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Visualizza articoli per tag: golden globes

Il discorso che Meryl Streep ha tenuto in occasione dei Golden Globes 2017 ha lasciato tutti spiazzati, ha commosso e si è dimostrato in netta opposizione con Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti. L'attrice chiude con una bellissima citazione di Carrie Fisher la compianta Principessa Leia di Star Wars : Prendete il vostro cuore spezzato e fatene arte!

Golden Globes 2020: tutti i premiati.

Lunedì 06 Gennaio 2020 10:48
Ricky Gervais caustico più che mai è il presentatore dei Golden Globes 2020. Australia, Me too, Greta e la natura, libertà di scelta, politica guerrafondaia di Donald Trump, non ci siamo fatti mancare nulla a questi 77 Golden Globes. 3 Premi a C’era una volta ad Hollywood di Quentin Tarantino, 2 al Joker di Todd Philips e Rocketman, film sulla vita di Elton John. Ma i 2 Golden Globes più prestigiosi vanno al film di Sam Mendes sulla prima guerra mondiale: 1917 si porta a casa il Miglior film drammatico e miglior regia.
 
 
Ma ora parliamo dei premi nello specifico, i veri protagonisti della serata al Beverly Hilton Hotel: Miglior film straniero al grottesco Parasite, un premio annunciato ma super meritato per il film sudcoreano di Bong Joon-ho.
Quentin Tarantino con il suo C’era una volta a Hollywood si porta a casa la miglior sceneggiatura, un po’ a sorpresa ha battuto Parasite e Storia di un matrimonio i favoriti.
 
Missing Link miglior film d’animazione. La Disney esce a bocca asciutta con i suoi super quotati Frozen 2 e Toy Story 4.
 
La cinicissima avvocatessa Laura Dern in Storia di un matrimonio vince il premio Miglior attrice non protagonista.
 
Elton John si porta a casa la miglior canzone originale per il suo Rocketman.
 
Olivia Colman miglior attrice nella serie The Crown eguaglia la regina Elisabetta più giovane Claire Foy di due anni fa.
 
Una meravigliosa Charlize Theron premia con Il Cecil B. DeMille alla carriera l’immenso e commosso Tom Hanks.
 
Sam Mendes miglior regista per 1917, non ancora uscito in Italia, ma segnatevi il 23 gennaio. Giorno di uscita del suo film sulla prima guerra mondiale.
 
Hildur Guðnadóttir miglior colonna sonora per il cupo Joker dì Todd Phillips: super azzeccata.
 
Brad Pitt miglior attore non protagonista per il suo ruolo in sottrazione in C’era una volta a Hollywood.
 
Taron Edgerton, grande sorpresa, miglior attore in film commedia/musicale per il suo EltonJohn in Rocketman. Ha battuto il quotato Leo di Caprio.
 
Awkwafina attrice protagonista per The Farewell-una bugia buona, un piccolo film-una grande Protagonista.
 
C’era una Volta a Hollywood miglior film dell’anno nella categoria commedia/musical. Conferma l’ottima onda mediatica che ha avuto il film negli Stati Uniti. Tarantino e il suo atto d’amore per il cinema conquista la Stampa Estera ad Hollywood.
 
Joaquin Phoenix miglior attore drammatico per il fantastico Joker. Potente ed indimenticabile!
 
Renée Zellweger miglior attrice in un film drammatico per Judy. Annunciassimo questo premio per la messa in scena degli ultimi tormentati giorni di vita della grande Judy Garland.
 
1917 miglior film drammatico dell’anno. Sconfigge Joker e soprattutto The Irishman, totalmente ignorato HFPA: zero Globi d’ori.
 
Ci vediamo nel 2021 per la prossima notte d’Oro dei Globi cinematografici.
 
David Siena

The Farewell. Una bugia buona

Martedì 24 Dicembre 2019 17:02
Una bugia è spesso uno spunto ideale per un’avvincente trama cinematografica. Gli escamotage narrativi più interessanti hanno, quando ricorrono a una natura mendace, un’attrazione maggiore già nell’idea che porta in sala lo spettatore, intrigato dal gusto di condividere un segreto con lo schermo.
In questo film la regista Lulu Wang trae spunto dalla sua biografia per raccontare un episodio che colpì la sua natura dicotomica: cinese di nascita ma cresciuta in America, per l’esattezza a New York, il centro del mondo occidentale. 
Lei, come la protagonista del film che dirige: Billi (Awkafina), ospita in sé due identità che fanno fatica a convivere nel momento in cui le tradizioni dell’una s’impongono sullo spirito modernista dell’altra .
L’amata nonna paterna di Billi, Nai Nai, è ammalata di un tumore inoperabile e la diagnosi prevede per l’anziana solo pochi mesi di vita. I suoi parenti decidono, contro il volere di Billi, di nasconderle le proprie condizioni di salute per permetterle di vivere serenamente l’ultimo periodo della sua esistenza.
Sono intrecciati, nella seconda regia di Lulu Wang, una serie di temi profondamente connaturati nell’epoca contemporanea. L’idea che rende interessante il soggetto è quella che porta lo spettatore stesso a una riflessione etica: è giusto tenere inconsapevole un proprio caro delle sue condizioni di salute? Ad un più ampio livello la questione si risolve, o meglio, si fossilizza, in un metaforico agone morale tra due combattenti che si schierano l’uno con l’Oriente e con la tradizione e l’altro con l’Occidente e il mondo contemporaneo, che ha, con il concetto della verità, una relazione di tipo manicheo, qui raccontata in modo sommesso ma incisivo. 
Il contrapporre la realtà alla menzogna è un simbolico contrasto tra i due mondi, il cui anello di congiunzione è Billi, più cittadina della nazione in cui è immigrata da piccola che della nazione di nascita. 
La Wang sottolinea come la cultura e le tradizioni di un paese influiscano sulle idee e sulla morale di ciascuno e come questo porti a un continuo dubbio esistenziale che fa sentire la protagonista paradossalmente una cinese in America e, allo stesso tempo, un’americana in Cina.
La vita di Billi è infatti sempre in bilico tra quello che era (o avrebbe potuto essere) e quello che è e il rapporto con la nonna rende tangibile e visibile tutto il mondo che si è lasciata alle spalle. 
La regia è discreta e con un gusto per l’inquadratura tipicamente orientale, e coabita con una regia più dinamica ma che conserva uno spirito squisitamente formale e delicato, nei momenti in cui Billi e la sua vita da giovane donna americana fanno capolino sullo schermo. 
Non c’è un climax narrativo. Anzi, l’evento scatenante è anche l’evento che dovrebbe assurgere ad un parossismo emotivo che invece non arriva mai. 
La notizia della malattia di Nai Nai è dichiarata fin dall’inizio e non è la svolta drammaturgica ma l’espediente che permette alla storia di esistere. La volontà della regista è quella di raccontare, infatti, la lotta interiore di Billi con uno stile introspettivo e mai spudorato e questo rende la narrazione a tratti piatta, senza svolte e con un ritmo che fa continuamente aspettare un momento culminante che è volontariamente assente.
Le emozioni non sono mai travolgenti. Sono sempre sopite, sommesse, anche nel momento in cui esplodono sui volti dei protagonisti (nella scena in cui il padre di Billi dichiara alla figlia la volontà di non dire a Nai Nai che le restano poche settimane di vita, i due attori sono addirittura inquadrati di spalle). 
La tematica della mistificazione dei sentimenti e di quello che questi rappresentano è quindi intrecciata a quella della migrazione, anche rappresentata allegoricamente dagli uccelli che sembrano seguire la giovane protagonista, ricordandole la sua natura migratoria e in continuo divenire.
Questo film ci vuole parlare di quello che siamo e che potremmo essere e porta lo spettatore a farsi delle domande più che ad avere delle risposte, rimanendo discreto e formale, nonostante i toni si tratteggino con un’ironia surreale che sottolinea le differenze ma, allo stesso tempo, riesce a valorizzarle. 
 
Valeria Volpini