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Visualizza articoli per tag: guido gabrielli

Noi non siamo come James Bond

Martedì 23 Aprile 2013 12:14

“Era il 1985. In uno dei nostri viaggi, dentro un cinema di Reykjavik, Guido ed io restammo imbambolati di fronte alle riprese dell’ultimo 007. Bond terribilmente a suo agio in ogni situazione, noi sempre in difficoltà nei posti più improbabili. Decidemmo la rivalsa: girare un film su noi e lui, dove alla fine Guido ed io avremmo avuto la meglio”.

Un incipit in perfetta sintonia con un titolo bizzarro che, tuttavia, non rivela nulla del nucleo centrale del documentario. Perché Noi non siamo come James Bond è, prima di tutto, il racconto di un’amicizia autoironica e commovente che cita James Bond come modello di perfezione per la vita imperfetta dei due protagonisti. “Per noi Bond rappresentava il prototipo di come dovrebbe essere il mondo…e alla fine si è rivelato che non è mai stato così”, spiega Guido Gabrielli, protagonista e coautore. L’avventura che intraprendono Guido e Mario (Balsamo, scrittore, autore e regista di documentari, corti, videoclip e pubblicità progresso) è un viaggio intimo intorno alle riflessioni, alle decisioni, alle difficoltà che hanno accompagnato le loro vite. I dialoghi serrati fra loro – nella spiaggia isolata di Sabaudia, in un bar, in un treno, negli spazi domestici di ciascuno dei due - sovrappongono al presente alcuni echi del passato attraverso i quali ripercorrono momenti della loro amicizia che vibra tutt’oggi della stessa intensità.

Diversi fattori contribuiscono a fare del documentario una testimonianza lucida e al contempo appassionata, delicata ma forte, di un rapporto duraturo che riempie di significato quegli anfratti dell’esistere in cui spesso l’angoscia ci sospinge. In primo luogo la volontà di raccontarsi, di mettersi a nudo di fronte ad un pubblico, di mostrare le debolezze – umane, troppo umane – che spesso, per vergogna o per paura, vengono relegate alla solitudine dell’isolamento (“mettersi in scena soggettivamente vuol dire giocare a carte scoperto col pubblico”, afferma Mario). Anche Guido, refrattario a parlare di sé e della sua malattia, si affida alla mano dell’amico che lo conduce in questa biografia a due senza mai lasciarlo, rispettando i suoi bisogni e le sue volontà (significativa in questo senso è la scena del litigio, durante la fase di lavorazione, dovuto ad alcune parti del montato che Guido si rifiuta categoricamente di includere nel montaggio finale; scena che Mario lascia fluire con una telecamera fissa, posta al di fuori della stanza in cui i due discutono ed in cui vengono proiettate proprio le scene che Guido vorrebbe eliminare, per poi tornare a riprendere i volti dei due nello scambio acceso di idee). In secondo luogo, proprio la messa in scena della malattia – sconfitta da entrambi ma con strascichi pesanti e visibili – diventa uno strumento per esorcizzare la paura della morte, per elaborare la malattia stessa ed approcciarsi alla quotidianità con la voglia rinnovata di andare sino in fondo all’intensità dell’attimo.

Come nell’episodio Medici di Caro Diario e nel film rivelazione dell’ultimo festival di Cannes La guerre est declaré (che si apre con la stessa scena iniziale, quella di una tac) vi è anche qui quell’esplicita scelta autoriale di filmare i discorsi e i pensieri che danno vita ai primi - indugiando sovente sui primi piani dei protagonisti, raccontando le loro emozioni - piuttosto che le azioni, in un intreccio inestricabile fra vita vissuta e vita filmata che testimonia la sottile barriera esistente fra cinema di finzione e cinema reale. Anche la scelta del genere documentario è informata dall’idea che non c’è una realtà sola così come non c’è una finzione sola. In questo modo il loro racconto – che è un racconto privato e personale – assume i connotati di un discorso universale che fa appello a quella capacità umana di condivisione e sostegno reciproco che non ha tempo né luogo. Alla domanda di Guido “Perché ci siamo ammalati?” risponde l’interrogativo di Mario “Perché siamo guariti?”, entrambe rimaste prive di risposte possibili, tranne un’unica certezza: “essere in due aiuta. L’amicizia quantomeno ti permette di vivere bene.”

La complicità tragicomica delle coppia – due giovani gemelli diversi, uno carrierista e l’altro anarchico, accomunati dal desiderio di mordere la vita, chi in un senso chi nell’altro – guida lo spettatore in questo documentario on the road, sospeso fra buddy-movie e bromance, che tocca i luoghi dell’anima piuttosto che quelli fisici (anche quando i due, vestiti come dei perfetti James Bond, attraversano le strade di Perugia colorata di musica durante l’Umbria Jazz, improvvisandosi artisti di strada) in una danza fra autore e testimone che è una costante del cinema di Mario Balsamo.

La ferma volontà di evitare la tristezza, la retorica e le lacrime, riempie il racconto di un umorismo leggero e toccante, che giunge fino alla spiaggia di Sabaudia, in un finale, sospeso anch’esso fra realtà e finzione, dove i nostri, nella stessa tenda malconcia con cui da giovani squattrinati giravano il mondo, riescono finalmente a mettersi in contatto con Sean Connery, il vero James Bond. Il quale, inaspettatamente, ammette di trovarsi in un momento difficile, dimostrando la sua umanità nella fragilità che coglie anche lui, come qualsiasi altro essere umano. Un capovolgimento totale del discorso iniziale che trasforma l’eroe in una persona comune e i protagonisti in veri eroi moderni – o postmoderni: uomini comuni che affrontano le difficoltà che la vita presenta loro con un rinnovato attaccamento alla vita e con il bisogno di continuare a lottare per tutto ciò in cui credono, sia nelle loro esistenze private che collettivamente.

Vincitore del Gran Premio della Giuria al Torino Film Festival 2012, Noi non siamo come James Bond sta tutto nelle parole di Giancarlo Pannone: “un film originale, poetico, straziante fino a far male, in una parola bello, perché maledettamente sincero e sofferto.”


Elisa Fiorucci