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Pablo Larrain ci parla di Neruda

Sabato 08 Ottobre 2016 21:04 Pubblicato in Interviste
Il film Neruda, candidato del Cile ai prossimi Oscar, è diretto dal brillante regista Pablo Larraín. Durante la promozione del film a Roma ha dato risposte pungenti e competenti che hanno lasciato tutti soddisfatti. 
Inizia rispondendo ad una domanda sugli sviluppi della politica Cilena :“Questo film, lo abbiamo fatto nel 2016 non nel 1947, e questo è un vantaggio: sapere cosa è successo dopo. E’ ambientato nel dopoguerra, parla di un paese che ha sofferto. L’anima cilena è stata devastata,  dall’ascesa del ‘bastardo’ Pinochet. Nel film il paese vuole concretizzare un sogno che non si è mai realizzato. Quando Neruda ricevette il premio Nobel (1971) ha letto un discorso, che potete cercare su google, dove parla proprio di quest’epoca, alla fine dice che, non sa se ‘quel periodo lo ha vissuto, lo ha sognato, lo ha scritto” e in questa frase c’è proprio la chiave di tutto il film. Non è un elaborato su Neruda parla del suo universo, il suo cosmo”. 
 
 
Proprio a questo proposito, noi di FuoriTraccia abbiamo preso la parola, chiedendo dove si è documentato, su quali libri e quale studio “matto e disperatissimo” ha visibilmente svolto per realizzare la pellicola, Larrain risponde sorridendo, senza bisogno di traduzioni: “Ho letto diverse biografie, ne abbiamo scelte tre, innanzitutto la sua autobiografia ‘Confesso che ho vissuto’ e poi abbiamo fatto molte interviste a persone che lo hanno conosciuto. Neruda era un grande amante della cucina, era un cuoco eccellente, amante del vino e delle donne, un diplomatico che ha viaggiato in tutto il mondo, per il suo lavoro. Un esperto di letteratura, un amante del genere poliziesco, senatore del Cile, il poeta più grande della nostra lingua, forse il più grande al mondo e raccontare tutto questo mi terrorizzava. Ho provato una paura enorme all’idea di dover affrontare tutti questi aspetti. Al contrario ho sentito un enorme senso di liberazione quando ho capito, che non potevo raccontare tutto questo in un film di due ore, era impossibile, ‘Tutto Nerdua” non ci sta in un solo film. Neruda in Cile è ovunque, nell’acqua, nella terra, nelle piante, storici e giornalisti hanno scritto di lui. Neruda ha fatto la storia del mio paese,  io stesso lo porto addosso, nei capelli, nel corpo,  nel sudore, nel sangue, questo film è un omaggio, una poesia, un poema, scritto con il sogno che anche lui potesse leggerlo.”  
 
 
Neruda politico e artista, dualismo difficile da immaginare nella attuale società, così commenta questa doppia identità: “E’ impossibile scindere le due cose, era un mondo diverso. Immaginiamo ora cosa direbbero, se ci fosse un politico Americano che scrive poesie scontro Donald Trump, nessuno penserebbe che si tratti di vera poesia. invece Neruda nel Canto General (1950) scrive, in termini non propriamente gentili e amabili di leader politici e capi di stato dell’America Latina e  questo  va considerato come vera poesia, indirizzata alla politica. Lui come altri della sua generazione volevano con la propria arte cambiare il mondo, influenzare il regime attraverso il sostegno dei loro lettori e del pubblico.” Continua sul tema della comunicazione: “Trovo che nel mondo di oggi il modo di dire le cose, è più importante del contenuto, e questo mi sembra molto pericoloso. Questo è un roadmovie, è un film anti biopic, sulla scia dei noir anni ‘40 ‘50 e allo stesso tempo una commedia, ma sì è anche un film sulla comunicazione. Volevo mostrare come il personaggio cambia durante il suo percorso. Non è importante il punto di arrivo o la destinazione ma il viaggio stesso che ‘diventa’ la destinazione. Neruda diviene leggenda proprio in quel frangente della sua vita, e il poliziotto da senso a questa vita. Avevano bisogno l’uno dell’altro.  Per capire quello che non capivano l’uno dell’altro. E’ una storia di amore puro. Il resto è un’ po’ una scusa.” 
Altri cercando significati profondi all’interno nel film e dando letture personali della vicenda, hanno chiesto al regista come la pellicola vada letta ed interpretata, Larraín  risponde con una smorfia beffarda dando una risposta spiazzante che racchiude il suo senso del cinema: “Abbiamo lavorato 5 anni a questo progetto e per questo non voglio rispondere a questo tipo di domande. Preferisco che siate voi a scrivere e dire quello che ci avete trovato. Mi sembra sempre assurdo e orribile quando i registi, dicono cosa si dovrebbe provare guardando un film. Questo deve farlo lo spettatore, non dimentichiamoci che un cineasta è come un bambino con una bomba in mano.”  
 
 
Dopo aver chiarito che i testi della narrazione non sono citazioni di Neruda, e ringraziando se qualcuno ha pensato che lo fossero continua col dire  “Due settimane prima della realizzazione del film, mio fratello (Juan de Dios  Larraín) produttore del film, ci ha chiesto di togliere dalla sceneggiatura venti pagine perché non c’erano soldi sufficienti per coprire le corpose 160 pagine di lavoro. Così dall’America lo sceneggiatore Guillermo Calderòn è venuto in Cile. Ci siamo chiusi in una stanza per cercare di assottigliare la mole di lavoro per una settimana. Risultato siamo usciti con 180 pagine! Venti in più! Perché non c’era verso di tagliarle, ma abbiamo filmato il film più velocemente per compensare. Io lavoro rielaborando e ‘cucinando’ la sceneggiatura, un film non si fa senza scene ma per me è soprattutto un elaborato di atmosfere, toni è qualcosa di più viscerale, quindi cerchiamo di catturare questi aspetti con Sergio Armstrong (lo scenografo) e poi proseguire con il racconto. Come disse Truffaut ‘Nelle riprese bisogna lottare contro la sceneggiatura e nel montaggio bisogna lottare contro le riprese’  Sono processi diversi, c’è una battaglia che bisogna fare, ma è molto bello e liberatorio che ci sia questo conflitto. Non so se vi succede quando andate al cinema, guardando un film che il regista vi stia servendo già tutte le risposte. Vi dice già, che cosa dovete pensare, che cosa dovete provare, chi è il buono, chi è il cattivo. A me questo non piace. Non voglio che mi si faccia questo, Il cinema, il regista deve potersi fidare dello spettatore, deve potersi fidare delle sue capacità e quindi il film deve essere qualcosa di espansivo di aperto che il pubblico percepirà a seconda della propria sensibilità. Dare già tutto preconfezionato mi sembra una grande insolenza, nei confronti dello spettatore e in quei casi io me ne vado. Io voglio essere parte attiva, pensare e decidere per conto mio. I film si dovrebbero fare lasciando questa apertura verso chi lo guarda, è bello quando dopo aver visto un film, ripensandoci, non sei sicuro di quello che è successo, che hai pensato o hai visto, è un meccanismo un dialogo che si crea tra il pubblico e lo schermo. E’ come succede nel sesso quando è fatto bene.” Aggiunge ironizzando “Ho letto tanto su Neruda, le biografie di cui parlavo prima, ho fatto un film su Neruda e non ho ancora la più pallida idea di chi sia Neruda”.  
Nota tragicomica alla conclusione della conferenza Luis Gnecco, l’attore protagonista del film, aveva perso peso per la prima volta nella sua vita quando il regista lo ha portato in un ristorante italiano a farsi una bella pasta alla Carbonara dicendo “non puoi fare Neruda se non hai sostanza devi mangiare  di più” con una risata generale il regista conclude lasciando che ognuno rielabori questa lezione di umiltà. 
 
Francesca Tulli

Mine

Sabato 08 Ottobre 2016 20:39 Pubblicato in Recensioni
Quando il corpo è bloccato da una condizione di assoluta immobilità, l'impulso al movimento, all'azione, viene automaticamente trasmesso alla mente, la quale elabora questo messaggio innescando un processo di contrapposta attività. Pertanto un flusso inarrestabile di pensieri irrompe nel cervello, passando compulsivamente in rassegna alcuni momenti che appartengono al nostro passato, a quello che abbiamo vissuto. È ciò che accade a Mike, un tiratore scelto appartenente ai marines, inviato segretamente nel deserto dell’Afghanistan assieme al compagno Tommy, per uccidere un pericoloso terrorista. Ma qualcosa va storto durante la missione, e i due soldati americani si perdono nel bel mezzo di una tempesta di sabbia. Isolati dal comando, Mike e Tommy si ritrovano a vagare in un luogo sconosciuto, con numerosi terroristi a poca distanza dalla loro posizione. Privi di alcun segnale di orientamento, i due finiscono accidentalmente in un campo minato, e Mike calpesta una mina.  Per due giorni e due notti egli dovrà restare immobile nel deserto, in attesa di aiuto dall’esercito, sostando in campo nemico, senza alcun tipo di rifornimento. Una lotta estrema per la sopravvivenza, che lo porterà a riconsiderare tutta la sua vita, e a far fronte ad una pressione psicologica ingombrante. Questo thriller ad alta tensione è scritto e diretto da due italiani, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro e finanziato dallo stesso produttore di Buried. Il film lavora molto sul piano psicologico e incoscio del protagonista, focalizzando in modo particolare su uno stato emotivo soggetto a continue oscillazioni e ad una pressione mentale pesantissima.  Mine è un film che se da un lato racconta l’adrenalinica vicenda di un soldato, imprigionato all’interno di una situazione asfissiante, dall’altro si sviluppa come un viaggio introspettivo nell’incoscio di Mike, alle prese con un passato e un presente problematici. Sebbene possa apparire pesante, in quanto basato unicamente sul concept del survival, il film scorre in modo fluido nella prima e nell’ultima parte, giocando molto sulla suspence, percepita in larga misura dallo spettatore, che entra in uno stato di comunione con il protagonista. Guaglione e Resinaro, riescono a creare una profonda tensione invertendo radicalmente la prospettiva dell’ambiente claustrofobico e stretto, caratteristico in Buried, impiantando così l’azione in un luogo aperto, sconfinato quale il deserto, che restituisce in modo altrettanto soffocante le medesime sensazioni. Un film che immobilizza, tenendo con il fiato sospeso, e che gioca con le aspettative inconsce dello spettatore, portandolo prima in una direzione per poi cambiare improvvisamente percorso. 
 
Giada Farrace

Festa del Cinema di Roma, programma e anticipazioni

Lunedì 03 Ottobre 2016 09:21 Pubblicato in News
A vent'anni dalla scomparsa di Gene Kelly, l'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma omaggia questo magnifico artista dedicandogli la copertina della rassegna. Uno scatto del fotogafo di Life J.R Eyerman sul set di cantando sotto la pioggia, che ritrae Kelly in un momento di onirica danza assieme all'affascinante Cyd Charisse. L'eleganza e la delicatezza di un momento simile appositamente scelte per introdurre una rassegna altrettanto elegante e ricercata. È uno sguardo attento e aperto quello di Alberto Monda, direttore artistico di questa 11esima Festa del Cinema di Roma, che aprirà il sipario il 13 ottobre per poi chiuderlo il 23, quest’anno con un giorno in più rispetto alla scorsa edizione. Una vera e propria festa con molte novità e numerosi ospiti di prestigio che ci parleranno di cinema, di cultura, di arte e di tanti altri argomenti, saziando la nostra sete di cultura e bellezza in questi dieci giorni di puro cinema. Il programma di Roma FF11, oltre ad essere fresco e vario, è diretto a valorizzare e cogliere tutte le sfumature del mondo, e della nostra società, riscoprendo un profondo senso di appartenenza ad una comunità.
 
 
 Una lunga lista di interessanti pellicole popola il programma della rassegna, iniziamo dando un’occhiata ai titoli della selezione ufficiale. Quattro sono i film italiani in concorso, “7 minuti” diretto da Michele Placido, una storia di speranza e ricordi con un cast composto da Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi e Fiorella Mannoia; “Napoli 44” di Francesco Patierno, interessante documentario e potente denuncia degli orrori delle guerre; “Maria per Roma” diretto da Karen Di Porto, una commedia fresca e originale, tra le pellicole più particolari e su cui si scommette maggiormente; “Sole Cuore Amore” di Daniele Vicari con Isabella Ragonese,Francesco Montanari e Eva Grieco, dramma variopinto sull’amicizia di due giovani donne tanto diverse e tanto simili. Sempre all’interno della selezione ufficiale, tantissimi titoli tra cui “The Accountant” di Gavin O’Connor, con Ben Affleck e  Anna Kendrick, “Denial” di Mick Jackson con Rachel Weitz e Tom Wilkinson, “Moonlight” di Barry Jenkins con Mahershala Ali, Naomie Harris, “Snowden” di Oliver Stone con Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley. Qui elencati solo alcuni dei numerosi titoli in concorso all’interno della selezione ufficiale, perchè tra gli aspetti in rielievo quest’anno emerge con prepotenza l’estrema vivacità della rassegna con un’estesa lista di pellicole in concorso e non. Tre le retrospettive all’interno di Roma FF11, la prima di esse è dedicata alla poliedrica e immesa figura di Tom Hanks, tra gli ospiti più attesi della rassegna, che ci parlerà della sua carriera, e di cinema, accompagnato da 15 proiezioni di alcuni dei suoi più grandi successi. La seconda rassegna affronta il tema bollente della Politica Americana, in un momento delicato come quello attuale in vista delle elezioni presidenziali, saranno proiettati sedici film accompagnati da conversazioni e aprofondimenti in compagnia di intellettuali e studiosi. 
 
 
La terza retrospettiva  dedicata a un grande nome del cinema italiano quale Valerio Zurlini, ripercorre l’opera di questo maestro sottovalutato in vita, e purtroppo eclissato anche dopo la sua scomparsa. A calpestare il prestigioso tappeto rosso ospiti del calibro di Meryl Streep, Tom Hanks, Michele Placido, Oliver Stone, Bernardo Bertolucci, Viggo Mortensenn, Juliette Binoche, Ralph Fiennes e molti altri ancora. 
Tantissimi altri eventi all’interno dell’Undicesima Festa del Cinema di Roma, tra cui splendidi omaggi a personalità quali Micheal Cimino, Luigi Comencini, e Gianluigi Rondi, scomparso da poco, e vera anima pulsante di questo  grande evento dedicato al cinema. Un evento che offre l’opportunità di godere della bellezza e della magia dello schermo, rammentando come la settima arte sia capace di parlare a tutti, nutrendo di linfa preziosa la nostra realtà culturale. Dal 13 al 23 ottobre presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma. 
 
Giada Farrace

Ivano De Matteo, l'intervista su La vita possibile.

Lunedì 03 Ottobre 2016 08:47 Pubblicato in Interviste
La prospettiva di una diversa “vita possibile” è la speranza che muove Anna (Margherita Buy), protagonista del film di Ivano De Matteo, ad andarsene da Roma. Stanca di subire gli attacchi violenti del marito, cerca riparo a Torino, assieme al figlio adolescente, dall'amica Carla (Valeria Golino). Il regista romano, durante la conferenza stampa alla presenza dell’intero cast, ci racconta come il giovane Valerio (Andrea Pittorino), che guida gli spettatori nel corso della vicenda, passi da un’apparente situazione di normalità alla scoperta di una realtà alienante dove la violenza diviene parte integrante della sua vita dentro e fuori le mura domestiche. 
 
Una storia che nasce “ dal momento in cui, con la mia compagna (Valentina Ferlan autrice del soggetto e cosceneggiatrice n.d.r.), stavamo cercando un nuovo progetto da trattare. Una nostra conoscente si è confidata un giorno raccontandoci la sua situazione, noi abbiamo scoperto questo mondo e ne abbiamo voluto parlare. Si tratta di un tema diventato sociale, non volevamo comunque raccontare un film di violenza ma, piuttosto, evidenziare la forza delle donne e le grandi storie d’amore che riescono a nascere e superare la violenza.” 
 
 
 
In linea con i temi caldi del momento, il lavoro si discosta nettamente dai classici clichè non indugiando su una resa ad effetto di scene crude. Ciò che De Matteo tiene a ribadire è che il suo racconto rappresenta “una sorta di affresco: si tratta di un film drammatico che tratta eventi quotidiani. Non volevamo fare un film di bastonate, botte e sangue. Penso che quel genere di film siano diventati all’ordine del giorno, vi sia quasi assuefazione: abbiamo voluto saltare questa fase e mi sono mosso con un percorso inverso rispetto ai miei precedenti lavori dove, invece, iniziavo con una famiglia in ordine che si sfasciava. Qui il filo conduttore è la ricostruzione.”
 
La coprotagonista Valeria Golino sottolinea “E' una storia priva d’odio, l’odio non si sente, io non arrivo neanche ad odiare il marito violento di Anna, nonostante il mio personaggio continui a dire che è uno stronzo”.
 
De Matteo, che nel film si riserva un piccolo ruolo, ha fatto uno studio per interpretare al meglio, in una breve scena di  introduzione, il padre violento di  Valerio. Le sue parole sono prese da vere lettere messe a verbale di donne che hanno subito maltrattamenti. “Si tratta, senza dubbio, del film più difficile che ho fatto fino a oggi. Non c’è azione, il film vuole cercare di mettere in risalto l’emozione: questo è molto più difficile da fare, ho cercato di dare un aspetto forte dell’immagine. Bisogna lavorare su un determinato equilibrio, ho dovuto fare molta documentazione e per focalizzare al meglio il ruolo del bambino in un contesto del genere ho dovuto incontrare diversi psicologi. Non è facile filmare l’emozione.”  
 
L'unica figura maschile positiva del film sembra essere Mathieu, il gestore francese di un bar sportivo (il calcio è la passione del ragazzino), un “quasi” latitante straniero che a detta dell’interprete, Bruno Todeschini, rappresenta “il vero padre di Valerio”, quello che non ha mai avuto. Viene toccato così il tema dell’integrazione, visto sia dal punto di vista di un francese in Italia, che di un ragazzino romano a Torino. Entrambi devono farsi accettare da una diversa società. 
 
 
 
 
Alla nostra domanda se si trattasse di un film ‘umorale’ il regista ha spiegato che “Ogni mio film è ‘umorale’. L’umore che hai in quel momento ti porta a scrivere determinate cose, un film scritto in un altro periodo avrebbe raccontato un’altra cosa.’” ha specificato “ Quando ho fatto gli Equilibristi ero così pregno di queste situazioni, andavo nelle Caritas a portare da mangiare, mi sentivo anche ad un certo punto abbastanza scosso. Quando fai determinati film, almeno per quello che riguarda me, sono una corda di violino, non perché ho paura di sbagliare delle cose ma perché sono toccato dentro.” 
“Cosa racconto in un film? Le mie debolezze, l’ambito familiare, vado ad esorcizzare le cose, ho sempre messo in dubbio anche me stesso, le paure!” ci riflette e spiega “in questo caso non succederà mai, ma che ne posso sapere? potrei alzarmi la mattina e lasciare la mia compagna per  dormire in macchina con Mastandea, che ne so! magari mio figlio mi dice che con altri deficienti  hanno ammazzato una a caso, sono paure, le mie paure...come potrei raccontare dei miei innamoramenti.” 
 
Il film mette anche in luce e denuncia, le difficoltà che si hanno in Italia per farsi ascoltare da uno ‘sportello amico’ inefficiente quando si tratta di aiutare un minore sotto la responsabilità giuridica di entrambi i genitori. 
 
 
De Matteo conclude con una grande e triste verità che riguarda la distribuzione delle copie al cinema “Io non mi sono mai lamentato nella vita di quello che non ho, sono sempre stato contento di quello che ho: se mi danno 2 mi merito 2, se mi danno zero mi merito zero. Non credo sia una questione di copie ma una questione d'amore, se tu la difendi una cosa. Puoi anche uscire con 10 copie e vai col coltello in mezzo ai denti. I miei film non sono da 300 copie io ho bisogno di qualcuno che ci creda. Io ringrazio Teodora (distribuzione italiana n.d.r.) perchè c'ha creduto, perchè c'è un mercato che richiede un tipo di film che incassano e io probabilmente non faccio quel tipo di film, nonostante le gratificazioni di Venezia. Probabilmente preferisco vivere in 41mq ma ho rifiutato anche tanta roba che mi poteva far guadagnare, potrei seguire un mercato ma perchè mi devo snaturare? Ho 51 anni, ma cosa me ne frega?! Allora se c'è qualcuno che apprezza il mio cinema, che oltretutto non è un cinema criptico, ben venga. ”
E De Matteo incalza “La libertà di espressione nel cinema non c’è, l’unica libertà che hai è la libertà di pensiero, e ti vanno ad intaccare lì psicologicamente, non incassi, e di conseguenza pensi sia un brutto lavoro e vai in paranoia! E io non ci voglio entrare in quel mondo là, io sto cercando di portare avanti un mio discorso personale. Se c’è qualcuno che con dieci mila lire mi dice che fa uscire dieci copie ben venga, basta che sia fatto con amore.” Vero e assolutamente anticonvenzionale, il regista si dimostra una persona vera e di spirito. Per questo ci auguriamo che continui a fare film autentici come lo è lui. 
 
Francesca Tulli