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08 Feb

My Favorite things: la vita degli artisti ai tempi del Coronavurus

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È Iniziato il percorso festivaliero di My Favorite Things, diretto da Daniele Tullio.
 
Con otto mesi di lavorazione e riprese effettuate durante il periodo del lockdown dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19, My Favorite Things ha l’obiettivo di raccontare le condizioni di vita durante la quarantena di chi l’arte la esercita come professione, e che ha quindi visto fermare ogni forma di attività in campo artistico e culturale e, di conseguenza, il proprio lavoro. Il documentario narra la capacità di reagire, le difficoltà, le speranze, i desideri di persone che non si rassegnano. Donne e uomini, artisti comuni, speciali a proprio modo. 
 
 
Realizzato con riprese in parte dal vivo e in parte a distanza attraverso il contributo della prima Web-serie girata ai tempi del Coronavirus, The ZoomRoom, scritta e diretta da Ettore Belmondo, My Favorite Things racconta la pandemia attraverso smartphone, videocamere, strumenti di registrazione video improvvisati. 
 
My Favorite Things, inoltre, è stato supportato per la produzione esecutiva e la registrazione sonora dall’associazione La Voce in Maschera, nell’intento di documentare il realismo esecutivo ridotto all'essenzialità nella sua originalità acustica. Infatti, la sfida dello staff audio è stata quella di valorizzare l'ambiente performativo en pleine air, supportando una post-produzione audio che potesse rispettare il più possibile il “documento storico”.
 
“My favorite things è un documentario intimo e universale al tempo stesso, un racconto in cui sia gli artisti che il popolo possono rispecchiarsi. L’Hastag #iorestoacasa non ha movimentato solamente i professionisti del settore, ma anche tutti coloro che hanno voluto sfruttare questo momento per trovare una creatività fuori dall'ordinario. Ciò che appare innovativo e straordinario per la maggior parte della popolazione è invece occasione di sconforto e denuncia da parte di chi l’arte la esercita per professione” – afferma il regista Daniele Tullio, che per l’occasione si è soffermato non tanto sugli artisti famosi, i grandi nomi, che sono una minoranza all’interno del sistema dell’arte, quanto invece sui lavoratori comuni già in difficoltà, spesso costretti a lavorare a progetto, sotto tirocinio con contratti brevissimi e, il più delle volte, a chiamata o in nero – “Il mondo dell’arte è quello che per primo ha risentito della quarantena forzata: Live negli stadi, cinema, Enti Lirici, Festival, Accademie, scuole di Musica ad oggi sono tutti bloccati. Di conseguenza, quasi quattrocentomila lavoratori non vedono più un futuro, lo sforzo ad oggi è quello di restare in piedi più di altri, di non diventare ‘Invisibili’, all'interno di questa continua instabilità economica e sociale”. 
 
Il progetto mira a restituire il senso “positivo” della cultura e, grazie alla sinergia degli enti coinvolti, si apre fin da subito al panorama internazionale partecipando a diversi festival, tra i quali LiftOff Global Network FirstTime Filmaker Session (Londra) Standalone Film Festival (Los Angeles) American Golden Picture International Film Festival (Jacksonville USA) e Varese International Film Festival, arrivando in Finale alla selezione del Kosice International Film Festival (Slovacchia) e del Trailer FilmFest (Milano); vincendo il premio come miglior Trailer al Praga International Film Festival e quello per il miglior documentario al Virgin Spring Cinefest (Kolkata, India).
 
Valentina Venturi ne ha scritto su Il Messaggero: “In quasi un’ora di immagini e montaggio serrato, si rivivono da spettatori le emozioni e le sensazioni che tutti abbiamo provato sulla nostra pelle”.

 

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