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La sedia della felicita'

Lunedì 08 Settembre 2014 11:06
Bruna (Isabella Ragonese), graziosa estetista tradita dal fidanzato e pressata dai
creditori, riceve una confessione in punto di morte da una cliente, a cui lima le unghie in carcere. Norma Pecche (Katia Ricciarelli), madre di un famoso bandito, ha nascosto un tesoro di gioielli in una delle otto sedie del suo salotto. Sprezzante del pericolo, Bruna comincia una rocambolesca ricerca delle sedie, sequestrate dal tribunale e vendute separatamente all'asta. Ad aiutarla ci sono Dino (Valerio Mastandrea) disilluso tatuatore divorziato, e Padre Weiner (Giuseppe Battiston) prete cattolico con il vizietto dei videopoker. 
La commedia è un'arte nobile e  nel suo ultimo film Carlo Mazzacurati ne mette in scena i codici con sicurezza e dedizione. 
Scomparso lo scorso gennaio dopo una lunga malattia, il regista padovano conclude con un sorriso una carriera lunga più di trent'anni (cominciò come aiuto regista per Nanni Moretti), chiudendo anche una brillante trilogia di commedie, iniziata nel 2000 con La lingua del santo e proseguita nel 2011 con La passione.
Tornano immancabilmente due elementi centrali della filmografia di Mazzacurati: lo sfondo della tanto cara provincia veneta e la figura dei losers, piccoli uomini inadeguati a raggiungere il proprio obiettivo.
La trama ricorda in parte quello del romanzo russo Le dodici sedie di Il'ja Arnol'dovič Il'f e Evgenij Petrovič Petrov, già adattato per il cinema da Mel Brooks nel 1970 (Il mistero delle dodici sedie) e al quale Mazzacurati ammette di essersi ispirato in fase di scrittura. Il romanzo, ambientato nella Russia del 1927, racconta le imprese di un nobile zarista decaduto e di un astuto truffatore per recuperare dei diamanti nascosti nell'imbottitura di un antico servizio di dodici sedie, saccheggiate durante la rivoluzione d'ottobre. Ma a parte l'idea iniziale, il film di Mazzacurati vira verso altri obiettivi.
Nella loro ricerca, i protagonisti si imbattono in una serie di situazioni e personaggi surreali dello spaccato veneto - e non solo -, sempre in bilico fra le ombre di un passato diffidente e bifolco, e quelle di un futuro multietnico, che si affaccia timidamente. Si passa dal vile squallore del Mago Kasimir (Raul Cremona), celebre fenomeno da baraccone regionale, all'inquietante ambiguità della comunità cinese, da un fioraio indiano estorsore (Marco Marzocca), ai due singolari pastori confinati nelle montagne sperdute ed estranianti del Trentino. Estremi opposti che mettono in luce le contraddizioni di un paese tanto proiettato verso il futuro quanto ancora chiuso e reazionario. 
Non è un segreto che in Veneto, molto più che in altre regioni d'Italia, le istanze qualunquiste e filo-razziste della Lega Nord, data per morta due anni fa poi tornata sorprendentemente alla ribalta, siano ancora maggiormente radicate.
Questo legame morboso non è mai palesato all'interno film da chiassose ambizioni civili, ma osservato e descritto con “la giusta distanza” - come recita il titolo di uno dei più celebri film di Mazzacurati - e delinea proprio quel contesto sociale che tende a trasformare i protagonisti in outsiders del loro tempo.
La ricerca del tesoro diventa quindi un pretesto per mettere in scena le diverse facce di una regione, a sua volta specchio dell'intera penisola, e le mutazioni subite da essa negli ultimi decenni.
Mazzacurati disegna i suoi protagonisti con un affetto smisurato – compresa la tragicomica uscita di scena di Battiston -, che sfocia a volte in un affettuoso paternalismo. 
La tenera intesa fra Dino/Mastandrea e Bruna/Ragonese è talmente scontata che nasce da sé, senza però rispondere alla canonica formula “elemento amoroso = compromesso commerciale”, sulla quale la maggioranza delle commedie romantiche italiane basano un intero plot - vedi Fausto Brizzi o il sopravvalutato Paolo Genovese.
Il trio Ragonese-Mastandrea-Battiston azzecca perfettamente i tempi comici delle situazioni, ma il film conta anche una serie di “amichevoli partecipazioni”: Antonio Albanese, nel duplice ruolo di due burberi gemelli, Milena Vukotic, nominata ai David di Donatello come miglior attrice non protagonista, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio e Roberto Citran.
È come se Mazzacurati avesse voluto riunire nel suo ultimo film gli attori che più fedelmente lo hanno servito nel corso degli anni. 
La sedia della felicità è infatti un ideale film-testamento, in cui il regista ripercorre i luoghi e i volti che lo hanno accompagnato nel suo cinema e nella sua vita personale; compreso il soggiorno a Roma, rappresentato iconograficamente dalla new entry Mastandrea, tatuatore romano finito a Jesolo per seguire una donna. 
Una ballata dedicata ai perdenti, priva sia dell'eroe senza macchia o del cinico senza redenzione, ma filtrata attraverso una sensibile malinconia, tipica del regista.
Il modo migliore per ricordare Mazzacurati con un sorriso. 
 
Angelo Santini

Fino a qui tutto bene

Mercoledì 18 Marzo 2015 12:01
Cinque amici per la pelle, tre uomini e due donne sulla soglia dei trent’anni, trascorrono gli ultimi tre giorni nel loro attico pisano, in cui hanno condiviso amori, liti, bevute, amplessi, esami universitari, sughi scaduti e cena a base di “pasta al nulla”. I tempi acerbi dell’università e degli spettacolini teatrali per parenti e amici sono finiti e ognuno di loro deve essere pronto ad affacciarsi all’età adulta e a proseguire singolarmente per la propria strada; c’è chi torna a casa di mamma e papà, chi programma il viaggio-svolta in Nepal e chi, come Guglielmo, è combattuto tra l’amore della sua vita e un posto come professore associato in Islanda. 
Su di loro aleggia il fantasma di Michele, amico morto misteriosamente in un incidente stradale. 
 
I protagonisti sono quei giovani, non più tanto giovani, ma che sembrano ancora abbastanza giovani. Una virgola tra il vecchio e il nuovo mondo. Aspiranti attori, aspiranti biologi e aspiranti madri.
Negli ultimi anni, politici e fenomeni da talk show si riempiono continuamente la bocca della parola “giovani”, ma raramente lo fanno per riferirsi a questa generazione di mezzo. Una generazione naufraga su una vecchia barca in mezzo al Tirreno, che prova goffamente a remare controcorrente. 
A prescindere dall’apparenza scanzonata e dai codici della commedia, il film contiene una vena amara abbastanza sostanziale e i personaggi, forse, tendono a essere coinvolti troppo spesso in scene madri di scazzi repressi. Johnson si prende più sul serio rispetto al suo precedente I primi della lista, ma disegna i personaggi con lo stesso affetto smisurato, che ricorda un po’ l’approccio e la passione per i losers nelle commedie di Carlo Mazzacurati. 
L'idea per il film è venuta al regista quando l'Università di Pisa gli ha commissionato un documentario, per il quale ha intervistato decine di studenti.
“La storia ha preso le mosse dai loro racconti” spiega il regista, che ha curato la sceneggiatura insieme alla compagnia Ottavia Madeddu (Hit the road, nonna – Duccio Chiarini, 2011) “poi li abbiamo mescolati a vicende di fantasia, a fatti accaduti a me, a ricordi”.
 
Negli ultimi decenni, buona parte delle commedie italiane mainstream (a parte rare eccezioni) sono state ridotte, da un’industria cinematografica arraffona, a prodottini usa e getta, piattoforme di lancio per il comico televisvo di turno o scialbe commediole romantiche destinate al dimenticatoio (da Brizzi a Genovesi). 
Fino a qui tutto bene è dotato di una dignità e di una genuinità in più rispetto ad altre commedie italiane, corali o meno, imperanti nei multisala dei centri commerciali. 
Il film, costato circa 250 mila euro, è stato realizzato in partecipazione, vale a dire che nessuno è stato pagato per il lavoro, ma tutti hanno avuto una percentuale di diritti del film. "Se il film incasserà più di 250 mila euro per me sarà un successo perché vorrà dire che ognuno potrà essere pagato per il lavoro che ha fatto - spiega il regista. 
Gli attori, misconosciuti ma fenomenali, hanno dormito nella casa del film per tutto il periodo delle riprese. Questo avrà senz’altro contribuito a creare fra loro il feeling intense che vediamo nel film. Torna Paolo Cioni (già presente ne I primi della lista), nel ruolo del cinico ed esilarante Cioni, affiancato da Melissa Anna Bartolini (la “tossica” con le Hogan nella sketch-comedy The Pills), Silvia D’Amico, Guglielmo Favilla e Alessio Vassallo. L’unico volto noto al grande pubblico è quello di Isabella Ragonese (Tutta la vita davanti, Il giovane favoloso), nel ruolo di una celebre attrice di fiction mediocri, nonché, ex fiamma di Andrea (Favilla).
 
Presentato in anteprima durante il Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione Prospettive Italia, Fino a qui tutto bene è un’opera semplice e sincera, dal finale aperto. Non sappiamo quali saranno le scelte dei protagonisti dopo l’ultimo festone d’addio. I loro ultimi tre giorni nella casa sono finiti, così come è finita una parte delle loro vite. Quello che succede dopo è un’altra storia.  
 
Angelo Santini
 

Una storia sbagliata

Giovedì 18 Giugno 2015 15:25
Stefania (Isabella Ragonese) è un’infermiera pediatrica, Roberto (Francesco Scianna) un militare. Le sue continue missioni all’estero iniziano a compromettere l’armonia del loro matrimonio finché, un giorno, Roberto non torna più a casa. Qui inizia il viaggio di sua moglie.
Quel che è certo è che sotto le spoglie ambigue del film romantico, Una storia sbagliata è un film di denuncia, un film d’attualità e quindi, perché no, un film politico. Più semplicemente è una storia sul Sud del mondo, che pare avere sempre gli stessi lineamenti e gli stessi odori, nonostante la profonda frattura tra culture che rifiutano di comunicare.
Una storia sbagliata è il racconto discreto di un’epoca intossicata da conflitti universali. Muovendosi in un presente storico che invade le mura domestiche fino a deviare anche il corso naturale di una comune storia d’amore, il film scavalca i confini di genere e acquisisce un valore altro. È questo valore aggiunto che consente a Tavarelli di emanciparsi dagli standard del dramma romantico, ma soprattutto da quelli del film di guerra. 
Una storia sbagliata sfida il pregiudizio, rinuncia alle ipocrisie e mostra il dramma del nostro presente, attraverso una scrittura emotiva ma mai patetica. È un piacere trovarsi di fronte al percorso di questi anti-eroi consumati, persi, e soprattutto lontani dal patriottismo compiaciuto. Tavarelli non offre vie di fuga: né l’orgoglio di aver servito il Paese, né la fede cieca in un ideale. Roberto è folgorato da un mondo che Stefania andrà ad esplorare con rancore, senza curiosità, senza rispetto, dando vita ad un viaggio di (ri)scoperta, che però non conosce perdono.
Che sia sbagliata o meno, questa è una storia come tante, proiettata su uno scenario socio-politico internazionale. Un faccia a faccia tra più mondi che si sfiorano senza comunicare: quello di un uomo e una donna, distanti nel loro essere coppia, e quello di Gela e dell’Iraq, uniti sotto gli stessi peccati e le stesse illusioni.
Da una parte una donna spezzata e incattivita, costretta ad andare in guerra per capire cosa ha incrinato il suo matrimonio; dall’altra un uomo che non riesce più ad essere uomo, compagno e marito, perché non è altro che un soldato. E mentre nel presente Stefania parte con un bagaglio di rabbia ed egoismo, reduce del dolore folle per il suo lutto, Roberto nei ricordi confusi della loro relazione torna a casa ogni volta con un nuovo carico di traumi e ossessioni.
Così Tavarelli racconta un matrimonio a tre termini, in cui l’entusiasmo pulito di Stefania si spegne poco a poco sotto la pulsione di morte di Roberto. E intanto il fantasma della guerra inizia ad occupare un terzo posto a tavola, a togliere spazio nel letto, a sostituirsi alla possibilità di un figlio e di un futuro insieme. L’epilogo è nello sguardo di due donne, la vedova di un soldato e quella di un kamikaze: qui, per l’ultima volta, i confini tra vittima e carnefice, sacro e profano, vacillano senza soluzione. Così l’Italia entra in Iraq e porterà l’Iraq con sé, a Gela.
 
Chiara Del Zanno

Globi d'Oro 2017. Annunciate le candidature

Martedì 30 Maggio 2017 14:02
L’Associazione della Stampa Estera è lieta di annunciare le cinquine dei Globi d’Oro 2017, i premi della Stampa Estera ai film italiani arrivati alla 57a edizione.
I vincitori saranno svelati durante la cerimonia di premiazione a inviti che si terrà mercoledì 14 giugno a Villa Medici.
L’ Associazione della Stampa Estera annuncia inoltre il Globo d‘Oro alla Carriera al regista Dario Argento e il Gran Premio della Stampa Estera a Restaurare il cielo di Tommaso Santi. Entrambi i premi saranno consegnati durante la cerimonia del 14 giugno.
 
 
GLOBO D’ORO ALLA CARRIERA a DARIO ARGENTO 
 
L’Associazione della Stampa Estera in Italia conferisce quest’anno il suo Premio alla Carriera a Dario Argento, maestro indiscusso della suspense e del brivido. Dario Argento definisce se stesso «il più grande assassino del cinema italiano» per i suoi 90 omicidi eccellenti in quasi cinquant’anni di carriera. Con un tocco d'ironia e con raffinata maestria ha saputo tenere gli spettatori col fiato sospeso fino all’ultimo.
Molto amato all’estero, firma le sue opere mettendo in scena le sue mani, come faceva Hitchcock con il suo profilo. A lui chiediamo di non smettere mai di terrorizzarci.
 
GRAN PREMIO DELLA STAMPA ESTERA a RESTAURARE IL CIELO di Tommaso Santi
 
Talvolta le favole escono dai film, si fanno spazio nella realtà e mostrano che c’è “un mondo possibile”. Un mondo dove intesa, accordo e collaborazione fanno sì che eccellenza artigiana e tradizione italiana arrivino a restaurare un pezzo della storia comune dell’umanità. 
Fatti che, di per se, sono già un piccolo miracolo. 
 
 
CANDIDATURE DELLA 57a EDIZIONE DEI GLOBI D’ORO
 
 
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
 
Blue Screen di Riccardo Bolo e Alessandro Arfuso
Buffet di Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis
Confino di Nico Bonomolo
Penalty di Aldo Iuliano
Uno scatto d’autore di Consuelo Pascali
 
MIGLIOR DOCUMENTARIO*
 
60 - Ieri Oggi Domani di Giorgio Treves
Cacciatore di paesaggi di Fabio Toncelli
Cinque mo(N)di di Giancarlo Soldi
Il pugile del Duce di Tony Saccucci
Italian Offshore di Marcello Brecciaroli, Manuele Bonaccorsi, Salvatore Altiero
Liberami di Federica Di Giacomo
L’uomo che non cambiò la storia di Enrico Caria
Our War di Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri
Uberto degli Specchi di Marco Mensa, Elisa Mereghetti
Via della Conciliazione di Raffaele Brunetti, Piergiorgio Curzi
 
MIGLIOR OPERA PRIMA
 
Chi salverà le rose di Cesare Furesi
La pelle dell’orso di Marco Segato
La ragazza del mondo di Marco Danieli
Le ultime cose di Irene Dionisio
Our War di Benedetta Argentieri, Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia
 
MIGLIORE COMMEDIA
 
Beata ignoranza di Massimiliano Bruno
Che vuoi che sia di Edoardo Leo
In guerra per amore di Pierfrancesco Diliberto
Lasciati andare di Francesco Amato
Questione di Karma di Edoardo Falcone
 
MIGLIORE SCENEGGIATURA
 
Fai bei sogni  - Marco Bellocchio, Edoardo Albinati, Valia Santella
La pazza gioia - Paolo Virzì, Francesca Archibugi
La ragazza del mondo - Marco Danieli, Antonio Manca
La tenerezza - Gianni Amelio, Alberto Taraglio
Veloce come il vento - Matteo Rovere, Francesca Manieri, Filippo Gravino
 
MIGLIORE ATTRICE
 
Valeria Ciangottini per Cronaca di una passione
Angela e Marianna Fontana per Indivisibili
Isabella Ragonese per Il padre d’Italia
Micaela Ramazzotti per La tenerezza
Sara Serraiocco per La ragazza del mondo
 
MIGLIORE ATTORE
 
Stefano Accorsi per Veloce come il vento
Renato Carpentieri per La tenerezza
Carlo Delle Piane per Chi salverà le rose
Luca Marinelli per Il padre d’Italia
Michele Riondino per La ragazza del mondo
 
MIGLIORE MUSICA
 
Enzo Avitabile per Indivisibili
Nino D’Angelo per Falchi
Stefano Di Battista per Sole Cuore Amore
Andrea Farri per Lasciati andare
Marcello Peghin per Chi salverà le rose
 
MIGLIOR FOTOGRAFIA
 
Maurizio Calvesi per Questione di Karma
Vincenzo Carpineta per La stoffa dei sogni
Daniele Ciprì per In guerra per amore
Daria D’Antonio per La pelle dell’orso
Michele D’Attanasio per Veloce come il vento
 
MIGLIOR FILM
 
Fai bei sogni di Marco Bellocchio
Indivisibili di Edoardo De Angelis
La pazza gioia di Paolo Virzì
La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu
La tenerezza di Gianni Amelio
 
 
 
* Per la prima volta nella storia dei Globi d’Oro, l’Associazione della Stampa Estera ha preferito creare una decina, invece di una cinquina, per la sezione documentari tenendo conto della grande crescita e 
qualità delle produzioni di questo genere in Italia durante l’anno 2016/2017.