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29 Ott

Le migliori cose del mondo

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Il rito del passaggio, della presa di coscienza della propria sessualità, è di solito il tema attorno a cui ruotano migliaia di teen movie che costellano l’universo cinematografico mondiale.
Data questa enorme mole di pellicole è veramente difficile immaginare qualcosa di nuovo che deve fuoriuscire faticosamente dai sentieri già battuti. Generazioni di registi, muovendosi tra alberi di mele e graffiti americani, hanno continuato a seminare in questo terreno sempre fertile e fecondo, abituandoci ad un certo tipo di scenario che risulta sempre più visto e rivisto.
Lais Bodanzky è l’autore di questo ennesimo tentativo di raccontare la quotidianità dell’adolescenza attraverso l’adattamento della serie di libri di successo “Mano”, sul grande schermo.
“Le cose migliori del mondo”  è un viaggio che ci catapulta nel mondo di Mano, un adolescente che vive a San Paolo in Brasile, e tramite i suoi occhi assistiamo al suo processo di maturazione che passa attraverso la disintegrazione della famiglia borghese moderna.
Il padre di Mano è un professore universitario che ha scoperto l’omosessualità a 50anni, la madre del ragazzo reprime (farmacologicamente e non) i propri sentimenti in nome della religione laica dell’etica, del “buon senso comune”, il fratello del ragazzo tenta il suicidio per futili motivi sentimentali, il tutto sullo sfondo di un microcosmo scolastico tormentato da episodi di bullismo e sovraesposto alla gogna mediatica a colpi di cellulari, blog e social media.
Mano si ritrova al centro di questa discesa agli inferi, ponte generazionale tra l’infanzia e la maturità, scoprendo la sessualità, il valore dell’amicizia e della tolleranza, ma tutte queste esperienze si rivelano effimere e pervase da un senso di estrema superficialità che come una cappa si staglia su ogni fotogramma del film.
La regia di Bodasky è pulita e quasi “scolastica”, la macchina si muove pochissimo, i personaggi estremamente bidimensionali percorrono gli stretti confini della scena e ogni cosa risulta a suo posto, ogni cosa è illuminata artificialmente ma appunto per questo nulla riesce a brillare di luce propria.
Certamente questo lavoro ha un certo peso specifico se confrontato con i classici del cinema sentimentale nostrano degli ultimi anni ma, nonostante questo, non spicca nel panorama internazionale.

Nick Zurlo

 

 

  • Regia: Laís Bodanzky
  • Paese: Brasile, 2010
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 104'
  • Cast: Paulo Vilhena, Caio Blat, José Carlos Machado, Gustavo Machado e Fiuk
  • Valutazione: 3
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