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29 Lug

La Shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico

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Vincitore del premio Limina 2011 come miglior testo italiano di studi universitari sul cinema, il libro di Andrea Minuz affronta la controversa questione dell'indicibilità dell'Olocausto e la sua rappresentazione al cinema; il genocidio degli ebrei è a tutti gli effetti parte di una memoria collettiva.

Minuz, docente di cinema presso la Sapienza di Roma, il DAMS di Bologna e l'Università del Molise, è già autore di saggi e monografie, tra cui Dell'incantamento. Hitchcock, Bergman, Fellini e il «motivo dello sguardo» (2009) e Friedrich Wilhelm Murnau. L'arte di evocare fantasmi (2010). In questo libro sviluppa un progetto di ricerca estremamente complesso che raccoglie le suggestioni di un pensiero contemporaneo orientato alla messa in discussione dei concetti di indicibilità e irrappresentabilità del genocidio (in particolare le teorie di estetica filosofica di Theodor Adorno, George Didi-Huberman, Pietro Montani, Jacques Rancière, Jean-Luc Nancy), in riferimento alle formule di finzione e modalità simulative del racconto cinematografico.

Pertanto l'autore si avvale di un'analisi di materiali eterogenei legati all'immaginario mediatico dell'Olocausto e all'«uso pubblico della storia» che film come Schindler's List di Steven Spielberg, Il diario di Anna Frank di George Stevens, Shoah di Claude Lanzmann, Notte e nebbia di Alain Resnais, La vita è bella di Roberto Benigni o Inglorious Basterds di Quentin Tarantino chiamano in causa o mettono in discussione.

Il problema del paradigma dell'impossibilità di narrare, rappresentare e, soprattutto, visualizzare il trauma storico fa i conti con le innumerevoli declinazioni delle sue formule espressive, nei canoni di una cultura pop che si configura come un archivio di paradossi estetici. Il campo d'indagine è estremamente variegato: dai pattern visivi del Monumento agli Ebrei di Peter Eisenman a Berlino al Museo dell'Olocausto del Washington Mall; dalle componenti naziste nel cinema erotico-pornografico degli anni Settanta alle esperienze di web art e installazioni, la Shoah è parte integrante di un immaginario e di una cultura visuale che annovera, come in un archivio parallelo agli archivi di documenti storici veri e propri, tutta una serie di registri espressivi diversificati, tra l'iconoclastia e l'epica, che mobilitano narrazioni di grande successo popolare, come il melodramma, e che elaborano differenti politiche della memoria, dai problemi identitari all'esperienza del Trauma, dall'istituzionalizzazione del tema alla sua contestata portata narrativa e spettacolare.

Attraverso la complessità della ricerca estetica e visiva in un panorama di controversie etico-sociali, il testo di Minuz affronta il discorso del cinema dell'Olocausto attraverso gli strumenti metodologici delle prospettive culturaliste e dei Visual Studies, offrendo un panorama molto ampio ed estremamente originale ad un campo d'indagine poco studiato in Italia e fornendo un background di riferimento bibliografico ricco e molto esauriente.

A. Minuz, La Shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico, Bulzoni editore, Roma, 2010, 222 pp (ISBN 978-88-7870-513-5)

Rossella Catanese

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