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22 Ott

Mentre il grande cantante del passato Fausto Mieli (Gianni Morandi) si appresta al ritorno sulle scene, dopo anni trascorsi in ritiro forzato nella sua elegante villa presso un paesino sull'appennino ad accudire la moglie Moira (Valeria Bruni Tedeschi) gravemente malata, due operai arrivano da Roma per dei lavori di rimodernamento del lussuoso fabbricato, i fratelli Cosimo (Valerio Mastandrea) ed Elia (Elio Germano). Accolti con freddezza dalla chiusa comunità degli abitanti locali, i due saranno la valvola di sfogo per pulsioni e rancori mai sopiti che esploderanno in tragedia...

Edoardo Gabbriellini, che molti ricorderanno al proprio esordio attoriale come protagonista di Ovosodo di Virzì, torna al cinema dietro la macchina da presa dopo il debutto con l'incerto B. B. e il cormorano avvenuto nel 2003. Ed è un ritorno in grande stile, che si accompagna ad un'altra rentrée, quella di Gianni Morandi sul grande schermo. Già si è parlato del suo ruolo - lui, nella vita vera, buonissimo fino all'inverosimile - come quello di un villain senza scrupoli, ma, visto il film,si può dire che il suo personaggio è "semplicemente" un cinico, come molti uomini di spettacolo che, quando il telefono non squilla più, per reciperare un po' di gloria non esiterebbero a vendere la propria madre. 

Il problema dell'opera seconda di Gabbriellini è che, con un quartetto di buoni attori principalmente da commedia, compreso il cantante di Monghidoro, cui ha affidato dei personaggi sempre da commedia, sulla carta interessanti, si disperde concentrandosi fin troppo sulla tematica anti-leghista dei "padroni di casa" che non vogliono rotture di scatole nel loro territorio e dello straniero invasore. Ed invece di un film di critica sociale e di costume nella tradizione di Monicelli o Risi - la vicenda di Mieli ricorda, a ruoli invertiti, quella interpretata da Orietta Berti ed Ugo Tognazzi ne "L'uccellino della Val Padana", episodio de I nuovi mostri - ambisce pretenziosamente ai toni della tragedia ed ai lidi del cinema d'autore, in questo probabilmente sostenuto da uno dei produttori (e a sua volta regista dagli echi pasoliniani), Luca Guadagnino. Ma non è aiutato nell'operazione da una regia e da una scrittura acerbe, che motivano il minimo indispensabile le svolte narrative, rendendo il tutto poco riuscito e digeribile, ancor prima che scarsamente credibile, facendo così della pellicola un'occasione sprecata.

Curiosità: l'orecchiabile hit di Mieli dalle splendide sonorità anni sessanta, "Lascia il sole", per inciso una delle cose migliori del film, è stata scritta da Cesare Cremonini.

 

Paolo Dallimonti

 
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Risulta sempre estremamente difficile vomitare un giudizio schietto rispetto ad un film appena visto che, per una ragione o per l’altra, emerge dal panorama piatto di una cinematografia nazionale decimata dai tagli al comparto culturale. Da una parte si vorrebbe applaudire il regista per aver proposto un discorso che riprende temi di attualità, mescolandoli con suggestioni personali e con un cast che sorregge degnamente tutto il film. Dall’altra si ravvisano in maniera evidente alcuni elementi che ci lasciano intuire tutta la strada che manca al regista giovanissimo per forgiare un suo stile, distintivo e maturo.

Come lo stesso Gabbriellini ci ha suggerito, Padroni di casa è un film sulla paura: la paura dell’altro, del diverso, la paura di scoprirsi indifesi e sprovveduti di fronte a ciò che non conosciamo, ed infine la paura che esplode spesso sotto forma di violenza, non trovando altre vie per esprimersi ed essere accolta. Nel momento in cui i fratelli ed imprenditori edili Elia e Cosimo (Elio Germano e Valerio Mastrandrea) fanno irruzione nell’universo chiuso del piccolo paese dell’Appennino tosco-emiliano, claustrofobico e crudele come la Dogville di Von Trier, l’apparente tranquillità locale viene letteralmente sconvolta. Non c’è bisogno di introdurre lo straniero e l’immigrato di turno per palesare la diffidenza e la conseguente chiusura difensiva; l’alterità è personificata da connazionali con un accento diverso i quali, in situazioni capovolte, avrebbero probabilmente attuato allo stesso modo. In questo senso il contesto, sganciandosi da referenti concreti, esprime l’universalità del discorso presentato; è un luogo come un altro, un non-luogo, la cui scelta è stata dettata semplicemente dalla provenienza geografica di uno degli attori.

Gli altri temi che popolano l’universo di Padroni di casa - l’alienazione di una generazione senza passato né futuro, la malattia come vergogna da nascondere, il successo come valore fondante dell’esistenza - trascendono infatti la determinazione geografica per abbracciare alcune spie della società contemporanea che riflettono, in modo differente ma intimamente connesso, quel sentimento di paura che informa di sé, talvolta inconsciamente, molte nostre azioni.

Esorcizzare la paura mettendola in scena, dunque, ed accompagnare lo spettatore all’interno di un racconto che parte con toni comici, prosegue con momenti di forte tensione, per concludersi drammaticamente. Una costruzione non originalissima ma ben sostenuta, controllata da una regia salda, da un montaggio consapevole e da una recitazione sempre funzionante. Qualche falla sembra fare capolino nella sceneggiatura, soprattutto in concomitanza con i momenti finali in cui alcune forzature e una certa inverosimiglianza, forse funzionale all’epilogo, prendono il sopravvento conducendo alla spedizione punitiva contro gli estranei, punto di snodo della tragedia finale. Ma il dubbio si inficia soprattutto in relazione alla dinamica della seconda coppia che imbastisce il discorso filmico, quella di Fausto e Moira (Gianni Morandi e Valeria Bruni Tedeschi). Se, da una parte, emerge in maniera fin troppo evidente lo sfinimento del marito costretto a rinunciare alla sua carriera da cantante per accudire la moglie affetta da una malattia invalidante, dall’altra la relazione fra i due mostra un’intrinseca debolezza nei dialoghi mancati e nell’insufficiente esplicitazione del sentimento di paura che anche in questo caso non permette una reale comunicazione fra due esseri umani.

Nonostante questa mancanza, rimane il tentativo riuscito di mettere in scena alcuni tratti della nostra società eludendo una loro rischiosa semplificazione a fini spettacolari e cucendo un racconto che procede più per indizi che per arroganti posizioni valoriali, in linea con certo cinema contemporaneo che si fa osservatore partecipante della realtà che riproduce. E che ci chiama in causa in quanto membri di quella stessa realtà.

 

Elisa Fiorucci

 

 

  • Regia: Edoardo Gabriellini
  • Paese: Italia 2012
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 90'
  • Cast: Valerio Mastandrea, Elio Germano, Valeria Bruni Tedeschi, Gianni Morandi, Alina Gulyalyeva, Mauro Marchese, Francesca Rabbi
  • Valutazione: 3
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