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W Zappatore

Sabato 16 Marzo 2013 23:30 Pubblicato in Recensioni

L'inizio è di quelli folgoranti e volutamente spiazzanti: una siringa al fianco del protagonista, un metallaro sdraiato sul water, ne fa immediatamente ai nostri occhi un tossico, risvegliato dalle urla della madre che lo sta chiamando. In realtà quella che sembra una pera appena sparata in vena è attesa dalla chiappa della genitrice scalpitante che sta reclamando l'iniezione che il povero figlio dovrebbe farle.Marcello Zappatore (nei panni di se stesso), è un chitarrista heavy metal che passa le sue giornate in quel di Lecce tra la sua band, una fidanzata che non lo ama (e che preferisce il  ruggente cantante del gruppo) ed un facoltoso quanto giovanissimo amico con gli stessi gusti musicali. Un bel, brutto giorno Marcello inizia a sentire un prurito al costato che preluderà ad una ferita, la quale presto si rivelerà essere una stimmate. Ripudiato per questo dai suoi colleghi musicisti, senza riuscire ad incontrare il conforto della fede, troverà rifugio presso una nonna ancora sprint (Sandra Milo) e la fiducia in una nuova band...

W Zappatore è la prova tangibile che per realizzare un film, in particolare nel nostro paese, serve sì qualche soldino, ma occorre soprattutto una buona idea. Girato tre anni fa e passato per numerosi festival, nasce da un lungo lavoro portato avanti dal regista Massimiliano Verdesca grazie al contributo dell'emittente MTV sul singolare e schivo musicista Marcello Zappatore, dando origine nel 2005 al cortometraggio In religioso disagio. W Zappatore parte così da un originale e strampalato accostamento, le stimmate sul corpo di un apatico musicista metal, per sviluppare una pellicola davvero unica ed interessante. 

A completare l'opera non mancano alcune ciliegine sulla torta, quali una regia molto curata (che tradisce un budget non proprio esilissimo), una necessaria visionarietà e soprattutto l'azzeccata scelta di Guia Jelo nella parte della madre bigotta, quella di Monica Nappo per la fidanzata incolore e, last but not least, la fondamentale presenza di Sandra Milo nel ruolo della nonna.

A metà tra i primissimi film di John Waters (Pink flamingos) ed i lavori cinematografici e televisivi di Ciprì (e Maresco) – anche se Verdesca cita come muse ispiratrici i film sui Leningrad Cowboys girati da Aki Kaurismäki e Napoleon Dynamite di Jared Hess - W Zappatore è un film assolutamente insolito nel panorama italiano, proponendosi come raro esempio di commedia grottesca. Una gemma da non perdere e da riscoprire.

 

Paolo Dallimonti

 

 

L'Italia si racconta

Sabato 16 Marzo 2013 22:47 Pubblicato in News

Un’iniziativa per portare finalmente il cinema documentario in un importante circuito distributivo: L'Italia si racconta, rassegna organizzata da Anec Lazio e Luce-Cinecittà che porta 6 titoli recenti di cinema del reale programmati per la prima volta in contemporanea in 17 sale di Roma e del Lazio.

A partire dal 5 marzo, ogni primo Martedì del mese, un film sarà proiettato in tutte le sale aderenti, in più spettacoli e con possibilità di repliche nei giorni successivi e presentazioni degli autori, al prezzo di € 3,50 a biglietto.

Una nuova occasione di visibilità per il cinema documentario che troppo spesso non trova diffusione presso il pubblico delle sale e nei palinsesti televisivi, con il rischio che film di qualità rimangano invisibili.

 

I 6 film documentari della rassegna, già selezionati nei più importanti Festival nazionali, disegnano un ritratto in movimento dell’identità italiana, intrecciando attualità e memoria; con racconti che parlano di migrazioni, lavoro, guerre, storie individuali e collettive dimenticate e ritrovate, storie di cinema. Filo rosso, la memoria per capire meglio il paesaggio mutevole e variegato della realtà in cui viviamo. Un’iniziativa che propone un primo passo verso un modello nuovo di sinergia tra la distribuzione e l’esercizio, con l’intenzione di estenderlo presto ad altre regioni e altri schermi del territorio.




Programma della rassegna



TERRAMATTA; di Costanza Quatriglio – 2 APRILE
Vincenzo Rabito, bracciante siciliano classe 1899, analfabeta. Due guerre mondiali, il fascismo, la sopravvivenza per sé e per i figli. E, in segreto, la scrittura di un’autobiografia di oltre 3000 pagine, divenuta un caso letterario.


L’ULTIMO PASTORE di Marco Bonfanti – 7 MAGGIO
Renato Zucchelli, l’ultimo pastore, invade con il suo gregge il centro inaccessibile di una metropoli. Una favola moderna che parla di libertà, del valore del tempo, e dei sogni.


MONICELLI La versione di Mario di Mario Canale, Felice Farina, Mario Gianni, Wilma Labate, Annarosa Morri – 4 GIUGNO 
Con i suoi film ha descritto personaggi indimenticabili. In questo film Monicelli descrive se stesso. Un ritratto trascinante e commovente, la vita e i film di un semplice genio che con i film ha raccontato la vita.


IL CORPO DEL DUCE di Fabrizio Laurenti – 2 LUGLIO
La storia di un corpo: per vent’anni anni il più osservato, fotografato, ripreso, inneggiato; dopo la morte, occultato e nascosto per 12 anni. Una vicenda clamorosa e ancora poco nota.


HITLER E MUSSOLINI – L’operà degli assassini di Jean-Christophe Rosé – 6 AGOSTO
Si sono inseguiti, amati, controllati, ingannati. Hanno condiviso l’ascesa, la morte, e la catastrofe finale. Per la prima volta integralmente a colori, un’indagine su un’amicizia impossibile, e sulle sue tragiche conseguenze.

 

Bianco

Giovedì 07 Marzo 2013 09:40 Pubblicato in Recensioni

Un uomo bendato, legato ad un letto, in un luogo indistinto. Si apre così, dopo alcune immagini fotografiche di paesaggi d’incanto ed una voce femminile fuoricampo che rimbalza nel letto di acque calme, il primo lungometraggio di Roberto Di Vito. Che ha un solo obiettivo: realizzare il racconto “di un sequestro di persona, di una situazione di attesa irrisolta ambientata in un non luogo”. Con una sceneggiatura ridotta all’osso, basata essenzialmente sui moti dell’animo del protagonista, il film si costruisce a partire dai continui flashback rivolti alla sua vita precedente al rapimento e da una serie di immagini a cavallo fra la realtà e il sogno che rivelano tutta la sua fragilità psichica.

Etichettato come thriller, il film contiene soltanto alcuni rimandi a tale genere ma sviluppa un racconto intimo e psicologico che lo allontana da qualsiasi codificazione. Le minacce esterne, mai esasperate da un clima di terrore o di suspance, lasciano infatti il posto al crogiolo di paure e nodi irrisolti che popolano la mente del protagonista, intrappolato, già prima del rapimento, da barriere invisibili ed insormontabili, in un limbo di sopore che testimonia una sorta di paralizzante inettitudine alla vita. “Ho avuto sempre troppa paura, paura di tutto, anche quando tornavo a casa da solo”. L’immobilità a cui è costretto dai suoi rapitori non è che la prosecuzione di quello stato di torpore che egli ha sperimentato nella vita. Quella stessa immobilità è una sorta di pausa dal mondo che gli permette di elaborare i desideri mai realizzati, le paure laceranti, un anelito alla sperimentazione sempre frustrato.

Il colore bianco diventa contemporaneamente metafora di purezza e freddezza, nel limbo algido che intrappola il protagonista in una vita pensata anziché vissuta. Bianca è anche la mascherina utilizzata per i passaggi dalla realtà ai voli onirici e dalla prima ai ricordi: un velo che segna lo stacco e contemporaneamente il morbido fluire indistinto dalla realtà oggettiva alla realtà come specchio della percezione individuale.

Sperimentale e “transgender”, corredato da una buona fotografia e da spunti di sicuro interesse (peraltro ripresi da un corto omonimo girato dal regista nel 2010), il film non può tuttavia dirsi riuscito né sul piano della realizzazione tecnica né su quello della narrazione. Se a ciò aggiungiamo una performance attoriale di basso livello che, eccezion fatta per il protagonista, non risparmia nessuno, non possiamo esimerci dal valutare Bianco come un esperimento di video arte che fa un passo avanti rispetto alla formula più semplice del corto (di cui Roberto di Vito ha solida esperienza) ma non arriva alla completezza di un lungometraggio. Lasciando, tuttavia, degli spiragli alle possibilità espressive di un regista che, con coraggio e passione, cerca di farsi strada nel magma caotico delle produzioni indipendenti.


 

Elisa Fiorucci

La Patente

Lunedì 04 Marzo 2013 11:21 Pubblicato in Recensioni

Sotto la struttura di una corale commedia brillante storie di personaggi diversi si intrecciano tra di loro, pretesto che li unisce: conseguire la patente di guida nell'onnipresente location di un'autoscuola molto romana, gestita da personale decisamente bizzarro.

In questo giovane e indipendente prodotto italiano convergono vari spunti interessanti, spesso forniti dalla freschezza, anche se stereotipata, di alcuni tra i protagonisti che incarnano i classici archetipi molto discutibili. Eccoci presentata una trans brasiliana eccentrica e prosperosa, un ragazzino timido e impacciato alla scoperta del sesso, il coatto romano che sa come cavarsela con le donne in ogni occasione, un trentenne confuso sulla propria identità sessuale..

Il tutto gioca forte proprio attorno al tema della sessualità nelle sue varie declinazioni, intesa come un tabù da dissacrare anche attraverso un processo di acquisizione di una propria identità sessuale e di genere. Ogni battuta ha infatti spesso e volentieri una doppia chiave di lettura, quando non si fa propriamente esplicita.

Tutto ciò e molto altro fa di questo lavoro del materiale non originale e non sfruttato attraverso le sue numerose potenzialità, dove una recitazione spesso sottotono e una regia molto casalinga non aiutano ad innalzare i toni della narrazione, rendendola idonea a convincere a pieno lo spettatore.

 

Chiara Nucera