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05 Mag

HUNGER

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E infine arrivò in sala. Anche nel nostro Belpaese. Merito di “Shame” forse e quindi del regista londinese di origine africana Steve McQueen o del “bel” Michael Fassbender attore sulla cresta dell’onda, chissà. Forse di entrambi visto che la coppia è la stessa del capolavoro della scorsa stagione. Resta il fatto che “Hunger” nel 2008 ebbe un ottimo impatto al 61° Festival di Cannes dove il giovane regista ricevette l’ambitissima Camera d’Or. Ad “Hunger” venne riconosciuta con questo premio giustamente la straordinaria padronanza del mezzo da parte dell’autore, convinto di poter raccontare una storia già celebrata ma non dal punto di vista mediatico e nemmeno storico bensì “portando” gli occhi dello spettatore a vivere l’esperienza fisica e spirituale durissima, drammatica ma anche liberatoria che Bobby Sands nel 1981 decise di condurre a oltranza fino alla propria estinzione lasciandosi morire per inedia non toccando più nessun alimento per 66 giorni consecutivi.

Steve McQueen addirittura per una lunga parte iniziale, circa un terzo del film, nemmeno lo fa vedere Sands. Non serve allo scopo del suo film. Preferisce seguire (e mai verbo è stato più calzante) con la mdp uno dei carcerieri del Maze il “labirinto” di Long Kesh. Questo Raymond Lohan addirittura è protagonista della scena, perché il dolore costante alle mani, le nocche insanguinate hanno una chiara spiegazione. Per i repubblicani irlandesi dell’IRA che arrivano agli H-Blocks voluti dalla signora Tatcher la segregazione è un inferno. Non ci sono diritti umanitari li dentro, ne tanto meno un riconoscimento politico. Sono considerati terroristi a tutti gli effetti. E l’unico “indotto” mediatico del film scelto dal regista sono proprio due scarni, surreali comunicati della Iron Lady alla radio: la ascoltiamo parlare di “criminali” mentre per l’ennesima volta Steve McQueen ci porta a percorrere i corridoi del Maze e lasciare i nostri occhi e il nostro cuore sulla negazione totale dei più elementari diritti di un detenuto.

La forma di protesta in questo momento, prima ancora dell’entrata in scena di Bobby Sands, è quella del “Blanket Protest” ovvero del rifiuto dai parte dei detenuti dell’uniforme carceraria e quindi di restare nudi con una sola coperta di lana a protezione del freddo e la “Dirty Protest” quasi un’artistica forma di tingere le pareti delle celle con i propri escrementi e inondare i corridoi del Maze con le proprie urine.

La dose di violenza alla quale assistiamo seguendo Lohan è inaudita e si incrocia con l’arrivo in carcere del giovane detenuto Davey Gillen. Davey dividerà la cella con un altro detenuto repubblicano dissidente, Gerry Campbell. Questi gli insegnerà un minimo di difesa e soprattutto come convogliare la protesta attraverso Bobby Sands il leader dei detenuti dell’IRA al Maze, capace nei modi più stravaganti di far uscire dal carcere il proprio pensiero e le proprie poesie. Ma le forme di protesta non stanno ottenendo alcun risultato anzi inaspriscono la repressione all’interno del carcere e fuori sul movimento.

E’ proprio in questo momento storico (siamo nel marzo del 1981) e del film che tutto cambia.

Decisiva l’idea di McQueen di “appoggiare” la mdp su un tavolo ed osservare da un solo lato, con un magnifico unico piano sequenza, il colloquio fra Bobby Sands e Padre Dominic Moran durante il quale Sands comunica la decisione di portare fino in fondo uno sciopero della fame per smuovere l’opinione pubblica e soprattutto per far capire al governo inglese che per la libertà si è decisi a morire: "Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l'Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista". (cit. dal libro “Un giorno della mia vita”)

È una scena fondamentale per molti aspetti. Perché si entra nella storia ufficiale ma anche personale degli irlandesi occupati. Perché si parla di strategia politica ma anche di estrazione sociale e culturale. E poi perché da questo momento Sands (attraverso un magnifico momento di recitazione da parte di Fassbender) acquisisce la sua dimensione storica e spirituale. Se all’inizio del colloquio il prete dimostra una certa baldanza e facilità alla battuta alla fine resta ammutolito, spiazzato e arreso alla decisione estrema del detenuto. Infine la scena è drammaturgicamente di svolta perché da questo momento scompare la violenza. Lasciamo il Blocco-H per entrare nel reparto ospedaliero del carcere. C’è luce ora nella stanza, il pulito e il bianco prendono possesso della scena e da ora in poi affioreranno sempre di più i momenti dei ricordi, di poesia vera, di senso di libertà e di avvicinamento totale a Madre Natura che si appresta a riabbracciare Bobby. Questa d’altronde è anche l’unica via di fuga dal quotidiano deperimento per Bobby Sands. Lo assistiamo e lo sosteniamo in questa via crucis. Anche noi respiriamo meglio quando verso la fine dei 66 giorni sempre più forte e nitida ritorna la presenza del giovanissimo Bobby che corre a perdifiato per i suoi boschi e lungo i suoi fiumi. Con i genitori di nuovo vicini. Fino all’ultimo respiro.

A fronte di questo percorso non un solo momento di falso pietismo ci viene indotto dal regista che non si perde certo a mostrare le centinaia di manifestazioni che pur ci sono state all’esterno in quei giorni, in Irlanda come nel resto del mondo. Non una scena tratta dai giornali o dalle televisioni. Non una del funerale ne delle celebrazioni. Steve McQueen non esce dal Maze ma resta con Bobby e noi con lui.

Assolutamente intimista, scarno, intenso e meraviglioso fino alla fine. Come il miglior Bresson o Dardenne. E raccontare la Storia, quella degli eroi delle giuste cause senza cadere in questo trabocchetto è un merito non da poco.

Per concludere vorrei ricordare che come per una magica coincidenza il mio commento al film “Hunger” visto ieri sera, avviene proprio nell’anniversario della morte di Bobby Sands.

Era il 5 maggio 1981. Io avevo già 22 anni e qualche eccesso di idealismo era già rientrato ma la figura di Bobby Sands e del suo martirio mai, nemmeno per un solo momento, mi hanno abbandonato in tutti questi anni. E che un film così bello sia stato realizzato sulla sua vicenda, beh questo mi commuove e gli rende giustizia.

Marco Castrichella

(hollywood - tutto sul cinema)

 

  • Regia: Steve McQueen
  • Paese: Gran Bretagna, Irlanda 2008
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 96 min
  • Cast: Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon.
  • Valutazione: 5

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