Terzo capitolo della zombie saga di Danny Boyle, che continua a portare la sua autorialità nel genere e a voler percorrere una strada alternativa, a lui più congeniale, rispetto alla totalità delle distopie odierne.
Passati 28 anni dal primo capitolo, la situazione della Gran Bretagna è ormai in una cronica quarantena, con il resto del mondo che è riuscito a respingere il virus e i sopravvissuti inglesi abbandonati al loro destino.
In questo punto della saga si vuole ignorare volutamente quanto successo nel secondo episodio, il punto più basso della trilogia, per ripartire verso nuove direzioni e un ciclo di storie ambientate in questa landa infetta. È in un’isola delle Highland scozzesi che vive il giovane protagonista Spike (Alfie Williams), in una comunità autosufficiente, che si è salvata dall’infezione perché l’unico collegamento con la costa è facilmente difendibile: una sottile striscia di terra percorribile solo con la bassa marea, per 4 ore al giorno.
L’occasione della sua prima caccia, al di là di questa strada sicura, gli darà modo di vedere coi propri occhi il terrore che ha sconvolto il resto del Paese decenni prima, cancellando una realtà che per lui è esistita solo nei racconti del suo villaggio.
Questo capitolo manca ovviamente della forza di rottura del capostipite, che nel 2002 fu uno dei primi a soffermarsi sulla condizione in cui versano le persone mentre affrontano uno sconvolgimento tale. Le conseguenze sulle proprie vite sono anche e soprattutto morali, con istinti animali che prendono il sopravvento su una civiltà ormai sempre più morente.
In un contesto consolidato, ad anni di distanza dall’evento pandemico, tuttavia, il motore principale del film deve essere necessariamente altro, e la scelta di un giovane protagonista alle prese con il suo percorso di formazione funziona bene. Nelle scelte e negli occhi del ragazzo troviamo quell’umanità che la malattia ha portato via al resto della popolazione, costretta a vagare in una rabbia inesauribile. Ma anche attraverso gli altri personaggi, i genitori (Aaron Taylor-Johnson, Jodie Comer) e il Dott. Kelson (Ralph Fiennes), riviviamo situazioni di un’epoca ormai dimenticata, andando oltre la potenza di una natura che ha preso il sopravvento, e la ferocia di creature un tempo governate dalla ragione.
Il suo più grande merito tuttavia è quello di osare ancora di più. Nell’immaginario scritto da Alex Garland non mancano scene molto importanti anche dal punto di vista simbolico. Nel suo piccolo cerca di dare nuovi significati a temi universali come il miracolo della vita o, ancora di più, all’ineluttabilità della morte, in un contesto dove la sua presenza è forse l’unica costante nella difficile esistenza dei suoi protagonisti. Lo sceneggiatore ormai è a suo agio nel creare parentesi così significative, basti pensare al recente Civil War, e i tanti momenti che rimangono impressi riguardano comprimari che in un qualsiasi altro esponente del genere farebbero solo la figura della carne da cannone. Qua tutto occupa un suo posto, certi anche un posto d’onore, in cima, a rimarcare la solennità che un gesto d’amore deve essere salvato e preservato anche nelle peggiori circostanze.
Ma questo è un film che merita al di là delle tematiche, perché oltre a far riflettere ha un ottimo ritmo, intrattiene e diverte.
Quando Boyle accelera, regala scene ad alto tasso di adrenalina, in un un montaggio frenetico ma sempre molto chiaro e intellegibile. Svariate sequenze lasciano appesi in una tensione palpabile, mentre a schermo non manca il gore e la violenza. Mai per caso, però, perché anche una testa strappata con la sua spina dorsale ancora attaccata ha un ruolo nell’economia dello spettacolo offerto.
È con un gran ritorno ai film di genere che Boyle decide di riaprire un capitolo cominciato 25 anni fa, con questo ottimo primo passo e un seguito diretto già pronto, che a questo punto non vediamo l’ora di gustare. La speranza poi è che il successo di questi possa ispirare il ritorno alla saga di Cillian Murphy, per una chiusura del cerchio che sarebbe proprio perfetta.
Omar Mourad Agha