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Synecdoche, New York

Venerdì 04 Luglio 2014 16:51 Pubblicato in Recensioni
Il regista teatrale Caden Cotard (Philip Seymour Hoffman) sta montando una nuova pièce ma non riesce ad essere soddisfatto del suo lavoro, ha un matrimonio ormai agli sgoccioli, assurde malattie che inaspettatamente lo colpiscono e una costante paura di morire. Il tutto lo fa piombare in uno stato di depressione psicotica nella quale ravviserà una via d'uscita solo lavorando ad un ambiziosissimo spettacolo. Grazie ad un prestigioso premio in denaro, Caden si convince a mettere in scena un'opera monumentale che sarà l'emblema della sua vita. 
Riunisce così un gruppo di attori in un magazzino di New York e li dirige in una celebrazione della banalità dell'esistenza, chiedendo a ciascuno di vivere una vita artificiale in una serie di luoghi ricostruiti. A poco a poco la situazione gli sfugge di mano, facendo diventare l'opera stessa un freudiano excursus sulla sua intera esistenza.
 
Sineddoche è una figura retorica che consiste nell'esprimere un'idea usando una parola di significato più ampio o meno ampio di quella propria, come quando si nomina il grande schermo per indicare il cinema. Proprio dal titolo possiamo capire la struttura del film, sicuramente non lineare, non comprensibile ad uno sguardo superficiale, come è di consuetudine ormai nei lavori di Kaufman. Sua opera prima da regista, nata come una sceneggiatura per un film horror che avrebbe dovuto girare Spike Jonze, diviene poi un progetto più ampio in chiave intimista, abbandonandosi al delirio di una peregrinazione nei meandri del subconscio del protagonista. L'idea a cui siamo abituati è che un film rivesta un ruolo terapeutico nella vita dei suoi autori, così "Synecdoche, New York" sembra il sunto di una lunga analisi psicologica rimasta impantanata. Non c'è infatti un'originalità di base poichè già da molti anni si sono affrontate le tematiche del metacinema, della rappresentazione del sè, di quel passaggio attraverso lo schermo che diviene soglia  di comprensione valicando spazi u-topici della psciche umana. Metafora della vita, metafora del cinema, la vita è cinema, la realtà è meno potente del rappresentato, il rappresentato è la chiave di comprensione della realtà, come già sosteneva Cronenberg nell'83 in "Videodrome", ma ancora Lynch, che ha costruito una carriera su tali concetti, o lo stesso Hitchcock che affidava le sue riproposizioni del sè, settanta anni prima, alle tavole di  Salvador Dalì negli sdoppiamenti onirici di "Spellbound", solo per citare alcuni nomi.
 
Pur fregiandosi di un cast di tutto rispetto che affianca il premio Oscar Hoffman, Kaufman non riesce a ricreare le stesse atmostere, non riesce ad affascinare o a convincere allo stesso modo dei suoi blasonati predecessori, mostrandoci un esperimento in parte apprezzabile ma un po' piatto nei toni, senza mai un vero crescendo, in una serie di accadimenti che aprono parentesi su parentesi senza sedimentarsi troppo nello spettatore. 
Ciò che tuttavia non passa inosservato è il modo in cui vengono espressi i rapporti umani. La pièce di Caden si accartoccia esattamente come il film di Kaufman e la vita del suo protagonista, uno che avrebbe tutte le carte per riuscire a spuntarla con se stesso ma che rimane vittima di traumi mai superati, di storie mai rielaborate e perciò mai concluse.
Emblematiche figure femminili costellano il film (lo spettacolo, la stessa vita di Caden), stanno lì ad annunciare dei punti di svolta che poi non diviene mai effettiva poichè Caden fluttua da un rapporto all'altro senza mai ritrovarvi davvero un punto fermo unico e inamovibile.
Non riesce mai a stabilire un legame profondo con nessuna di queste donne perché la sua mente si fissa sempre su quella precedente: non può stare con Hazel (Samantha Morton) perché pensa ad Adele (Catherine Keener); non può stare con Claire (Michelle Williams) perché pensa a Hazel e non potendo stare con Hazel, rivolge le sue attenzioni a Tammy (Emily Watson), l'attrice che interpreta Hazel nella sua commedia. 
“Ha grosse difficoltà a vivere il presente di qualsiasi situazione”, spiega Charlie Kaufman. “Spreca opportunità, momenti preziosi, legami con le persone. E credo che questa sia una condizione umana molto diffusa.”.
Gli stessi passaggi repentini insiti nelle relazioni affettive li ritroviamo anche in termini di location, per aumentare ancora di più il livello di spaesamento e confusione nelle soglie di coscienza e conoscenza del protagonista e dello spettatore.
Ci troviamo così difronte all'amara constatazione che tutto segue le modalità prestabilite di una messa in scena, provata e riprovata secondo lo stesso copione suscettibile di qualche variazione. E con il termine della recita si conclude anche l'esistenza dell'attante, che con i titoli di coda fugge dal frastuono irreale di scene ripetute innumerevoli volte, piombando finalmente nel silencio di ciò che è dopo: la realtà.
 
Chiara Nucera

Al via il MedFilm Festival

Mercoledì 02 Luglio 2014 16:22 Pubblicato in News
Il MedFilm Festival torna a Roma dal 4 all’11 luglio per festeggiare il 20° anniversario della sua fondazione. La manifestazione si terrà presso la Casa del Cinema ed il Museo MAXXI, e celebrerà il suo ventennale nell’ambito del Semestre di Presidenza italiana della Ue.
Un programma condensato in 8 giorni di proiezioni, che punterà a stabilire contatti diretti con le multiformi realtà che animano  il variegato contesto culturale e politico Euro-Mediterraneo. Il Festival racconterà il passaggio del testimone culturale tra Grecia e Italia, sottolineando il ruolo centrale del Mediterraneo nell’attuale contesto europeo, e la “necessità di cultura”, strumento fondamentale per lo sviluppo di una Nuova Europa che sappia comprendere nel profondo i suoi mutamenti, e dialogare con la sponda Sud in termini propositivi e di reale scambio.
 
 
ITALIA Paese Ospite d’Onore
 
Per festeggiare i suoi 20 anni, MedFilm Festival ospita per la prima volta l’Italia in qualità di Paese Ospite d’Onore. La sezione sarà composta da 12 film: tre lungometraggi, tre documentari e sei cortometraggi,  per un’ampia panoramica che intende dare visibilità ad alcuni tra gli autori più talentuosi e originali del nostro cinema. E dunque Premio alla Carriera 2014 a Mario Martone, che ritirerà il Premio il 5 luglio alla Casa del Cinema e presenterà Noi credevamo, magniloquente e colossale affresco sul Risorgimento, realizzato in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. Altro lungometraggio “dimenticato” e riproposto è La mia classe di Daniele Gaglianone. Tra i documentariBrasimone di Riccardo Palladino, ambientato nell’Appennino che sovrasta Bologna, e Il futuro è troppo grande di Giusy Buccheri e Michele Citoni, intimo ritratto della vita quotidiana di due adolescenti – lui filippino, lei cinese – nella nuova Italia multiculturale. Concludono la sezione sei cortometraggi, per un percorso che attraversa l’Italia con la Sicilia di Cuore Nero, la Taranto di Alle corde e la Genova di A passo d’uomo, aprendosi al passato con il bianco e nero del sorprendente Gli Uraniani ed ai sentimenti più profondi della luce radiante che guida ReCuiem.
 
GLI OMAGGI
In occasione dell’importante anniversario il Festival realizza la sezione Med20, che ospiterà gli omaggi a prestigiosi cineasti del cinema med-europeo. Tra questi il cineasta francese Paul Vecchiali, il marocchino Daoud Aoulad-Syad, lo sloveno Karpo Godina, tutti ospiti del festival, ed il palestinese Hany Abu-Assad.
Paul Vecchiali porterà al MedFilm i suoi ultimi lavori Faux accords e La Cérémonie,entrambi in anteprima internazionale, ed il celebre Corps a Coeur; Daoud Aoulad-Syadpresenterà En attendant Pasolini, omaggio al poeta e regista friulano realizzato nel 2007, mentre la sua retrospettiva completa è stata oggetto di un lavoro realizzato con gli studenti del DAMS di Roma Tre; Karpo Godina presenterà The Raft of Meduse e il cortometraggio The Litany of Happy People. A concludere la sezione l’acclamato Omar di Hany Abu-Assad, entrato nella cinquina ai Premi Oscar 2014 come miglior film straniero.
 
I FILM
Per il film di apertura ancora l’Egitto, con l’anteprima europea Factory Girl, del maestro del cinema egiziano Mohamed Khan, a Roma ospite del festival; in chiusura il franceseEastern Boys di Robin Campillo. 
Otto i lungometraggi presentati nel Concorso Ufficiale - Premio Amore e Psiche curato da Giulio Casadei, che propone un equilibrato mix di grandi autori e giovani esordienti.Tra le opere:  Ladder to Damascus del veterano Mohamed Malas, Edoardo Winspeare con In grazia di Dio, il greco “noir mediterraneo” Stratos di Yannis Economides, il turco Seaburners di Melisa Önel, misterioso noir notturno sui mercanti di uomini; l’algerino Bloody Beans di Narimane Mari, Stable Unstable del libanese Mahmoud Hojeiji e Challat of Tunis della tunisina Kaouther Ben Hania.
Il Concorso Internazionale Documentari Premio Open Eyes, curato per il quarto anno dal regista Gianfranco Pannone, propone una selezione di 10 opere, caratterizzata da sguardi autoriali non privi di ironia. Tra i titoli più importanti spicca l’anteprima internazionale di Corpo a Corpo di Mario Brenta e Karine de Villers, che documenta le prove dello spettacolo Orchidee di Pippo Delbono, il marocchino Walls and People di Dalila Ennadre che ci conduce all’interno della Medina di Casablanca, il libanese Birds of September di Sarah Francis, viaggio per le strade della Beirut contemporanea, il turco Once Upon a Time, l’egiziano Cairo Drive e lo spagnolo Sobre la Marxa.
Diciannove sono i cortometraggi del Concorso Internazionale Premio Methexis.
Se la Sponda Nord sarà rappresentata dall’Italia, la Sponda Sud verrà raccontata nella vetrina Maghreb/Mashreq con un’importante selezione di film provenienti da 10 paesi arabi, tra i quali la Siria, a cui il Festival dedica un omaggio/riflessione sulle ragioni e soprattutto sulle conseguenze di una terribile guerra che pare accenare ad una tregua.
 
Maggiori informazioni consultando www.medfilmfestival.org 

Enzo Tortora - una ferita italiana

Giovedì 26 Giugno 2014 16:53 Pubblicato in Recensioni
Enzo Claudio Marcello Tortora (Genova, 30 novembre 1928 – Milano, 18 maggio 1988) è stato un conduttore televisivo, giornalista pubblicista e politico italiano”, così si apre la lunga pagina di Wikipedia a chi, oggigiorno, rovistando nel web volesse sapere chi fosse Enzo Tortora. Ma è solo una delle tante fonti su quel signore garbato e gentile col quale sono cresciute almeno tre generazioni di italiani, compreso chi scrive. Alla luce di un film, Un uomo perbene di Maurizio Zaccaro, e di una fiction, Il caso Tortora – Dove eravamo rimasti? di e con Ricky Tognazzi, e di numerosi libri scritti su e dal celebre giornalista, le informazioni al suo riguardo e circa l'incredibile caso giudiziario di cui fu protagonista oltre trent'anni fa sono davvero alla portata di tutti. Proprio più di trent'anni fa, quando il 17 giugno 1983 venne arrestato con l'accusa di associazione di stampo camorristico dalla Procura di Napoli. Accuse infamanti che il 15 settembre 1986, grazie all'assoluzione con formula piena da parte della Corte d'Appello di Napoli, cadranno inesorabilmente. Ma Enzo, pur tornato in televisione col suo caro “Portobello” e con nuovi progetti quali “Giallo”, minato nell'animo e nel fisico da anni di battaglie giudiziarie, un giorno di maggio del 1988 lascerà questo mondo che non l'ha sempre amato.
C'era davvero bisogno di un documentario sul “caso Tortora”? In un paese come l'Italia in cui post-mortem chiunque viene santificato d'ufficio, qualunque cosa abbia fatto in vita, solo per il fatto che non possa sbugiardare chi lo vilipese in vita, probabilmente sì. Ma non certo fatto così come Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, sondaggista di fiducia di Silvio Berlusconi, ha pensato di realizzarlo. Innanzitutto, stante quanto detto sopra, la mole di materiale a disposizione è così ampia che selezionare immagini e filmati è quanto di più semplice, come anche raccogliere dichiarazioni in merito ad una vicenda vergognosa sulla quale non si sarà mai detto abbastanza. 
Il problema è che Crespi, dopo aver messo insieme senza troppa fatica un po' di girato, decide per qualche motivo di sommergere le immagini con le roboanti musiche di Thomas Di Lorenzo senza soluzione di continuità, se non quella della fine di un brano prima dell'inizio del successivo, come se avesse inserito un CD che non riuscisse più a fermare. Il risultato è che un film già mediocre finisce per diventare spesso incomprensibile, a causa di una colonna sonora che sovrasta le pur relativamente interessanti parole degli intervistati, tra i quali la compagna del presentatore Francesca Scopelliti. Sembra assurdo, ma a fronte di un montaggio (di Mauro Menicocci) non eccelso per quanto potabile, una maggiore cura del missaggio avrebbe evitato il disastro.
Per una volta, caso più che raro, l'indagine documentaristica si dimostra nettamente inferiore alla finzione. Unica attenuante e probabile fonte d'ispirazione per Crespi è quella di aver vissuto sulla propria pelle, pur se in tono minore, un'odissea simile a quella di Tortora, subendo anch'egli il dramma della carcerazione preventiva: tra il 2012 e il 2013 è finito in prigione per 200 giorni in seguito alle accuse di un pentito che si è poi rivelato essere psicolabile. Sarà anche per questo che più d'una volta si senta legittimato ad autoriprendersi durante le interviste.
Non domo, il regista ha in cantiere un nuovo film d'inchiesta su un'altra figura curiosamente già sfruttata dalla fiction (televisiva): il capitano Ultimo, al secolo Sergio De Caprio.
Tortora – Una ferita italiana è in finale un film che andrebbe mostrato nelle scuole, in particolare quelle di cinema, soprattutto quelle dove si insegna a girare i documentari: per spiegare come NON si fanno.
 
Paolo Dallimonti

La Gelosia

Giovedì 26 Giugno 2014 15:22 Pubblicato in Recensioni

La gelosia, ultimo lavoro di Philippe Garrel, mette in scena una storia intima della vita del regista, una vicenda realmente accaduta al padre,  riproposta e sviluppata in chiave familiare. Garrel dirige suo figlio Louis (che interpreta suo nonno all'età di 30 anni) in un bianco e nero minimalista, all'interno di una cornice artistica dove uno squattrinato teatrante si aggira come un flâneur, nutrendosi di arte e amore. Spazi piccoli, poche location e quasi tutte interni, persi in minuscole, povere e spoglie stanze, le uniche che il ruolo impone, un clichè consolidato che vuole che per il fuoco sacro della recitazione non ci si arricchisca. Ed è proprio la vacuità dell'esistenza che viene rappresentata nell'alienazione di residuati contemporanei di un '68 ormai annacquato. I dialoghi contestualizzano la vicenda arricchendola di elementi sulla durezza del vivere quotidiano ma il vero fulcro sono le conversazioni su un amore libero e superiore, quello incarnato dalla coppia di Louis e Claudia (Anna Mouglalis), un amore che ti incatena ancor più di qualsiasi convenzionale ménage. Louis è un giovane padre, perso in un sentimento folle, idealizzato e pieno di crepature, che non ammette un termine se non la morte; Claudia, attrice incompresa e decaduta, piena di sensi di colpa inespressi, si piega a dei compromessi nella capacità di dedicarsi solo a se stessa. Un titolo più adatto a questo film avrebbe potuto essere "Tradimenti" visto che di gelosia ce n'è poca impressa sulla pellicola e per il resto ciò che ci arriva è un susseguirsi di dubbi, ansie, fragili discorsi sui massimi sistemi, fricchettoni amori universali e corna. Un film la cui breve durata, poco più di un'ora e un quarto, basta abbondantemente a spiegare una storia per la quale sarebbero stati sufficienti pochi minuti o che forse avrebbe potuto essere raccontata meglio, con più convinzione e miglior approfondimento dei protagonisti. Un segmento a sé, un estratto di vita, in cui Garrel figlio, pregevole in altre situazioni ma del tutto carente e a tratti caricaturale in questa, dà sfogo ad un personaggio poco convinto di ciò che sta vivendo, con una partner che più che apparire una misteriosa e ammaliante creatura (come si evince dalle note di regia) trasuda il fascino malato di colei che prima usa e poi getta via l'amante di turno. Tutto questo perché la vita è un ciclo e brevi momenti sono capaci di segnare un'intera esistenza.. almeno nell'intenzione alla base del progetto.

 
Chiara Nucera