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Visualizza articoli per tag: Olivia Wilde

Rush. L'intervista

Lunedì 23 Settembre 2013 00:31
Dopo una nuova breve deviazione alla commedia (Il dilemma, 2011), Ron Howard torna dietro la macchina da presa con l'action drama Rush, nelle sale italiane dal 19 settembre, che ripercorre la leggendaria rivalità fra due assi della Formula1, Niki Lauda e James Hunt, interpretati rispettivamente da Daniel Brühl e Chris Hemsworth. Alla conferenza stampa del film, ad affiancare il regista ci sono i due protagonisti, Alexandra Maria Lara, che nel film veste i panni di Marlene Lauda, e Pierfrancesco Favino (alla seconda collaborazione con Howard dopo Angeli e Demoni) in quelli del pilota Clay Regazzoni.
 
I due protagonisti fanno un mestiere che li mette spesso a contatto con la morte. Che rapporto hanno con essa?     
 
Chris Hemsworth: Credo che il nostro modo di rapportarci alla morte ci caratterizzi come essere umani. Ognuno affronta la morte in modo diverso. Al riguardo i personaggi del film hanno un punto di vista piuttosto comune ai piloti di quegli anni. 
Daniel Brühl: Rispetto a dei personaggi più effervescenti come Hunt, Lauda era un calcolatore, più simile ai piloti di oggi. Sapeva di rischiare la vita
, ma analizzava la situazione matematicamente, calcolando, ad esempio, la percentuale delle possibilità di morte. Se le condizioni erano adatte, allora correva. Si vede anche nella scena finale, durante il gran premio in Giappone. In quel momento c’era qualcosa di più importante della corsa. C’era in ballo la sua vita. C'era sua moglie che lo aspettava. È grazie a piloti come lui che sono migliorate le condizioni di sicurezza nella Formula1.
C. H.: Diversamente da Lauda, che affrontava la morte da matematico, James aveva un approccio più istintivo, viscerale, di pancia anche nella sua vita, a pre
scind
ere dalle corse. Se voleva qualcosa si spingeva agli estremi pur di averla. Entrambi vivevano la minaccia della morte, Lauda la esorcizzava con il calcolo, Hunt attraverso sesso, droghe e alcol. Mi è piaciuto correlare questa paura della morte al momento presente. Se non si concentravano sul presente sarebbero morti. Erano costretti a stare concentrati sull’oggi e non sul domani o sul passato come spe

sso ci capita di fare.
 
 
(Ad Alexandra Maria Lara) È vero che il colloquio finale con Ron si è svolto via Skype mentre lei era in cucina a pelare cipolle?
Alexandra Maria Lara: Uno dei primi incontri con Ron era avvenuto tramite Skype. Il mio contatto è rimasto memorizzato nella sua lista e lui mi ha richiamato tempo dopo, mentre stavo effettivamente pelando delle cipolle con mio marito. Non sapevo se rispondere o meno. Gli occhi mi lacrimavano per via delle cipolle. Mio marito mi suggerì di rispondere e di dire che mi ero commossa dopo aver letto la sceneggiatura.
Ron Howard: La scelta di Alexandra nel ruolo di Marlene mi sembrava ovvia. L’incontro via Skype mi ha confermato che lei sullo schermo funzionava.
 
L’idea del film è nata da lei o  da Peter Morgan (sceneggiatore n.d.r.)? Come ha trattato la sceneggiatura? Era un testo inviolabile o stato libero di apportare modifiche?
R.H.: Io e Peter avevamo già lavorato insieme per Frost/Nixon. Lui mi ha proposto la storia. Sono rimasto entusiasta dei personaggi e abbiamo deciso di realizzarla. Abbiamo lavorato cercando di inserire le ricerche che facevamo. La sceneggiatura si sviluppava quindi mano a mano. Peter, anche produttore del film, era sempre aperto a nuove idee creative. 
 
Clay Regazzoni è una figura chiave per Lauda, fu lui che lo portò con sé alla Ferrari. Regazzoni-Favino si sente più vi
cino a Lauda e Hunt?
Pierfrancesco Favino: Regazzoni è senz'altro più vicino a Hunt come abitudini. Non era disciplinato come Lauda. La sua guasconeria lo rendeva simpatico, ma era anche una persona dotata di grande bontà e lo ha dimostrato nel suo lavoro per l'inserimento dei disabili nello sport. Io sono un po' più regolare, ma in lui c’è una generosità che condivido, anche per la sua assenza di invidia.
R. H.: Credetemi, quando abbiamo realizzato il cast i primi ad essere selezionati sono stati Daniel e Alexandra, poi Chris. Per Clay ho pensato immediatamente a Pierfrancesco e sono onorato che lui abbia accettato. C’è molto più Regazzoni nel film di quanto ce ne sia nella sceneggiatura. 
 
Angelo Santini

Rush

Lunedì 23 Settembre 2013 00:15
Anni Settanta. Durante l'epoca d'oro della Formula 1, esplode la leggendaria rivalità tra i due piloti più talentuosi del momento, Niki Lauda e James Hunt. 
Lauda, rigoroso e calcolatore, ed Hunt, playboy sopra le righe, sfideranno loro stessi e la morte senza esclusione di colpi, fino all'incredibile dramma che avrebbe avuto luogo al Gran Prix di Germania nel 1976.
La regia di Ron Howard, cineasta fra i più attivi ad Hollywood ma, paradossalmente, anche quello che ha lasciato meno in termini contenutistici al cinema americano, si dimostra pressoché insignificante nei toni di una stucchevole retorica strappalacrime; le solenni musiche di Hans Zimmer - non più brillante come un tempo - ne sono la prova, il tutto è appesantito da un ammiccante e strategico montaggio serrato, infarcito di schematica faciloneria patinata, nel tentativo di donare a tutti i costi il pathos di cui risulta priva la narrazione. 
A parte la chioma sbarazzina di Hemsworth/Hunt, il film contiene poco degli anni che racconta; vista la sterile caratterizzazione scenica, la storia potrebbe essere ambientata benissimo ai giorni nostri. Non basta nemmeno qualche canzonetta inserita sporadicamente a raccontarli, quei famosi anni Settanta.
 
Uno sguardo più approfondito va dato ai protagonisti, se Daniel Brühl (Lezioni di sogni, Intruders) riesce a immergersi perfettamente nella figura di Lauda, incarnandone il rigore e pragmatismo, Chris Hemsworth (Thor, The Avengers) in comune con Hunt sembra avere solo il fluente taglio di capelli; a confronto con la figura trasgressiva e rock del pilota, l'attore risulta solo un dandy con la pelle curata non soddisfacendo mai completamente l'inquietudine di fondo che contraddistingue il personaggio. Un ottimo Pierfrancesco Favino riesce a caratterizzare il personaggio del pilota Clay Regazzoni più di quanto lo sia nella sceneggiatura. Non si può dire altrettanto di Olivia Wilde e Alexandra Maria Lara, rispettivamente nel ruolo di Suzy Miller e Marlene Lauda, i grandi amori di James e Niki che, nonostante la centralità delle loro figure nella vita dei protagonisti, rimangono purtroppo assenti e marginali nella narrazione.
Il lavoro di trasposizione dello sceneggiatore e drammaturgo Peter Morgan (Frost/Nixon - Il duello, Hereafter) sembra spesso altalenante, anche se la storia dei due piloti rimane di per sé intensa e leggendaria. 
 
Howard si dimostra anche in questo caso niente più di un regista-esecutore, che anche quando gli capita di avere fra le mani buoni script, si limita ad assemblare prodotti di un'intensità fasulla, senza anima né passione, se non quella che si ostina a inculcare sistematicamente nello spettatore attraverso mezzucci visti e rivisti e una procedura impostata come quella di una catena di montaggio.
 
Un film veloce, come le adrenaliniche corse rappresentate, ma che finisce lì, dopo la bandiera a scacchi del traguardo, rimanendo l'ennesimo biopic hollywoodiano un po' lacrimoso. 
 
 
Angelo Santini

Richard Jewell

Martedì 14 Gennaio 2020 11:50

Il dono della narrazione è un privilegio raro e riservato a pochi nomi della Hollywood  odierna. La spasmodica ricerca dello spettacolare al cinema, la quale tuttavia non sempre genera prodotti eccelsi, pone ancor di più in evidenza quei narratori che imperterriti seguono il loro fulgido cammino. Ebbene Clint Eastwood a quasi 90 anni, è uno dei grandi veterani che ancora oggi pone come cuore della sua missione narrativa l’essere umano, e talvolta l’eroe. Il regista di Gran Torino, decide ora di raccontarci la vicenda accaduta realmente a Richard Jewell, un giovane americano travolto da un’inarrestabile polverone di eventi disastrosi sollevato dalla bulimica invadenza dei media.  Tutto ha inizio il 27 luglio del 1996, quando durante i giochi olimpici di Atlanta, Richard, in veste di guardia di sicurezza dell’evento, scopre uno zaino sospetto. Il giovane riesce a lanciare l’allarme in un tempo ridotto, mettendo in salvo molte vite prima dell’esplosione, e tentando di limitare il numero dei lesi. Dopo giorni intensi e gloriosi, in cui Richard viene considerato all’unanimità un erore, arriva il colpo basso da parte dei mass media, i quali diffonderanno la notizia che il ragazzo risulta per l’FBI il primo sospettato dell’esplosione. Da qui ha inizio ufficialmente il frustrante calvario di Jewell, ritenuto ingiustamente un individuo psicolabile e pericoloso, nonchè un fanatico in cerca soltanto di attenzione. Clint Eastwood rimane colpito da questa vicenda e decide di raccontarcela come soltanto lui sa fare con tali fatti di cronaca, ossia con assoluta minuzia e grande umanità. Nella seconda parte del film, la ricostruzione del fatto in sè viene poi seguita dall’esplorazione dei rapporti che intercorrono tra i vari protagonisti e questo avviene con molta naturalezza senza cedere il passo ad eccessi di sentimentalismi. Perchè il cinema di Eastwood non si limita mai a riportare una vicenda nella sua fredda linearità, ma abbraccia anche quel piano intimo e profondo che rende tutti i personaggi delle sue storie più vicini a noi. Una lode speciale va agli interpreti, da Sam Rockwell, che restituisce il ritratto sincero e ironico dell’avvocato, a Kathy Bates madre dell’eroe alla gogna, arrivando infine al protagonista Paul Walter Hauser, perfetto in ogni istante nel suo ruolo. Richard Jewell è sicuramente un film molto diverso dal precedente The Mule, poichè viaggia su un binario emotivo differente, ma non per questo meno incline a coinvolgere. Certo è che, di registi come Eastwood non ce ne sono e mai ce ne saranno, pertanto questa sua impronta unica, capace di colpire il bersaglio senza sbavature resta di fatto il suo tratto principale, quello che rende i suoi film dei grandi momenti di cinema. 

 

Giada Farrace