizzata da violenza feroce e cannibalismo. Il nome di questa involuzione deriva da quello dell'unica famiglia nella quale sia stata mai riscontrata: quella dei Merrye. Una premessa abbastanza macabra per un film horror. Tuttavia, molto meno ingenua di quanto possa sembrare: un caso di autentica crisi schizofrenica analoga è riportato in un libro del celebre psichiatra Ronald David Laing, The politics of experience [La politica dell'esperienza], scritto nel 1967, tre anni dopo la realizzazione di Spider Baby. E un soggetto  curiosamente simile lo ritroveremo poi nel capolavoro di Ken Russell del 1980, Altered States [Stati di Allucinazione], che sembra unire la “sindrome dei Merrye” con alcuni elementi del lavoro di Laing (psicosi, espansione della coscienza, sperimentazione psichedelica) e con gli studi sulla deprivazione sensoriale condotti da John Cunnigham Lilly. Singolari interconnessioni (involontarie) per quello che, in fondo, rimane un “semplice” exploitation movie dal budget quasi inesistente, girato in sette giorni e uscito sul grande schermo solo quattro anni dopo, nel 1968, a causa del fallimento del suo produttore. I toni da commedia nera, del resto, sono chiari fin dai fantastici titoli animati di testa, cantati dallo stesso  protagonista Lon Chaney Jr. (non sarebbe sufficiente solo questo per vedere il film?), sulla falsariga di Monster Mash, tormentone pop-horror del 1962. Ma sarebbe ingiusto liquidare in questo modo una pellicola che, a ben vedere, offre parecchi spunti di riflessione.
La storia è incentrata su un tòpos molto diffuso nell'iconografia horror: la famiglia degenerata, alveare di follia psicotica e violenza incontrollabile. L'abbiamo vista in tante salse: dalla versione televisiva più innocua della Addams Family  e dei Munsters, passando per film come The bad seed [Il giglio nero, 1956, consigliato], Mumsy, Nanny, Sonny & Girly [1970, anche questo caldamente consigliato], fino a The hills have eyes [Le colline hanno gli occhi, classicone del 1977] o American Gothic [La casa degli orrori - American Gothic, 1988], ma la lista completa sarebbe lunga.
E la famiglia Merrye, nell'originale “Merrye family”, giocando sull'assonanza con un'espressione che si potrebbe tradurre con “allegra famigliola”, di allegro ha ben poco: due giovani sorelle psicopatiche e assassine, una delle quali, Virginia, va in giro camminando come un ragno a caccia di insetti. E di uomini. In più, un terzo fratello di poco più grande, affetto da totale demenza, completamente incapace di esprimersi se non a gesti e latrati. Una sorta di bambinone che si comporta come un animale, la cui eccitazione sessuale può scatenare improvvise reazioni bestiali. Ma la casa, se si ha il coraggio e l'incoscienza di esplorarla, nasconde segreti ancora più inquietanti. Come inquietanti sono le analogie che si possono cogliere fra uno degli omicidi perpetrati nel film dalla “Merrye family” e l'omicidio autentico  dei coniugi LaBianca, realizzato solo un anno più tardi dall'uscita nelle sale di Spider Baby da  un'altra cosiddetta “family”: quella di Charles Manson. Uno dei peggiori incubi della borghesia USA appena risvegliata dalla rivoluzione lisergica. Sembra chiudersi così il cerchio che lega curiosamente il film a Laing,  Lilly e Russell: follia omicida, regressione psicologica e abuso di LSD. Senza contare che “creepy crawling” non è solo un'espressione che si adatta bene a descrivere i movimenti di un ragno, o di una ragazzina che si comporta come tale, ma è anche il modo con cui gli appartenenti al gruppo di Manson chiamavano le loro incursioni notturne nelle ville delle famiglie perbene di Los Angeles. 
Non mancano poi importanti rimandi cinematografici. Il film paga un immancabile tributo a Psycho e sembra proprio essere una fonte di ispirazione per The Texas chainsaw massacre [Non aprite quella porta, 1974], insieme ai fatti di cronaca del famigerato Ed Gein, che a sua volta è stato fonte di ispirazione anche per Psycho. Ancora una volta, tutto sembra tornare. È in questo capolavoro di Tobe Hooper che si raggiunge uno dei livelli più sublimi della famiglia malata e assassina (no, non avevo dimenticato di citarlo nella lista, aspettavo solo il momento giusto), sicuramente una delle più amate dai fan dell'horror.
Il film è scritto e diretto da  Jack Hill, autore anche di famosi blaxploitation come Coffy e Foxy Brown. Hill, fra l'altro, è stato compagno di classe alla UCLA di un certo Francis Ford Coppola. Ah, ed entrambi sono stati apprendisti di Roger Corman. Una garanzia. 
Una scorpacciata di gufi, tarantole, orecchie mozzate, personaggi con improbabili baffi alla Hitler, follie, deformità e tante connessioni per assidui cinefili e aspiranti psiconauti. Un classico a cui non si può resistere. Come è impossibile resistere all'invito di Virginia: “would you like to play spider with me?”.
 
Marco Pisano
Ai blocchi di partenza la XXXVI edizione del FANTAFESTIVAL (Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico), diretta da Alberto Ravaglioli e promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Regione Lazio e l'Assessorato alla Cultura di Roma Capitale con la Roma Lazio Film Commission e realizzata in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia e con il museo del videogioco VIGAMUS. Una kermesse più ricca che mai con anteprime esclusive, eventi speciali, retrospettive, incontri, dibattiti e sezioni competitive, con il solito e prezioso occhio di riguardo nei confronti del cinema indipendente italiano e dei suoi giovani autori, nonché una mostra d’eccezione. Oltre cento le opere presentate fra lungometraggi e cortometraggi, provenienti da ogni parte del mondo e per il primo anno in collaborazione con la Roma Lazio Film Commission un Focus speciale sul cinema di genere sudamericano, grazie al gemellaggio con il Festival Blood Window. Tra i film selezionati l’ossessivo rape&revenge “Luna de miel” di Diego Cohen (2015 Messico) e l’horror “Downhill” (2016 Cile) di Patricio Valladares. 
 
 
 
Sarà Luigi Cozzi, regista, sceneggiatore e scrittore di fama nel campo della fantascienza e dell’horror, con la sua nuova opera in anteprima mondiale in versione integrale "Blood on Méliès' Moon" (2016) ad inaugurare la manifestazione mercoledì 13 luglio al Multisala Savoy di Via Bergamo, 25. Firmata con lo pseudonimo "Lewis Coates", la pellicola vede il suo ritorno alla regia dopo 27 anni. Nel film, in cui il regista è anche protagonista nei panni di sé stesso, anche altri nomi noti dell’horror italiano, come Lamberto Bava e Antonio Tentori con i quali Cozzi ha collaborato nella sua carriera, iniziata fin dalle origini del fandom fantascientifico italiano negli anni ‘60. Tra gli altri titoli di questa edizione, “German Angst” (2015 Germania) di Jörg Buttgereit, Michal Kosakowski e Andreas Marschall, morboso horror ad episodi tedesco e “Vampyres” (2015 Spagna) di Victor Matellano. Remake dell’omonimo film di José Ramon Larraz, la pellicola, basata sulla storia di due vampire, mescola horror e sensualità. Nel cast anche Caroline Munro, attrice inglese icona del cinema horror degli anni ‘70. Non poteva mancare un omaggio al grande regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense Wes Craven ad un anno dalla sua scomparsa (30 agosto 2015). Un evento speciale che vedrà la proiezione del cult “Scream” a 20 anni dalla sua uscita e altre sorprese ad arricchire la serata. 
 
Per quanto riguarda i film indipendenti italiani, la sezione Panoramica Italia presenterà, come da tradizione, numerosi titoli firmati dai registi emergenti del cinema nostrano. Tra questi “The Blind King” (2016) di Raffaele Picchio (regista del censurato “Morituris” 2011) e “Alienween” (2016) di Federico Sfascia, horror dai toni demenziali e con un’effettistica splatter volutamente esagerata. Da non perdere gli horror ad episodi “Catacomba” (2016) di Lorenzo Lepori e Roberto Albanesi (scritto da Antonio Tentori, autore di sceneggiature per Lucio Fulci, Bruno Mattei e Dario Argento) e “Sangue Misto” (2016), ideato e curato da Davide Scovazzo, esperimento originale di 8 registi in 8 città italiane con 8 gruppi etnici differenti e 8 storie all' insegna dell'horror. 
 
Da segnalare tra i tanti cortometraggi selezionati nella sezione Fantacorti, “Varicella” di Fulvio Risuleo, cortometraggio vincitore del premio per il miglior corto della Semaine de la Critique durante il Festival di Cannes del 2015.
 
Dal 18 al 24 luglio il Fantafestival si sposterà nell'affascinante cornice dell'isola Tiberina dove la manifestazione verrà ospitata da L’Isola del Cinema. Una settimana da non perdere dedicata ad una programmazione speciale all’insegna del miglior cinema di genere e ad una serie di incontri gratuiti - organizzati in collaborazione con l’associazione culturale Nel Blu Studios - dedicati a Star Trek, nell’anno in cui si festeggia il 50° anniversario e in contemporanea con l’uscita nelle sale dell’ultimo film Star Trek Beyond diretto da Justin Lin con Chris Pine e Zoe Saldana. Gli incontri sono organizzati con il patrocinio dello Star Trek Italian Club (STIC) e il contributo della Banca di Credito Cooperativo di Roma. Inoltre, dopo il fortunato connubio con la RAI dello scorso anno nella serata “Il fantastico prodotto dalla RAI”, quest’anno si prosegue sulla stessa scia con “Il fantastico prodotto da Mediaset” che vedrà la proiezione presso lo spazio CineLab de L’Isola del Cinema mercoledì 20 luglio alle 22:00 di 3 episodi della serie TV “Il tredicesimo Apostolo” interpretata da Claudia Pandolfi e Claudio Gioè e andata in onda su Canale 5 tra il 2012 e il 2014.
 
Tanti i premi: i Pipistrelli d’Oro (al Miglior Cortometraggio Italiano, al Miglior Cortometraggio Straniero, al Miglior Lungometraggio Italiano e al Miglior Lungometraggio Straniero), e il Premio “Mario Bava”, dedicato alla memoria del maestro italiano del fantastico e assegnato alla Migliore Opera Prima tra i film italiani selezionati.
 
Due gli eventi speciali del Festival:
1. MOSTRA PERSONALE “LUCTUS IGNIS” di Mariano Baino, pluripremiato regista e sceneggiatore partenopeo residente a New York. 
Per la prima volta a Roma, in esclusiva per la trentaseiesima edizione del FANTAFESTIVAL, in mostra una serie di opere originali di Mariano Baino insieme a bozzetti preparatori per le sue opere cinematografiche. La mostra presenta ricreazioni di pagine di libri perduti e grimori segreti, ottenute attraverso l’uso del fuoco e dell’acqua scrupolosamente applicate alla superfice di disegni a matita, carboncino o inchiostro: una galleria di inquietanti creature da incubo e studi anatomici che sembrano condotti da un naturalista che ha trovato una scorciatoia per accedere alle parti più remote degli inferi. 
 
2. LA REALTA' VIRTUALE AL FANTAFESTIVAL. Vigamus, il museo del videogioco, il primo museo italiano interamente dedicato al videogioco, metterà a disposizione degli ospiti del Fantafestival due postazioni di realtà virtuale. Un’esperienza unica per i visitatori del Multisala Savoy che potranno provare l’ebbrezza di indossare un visore Oculus Rift e scoprire che cosa vuol dire immergersi nel mondo virtuale del proprio videogioco preferito e osservarlo dagli occhi del protagonista!
 
Tutte le informazione nel dattaglio disponibili sul sito http://www.fanta-festival.it/home/

The Boy

Martedì 07 Giugno 2016 22:09
Diretto da William Bren Bell, giovane regista statunitense al suo quinto film Horror, The boy è un classico pieno di cliché che intrattiene più che spaventare. Greta Evans (Lauren Choen) viene assunta come baby sitter da una coppia di anziani inglesi.  Mister e Mrs. Heelshire (Jim Norton e Diana Hardcastle) vivono in uno spettrale maniero vittoriano nel bel mezzo del nulla, tuttavia questo non spaventa la ragazza a cui servono soldi. Il primo giorno di prova le vengono illustrati i suoi compiti: durante il soggiorno della coppia all'estero dovrà badare a Brahms, l'adorato cocco di casa, viziato come pochi, non vuole essere mai lasciato solo, desidera ascoltare la musica classica ad altissimo volume e il bacio della buona notte prima di addormentarsi.  Nulla di troppo impegnativo considerando che Bramsy non è un bambino, ma una bambola di porcellana. A detta della "madre" il signorino ha "licenziato" tantissime baby-sitter prima di lei. Greta inizialmente teme di approfittarsi di una coppia di pazzi ma a buon cuore accetta le condizioni. Rimasta sola come da contratto, comincia a sentire il peso della solitudine, fino a  quando nella sua vita entra l'uomo delle consegne, Malcom (Rupert Evans) il bravo ragazzo che non ha mai avuto e...le cose cominciano ad accadere. La bambola è davvero viva? è uno spettro? è il figlio che Greta non ha mai avuto? le domande si susseguono. La risposta è nei film di genere. Il film è costato (solo!) 10 milioni di dollari, ed è stato girato a Victoria nella Columbia Britannica presso il "vero" castello di Craigdarroch. Lauren Choen è tra le protagoniste della serie AMC The Walking Dead, diventata famosa per il ruolo di Meggie Greene sopravvissuta nell'apocalisse Zombie, qui se la cava con qualche sguardo allibito da manuale. L'accudire come un bisogno primario, gli errori del passato che si riversano sul presente, classici riproposti ancora con al centro il fascino e l'inquietudine delle bambole di porcellana, incubo di molti, passione e oggetto di culto per il collezionisti. L'originalità sta nel fatto che Brahms non rafigura un bambino, ne un bebé, ma un ragazzo di vent'anni w che a differenza di Chucky (Child's play - 1988 ) non è esteticamente brutto e rattoppato ne vecchio e sporco come la Annabelle dello spinoff di The Conjuring (2013) è un'oggetto di ottima fattura a prova che un feticcio di un bambino può essere inquietante anche senza un graffio. 
 
Francesca Tulli

Blair Witch

Venerdì 16 Settembre 2016 09:49
La storia della cittadina di Blair affonda le radici nel lontano 1771, data della sua fondazione.  Per circa dieci anni questo luogo prosperò offrendo una vita tranquilla ai suoi abitanti fino a quando nel 1785, accadde un evento che destabilizzò completamente l’inerzia quotidiana. Una donna fu accusata da alcuni individui di stregoneria e barbaramente condannata a morire all’interno della foresta collocata a ridosso della città. Da quel momento, a Blair si verificarono episodi funesti, quali la scomparsa e la conseguente morte  di tutti coloro che avevano accusato la donna. A distanza di anni, la foresta rimase un luogo permeato da una fitta coltre di mistero, continuamente alimentato dalla presenza di manifestazioni avverse ed inspiegabili.  Il giovane James conosce bene la storia della Foresta di Black Hills all’interno della quale, sua sorella Heather circa venti anni prima è tragicamente scomparsa assieme a tre suoi amici mentre girava un documentario su quel luogo intriso di leggende. Di loro nessuna traccia, solo il ritrovamento di un filmato angosciante che lascia una traccia enigmatica. Assieme a tre amici, James deciso nel voler trovare delle risposte alla scomparsa della sorella, si avventura all’interno della foresta munito di videocamera e drone, allo scopo di documentare ogni aspetto rilevante. Dopo essersi accampati tra i fitti e lugubri alberi della foresta, i ragazzi saranno testimoni di eventi minacciosi, che li porteranno a comprendere l’entità dell’errore che hanno commesso nel varcare il confine di Black Hills. 
A 17 anni di distanza dal primo capitolo diretto da Daniel Myrick, si torna al cinema con il sequel Blair Witch diretto da Adam Wingard per approfondire quella storia che ha originato una nuova generazione di horror addicted, quella terrorizzata da luoghi quali i boschi. Un vero e proprio fenomeno globale, che nell’oramai lontano 2000 incassò milioni di dollari divenendo un record nel settore dei found footage movie. Il regista americano Adam Wingard ( You’re next, The Guest), era uno dei tanti ragazzi che in quel periodo affascinati dal film si introducevano con in mano una videocamera all’interno di fitti boschi alla ricerca della strega di Blair, filmando scherzosamente delle parodie. Stavolta Wingard torna dietro la macchina da presa lasciandosi alle spalle le parodie, realizzando un sequel degno di nota, capace di giocare alla perfezione con l’ angoscia dello spettatore, e con le sue paure inconsce.  Blair Witch gode di una struttura ben architettata in grado di coinvolgere anche lo spettatore che non ha avuto modo di vedere il primo capitolo. La leggenda viene qui ripresa, ma approfondita e condita di nuovi elementi che conferiscono una maggiore realisticità e tensione ad un film che stavolta intende svelarci qualcosa in più. Se sperate nel poter finalmente scrutare la figura della strega che tanto ha tormentato migliaia di spettatori, pazientate perché qualcosa verrà segretamente palesato.  Tra gli aspetti interessanti di questa pellicola che vi terrà sul filo del rasoio è da sottolineare un sapiente uso del sistema audio, cadenzato da stacchi improvvisi e bruschi capaci di alimentare uno stato di pura angoscia. Una tensione che il regista sceglie di canalizzare verso un piano molto più coinvolgente rispetto al primo capitolo. Si temporeggia molto meno in Blair Witch, privilegiando l’azione e il movimento, rischiando però di invadere un po’ troppo il terreno del videogioco. Nell’ultima sequenza del film, vengono estremizzati tutti i punti nevralgici delle tensione, trascinando lo spettatore in un vero e proprio incubo claustrofobico, che viene tuttavia gestito in modo eccessivamente compulsivo e movimentato. Il film è da considerarsi nel complesso un’opera valida, che sa agghiacciare e coinvolgere lo spettatore, come raramente accade. 
 
Giada Farrace
Bianca Fase 2, secondo cortometraggio realizzato dal musicista e regista Federico Zampaglione durante l’emergenza da Covid-19, continua con successo gli ottimi riscontri già ricevuti dal primo, trasformandosi immediatamente in un piccolo fenomeno mediatico.
La sola presentazione in anteprima dello short sui social network di Tiromancino e del cast, Giovedì 28 Maggio 2020 alle ore 22.00, ha registrato circa 100000 contatti accompagnati da migliaia di commenti entusiastici.
 
 
Un risultato a dir poco sbalorditivo, considerando che l’horror italiano non gode più di tale notevole visibilità dai tempi della sua ormai da anni tramontata golden age, sebbene Shadow e Tulpa – Perdizioni mortali – diretti dallo stesso Zampaglione – abbiano riscosso grandi consensi sia in patria che all’estero, considerati dagli appassionati come una vera e propria rinascita del filone.   
 
“Bianca: la fase 2 del Re dell’horror” titola Nocturno Cinema, il più prestigioso magazine italiano per quanto riguarda la celluloide di genere, a proposito del cortometraggio, co-sceneggiato da Gianluigi Perrone (Morituris) e interamente realizzato dallo stesso Federico Zampaglione utilizzando un solo iPad.
 
Con influenze dai film di paura giapponesi proto-The ring e dal gotico italiano anni Sessanta di Mario Bava e Antonio Margheriti, Bianca Fase 2 si svolge in un apparentemente tranquillo parco romano e vede protagonisti Linda Zampaglione, Giglia Marra, Giulia Chermaz e Marco Chermaz (parenti del regista), vantando anche la partecipazione straordinaria di Claudia Gerini.

Autopsy

Mercoledì 08 Marzo 2017 13:41
L'universo horror ha lungamente esplorato il mondo dei morti per mezzo di pellicole più o meno riuscite. In molti hanno trattato le esperienze post mortem e l'agghiacciante fenomeno della resurrezione degli esseri non vivi, più noti come zombie. Tuttavia pochi lavori di questo genere hanno sapientemente intrapreso la strada del mondo legato alla medicina legale. La figura del cadavere suscita un naturale senso di sgomento in quasi tutti gli esseri umani, conducendo di conseguenza ad uno stato di terrore e ribrezzo. La presenza di numerosi cadaveri contorna sovente l'atmosfera di cimiteri o obitori, ambienti che affascinano per la lugubre caratteristica di essere attorniati dalla morte. Ed è proprio all'interno dell'obitorio Tilden che ha inizio la macabra vicenda narrata dal regista norvegese André Ovredal al suo debutto cinematografico in lingua inglese. Tommy Tilden (Brian Cox)  è un medico legale che esercita da moltissimi anni e che gestisce assieme al figlio Austin (Emile Hirsch) un obitorio collocato proprio al piano inferiore della propria abitazione. Padre e figlio lavorano in simbiosi e con molta passione, un affiatamento che permette loro di vivere e lavorare nel massimo dell’equilibrio mentale. Un giorno lo sceriffo del posto arriva con un caso piuttosto particolare, si tratta del cadavere di una giovane donna in perfetto stato e apparentemente illeso rinvenuto nel seminterrato di un’abitazione protagonista di una scena del crimine. I due dovranno fare i conti con un episodio alquanto anomalo e incongruente, infatti sebbene il cadavere presenti una condizione esteriore di perfetta conservazione, all’interno di esso gli organi sono estremamente danneggiati se non addirittura vessati. Tutti gli elementi a disposizione rimandano ad una morte lenta, dolorosa, procurata da efferrate torture, tuttavia l’impossibilità che queste ultime non abbiano minimamente danneggiato l’involucro esterno pone al centro del caso sempre più interrogativi e perplessità. Nel frattempo fenomeni oscuri avvengono all’interno dell’obitorio, Tommy e Austin Tilder avranno ben presto a che fare con qualcosa di molto più lugubre di uno strano cadavere. Autopsy si presenta come un horror molto diverso, lontano anni luce dalla snervante serialità degli splatter o delle pellicole capaci solamente di saziare il grande pubblico e lasciare a bocca asciutta i veri amatori del genere. André Ovredal realizza un’opera in cui non si rinuncia a tensione e momenti raccapriccianti, ma dove si cerca di canalizzare in modo ricercato il climax proprio nella gestione della suspence. Una prima parte molto particolare e coinvolgente permette di entrare entusiasticamente in un ambiente agghiacciante e allo stesso modo conturbante, quale l’obitorio. La coerenza nell’indagine svolta dai due medici sfiora la perfezione creando un raro momento di curiosità misto a terrore. Autopsy è un film ben realizzato che gode di un ottimo cast, ma che fa della propria forza in maggior misura la capacità di bloccare lo spettatore in uno stato di trepidazione, in cui nulla viene goffamente riposto nel limbo della banalità. 
 
Giada Farrace
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