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I Magnifici 7

Martedì 20 Settembre 2016 10:31
Oramai è più che assodato, il ritorno ai generi ha conquistato un po' tutti i maggiori nomi del cinema contemporaneo. Antoine Fuqua, da sempre cresciuto con la grande passione per il western e per le grandi pellicole di Leone e Kurasawa, torna al cinema dirigendo il classico di culto " I magnifici sette”. Il regista di Training day, rispolvera questo intramontabile film, donandogli da un lato un nuovo e accattivante aspetto,  e dall’altro restando fedele alla linea essenziale del racconto diretto da Sturges nel 1960, con Steve McQueen e Charles Bronson. La storia prende parte a Rose Creek, cittadina popolata da contadini semplici e onesti, improvvisamente presa d’assedio dal crudele magnate Bartholomew Bogue e dai suoi uomini senza scrupoli. La giovane vedova Emma Cullen, stanca di assistere alla morte della sua città, decide di chiedere aiuto e protezione a sette impavidi fuorilegge. Tra di loro vi sono cacciatori di taglie, sicari e giocatori d’azzardo, ad ognuno di essi sarà affidato il rischioso compito di difendere Rose Creek dagli uomini di Bogue. I Sette avranno solo una settimana per preparare il popolo di Rose Creek a combattere, una settimana per escogitare la resa dei conti, e per riesaminare i propri errori, le proprie vite, ciò che li ha veramente spinti a trovarsi lì. 
Il film, fuori concorso a Venezia 73 ha chiuso la Mostra in gran stile, rappresentando così il dulcis in fundo della rassegna. Perché quella di Fuqua è una reinterpretazione ineccepibile, capace di regalare momenti entusiasmanti e carichi di fervore. La passione del regista per il genere si percepisce dall'estrema cura con cui viene diretto il film, dalla valorizzazione di ogni suo elemento, partendo dalle suggestive immagini, fino al profilo di ognuno dei suoi protagonisti. Uomini contraddistinti da coraggio, umanità, e un sano spirito ironico, aspetti che li rendono ancor più vicini allo spettatore. A rendere I magnifici personaggi unici e pieni di carisma vi è un cast di tutto rispetto, con al timone un intenso Denzel Washington, fortemente voluto da Fuqua, mai eccessivo e sempre in splendida forma, affiancato da un Ethan Hawke, che si riconferma un attore camaleontico e di rara qualità, senza dimenticare il bel Chriss Pratt, vera rivelazione del film, in perfetta simbiosi con il verace Faraday e più credibile che mai come pistolero. Le riprese hanno avuto luogo nell'immensa Luoisiana a Baton Rouge, resa ancora più viva e palpitante da una fotografia dai toni caldi, diretta dall’italiano Mauro Fiore. Quattro duri mesi di riprese, in cui la troupe di Fuqua ha dovuto fare i conti con un clima decisamente non favorevole, e con tutte quelle esigenze che solo una pellicola western richiede (dall’addestramento di cavalli alle numerose scene con gli stunt), ma che alla fine dei conti ripagano in modo generoso il pesante lavoro. Il film di Fuqua è infatti complessivamente ben strutturato, e vanta il pregio di saper alternare momenti solenni a segmenti più divertenti, intrattenendo lo spettatore in modo quasi magnetico.
I Magnifici sette ammalia ed emoziona senza mai banalizzare il genere, cercando di raccontare una storia che forse qualcuno già conosce, ma che per la sua attrattiva merita di essere raccontata ancora una volta. Una meraviglia per gli amanti del genere western che non avranno mai voglia di staccare gli occhi dallo schermo.
 
Giada Farrace

One More Time With Feeling

Venerdì 23 Settembre 2016 11:14
Il 9 settembre è uscito Skeleton Tree, ultimo album di Nick Cave & The Bad Seeds. A distanza di tre anni da Push the sky away, l'artista realizza un disco che ha tutte le carte in regola per suggestionare e imprimersi nella memoria di chi lo ascolta. Otto tracce danno forma ad un’opera visionaria, oscura, che contiene pezzi tanto potenti quanto spettrali come I need you o Jesus Alone, canzoni intense e cupe come la voce baritonale di Cave. Skeleton Tree è un lavoro profondo e intimo, capace di rispecchiare il riflesso interiore di un’artista scosso e afflitto dalla tragica morte del figlio, da poco scomparso a soli 16 anni. Questo luttuoso evento è presente in ogni suo pezzo sottoforma di una maggiore coscienza del finito, dei limiti dell'essere umano, ma anche di una penetrante riflessione sulla vita e su come essa arrivi a scuotere con i propri eventi la nostra vacillante condizione di stabilità. Il regista Andrew Dominik, persona molto vicina allo stesso Cave e con la quale l'artista ha già collaborato in svariate occasioni (tra cui il film L’assassionio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford- 2007), dirige un documentario che rivela l’impronta dell’abum, mostrando cosa si cela dietro Skeleton Tree . L'idea originale prevedeva solamente una breve introduzione al nuovo lavoro di Cave, di cui Dominik avrebbe curato la regia. Ma in seguito l'esplorazione di un territorio complesso e affascinante come quello dei testi di Skeleton Tree, ha portato il regista ad abbandonare l'idea di un video di presentazione, scegliendo così di realizzare un vero e proprio lungometraggio. Il risultato è un documentario in bianco e nero dall'impronta fotografica, dove lo spettatore è immerso in uno stato di suggestiva impressione sensoriale. Le parole di Cave scorrono come un fiume impervio fino a raggiungere l'anima di chi le ascolta e decide di esser trascinato dalla loro corrente. Perché sappiamo bene che la sua opera non è mai stata alla portata di tutti, ma solo di chi avesse saputo ascoltare scavando la superficie. Il lutto si percepisce in ogni angolo dell'album, nell'atmosfera che permea il documentario, un'atmosfera priva di sfumature, dove regnano buio e mestizia, come nelle immagini che scorrono sullo schermo. Il film di Dominik è come un requiem che scava nella parte oscura di Cave, qualcosa che va ben oltre il puro cinema. Un atto di confessione dove Cave come ogni essere umano, come ogni padre di fronte alla morte del figlio, non può far altro che continuare a vivere, andare avanti. Un film che destabilizza per l’esclusiva profondità e per l'intensa commozione che accompagna ogni singolo istante. One more time with feeling è la struggente e prodigiosa fusione di musica, immagini e parole, in grado di generare un nuovo tessuto, una nuova sostanza che incanta, e lascia senza respiro. Presentato in anteprima alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, il film uscirà nelle sale il 27 e il 28 settembre, due appuntamenti da non perdere per poter godere di questa magnifica opera d’arte. 
 
Giada Farrace

Arrival

Sabato 10 Settembre 2016 15:55
Arrival di Denis Villeneuve (Sicario - 2015, la Donna che canta - 2010) era tra i film più attesi della Mostra di Venezia edizione 73. Con grandi aspettative è sbarcato al Lido e ci è restato a pieni meriti. Il regista canadese, ancora una volta, ci ipnotizza trasmettendo una tensione che dal primo all’ultimo minuto fa mancare il fiato. Troppo celebrale e con la croce di essere un sci-fi, per entrare nel palmares dei premi. Peccato perché sarebbe stata l’occasione per andare oltre le barriere e razionalizzare che il cinema odierno è qualcosa di più di una telecamera fissa e che la genialità sta anche in altri mondi. 
 
Improvvisamente arrivano sul pianeta Terra diverse navi aliene. Questi mezzi extraterrestri hanno la forma  di una melanzana gigante e fluttuano a pochi metri dal suolo. Una paura collettiva accomuna tutti i paesi del mondo, che si vedono costretti ad organizzarsi per difendersi. Prima di intraprendere una strada bellicosa, gli stati più potenti cercano di stabilire un contatto con questi esseri. Il colonnello Weber degli Stati Uniti (Forest Whitaker) chiede aiuto a Louise Banks (Amy Adams), affermata linguista che già in passato aveva collaborato con il governo. Decifrare il linguaggio degli ospiti sarà impresa ardua anche per la migliore. Trepidazione e curiosità invadono l’animo della donna nel momento del contatto con gli eptapodi. Il dono di Louise sta nel tradurre l’intraducibile e dentro questo c’è qualcosa per se stessa e anche per noi.
Il resto è tutto da scoprire, compresi gli ignoti e sorprendenti viaggi che la pellicola ci regala.
 
Il film e tratto dall'antologia di racconti Stories of Your Life di Ted Chiang. Eric Heisserer ne ha curato l’adattamento cinematografico in perfetta coesione con lo stile di Villeneuve, riuscendo con un perfetto equilibrio nella narrazione, a nascondere gli indizi che portano all’apertura della scatola finale. Una sorta di M. Night Shaymalan elegante.
 
Il fiore all’occhiello di Arrival è senza dubbio, come già accennato in precedenza, la regia chirurgica del talento canadese. Uno sci-fi raro, forse unico, con contaminazioni nolaniane che si fanno largo in quello che si può definire un trip completo. La direzione è focalizzata e concentrata. Con pochissimo materiale costruisce un climax che ascende ad elevate quote di trazione, rimanendoci ed espandendosi scena dopo scena.  
Villeneuve ha una visione di per sé aliena, non umana, un occhio scrutatore che si differenzia dal parco dei registi contemporanei. Tende a dare, ma anche ad avere: confeziona film per tutti e strizza l’occhio all’autorialità. La sua conforme illeggibilità è uno dei suoi segni distintivi. Qui inserisce inquietanti momenti horror, che by-passano le classiche cornici della fantascienza per ricrearla a sua immagine e somiglianza.
 
L’invasione aliena può essere anche vista come metafora degli avvenimenti sconvolgenti che la terra sta subendo negli ultimi 15 anni, dopo il nefasto 11 settembre 2001. Argomento attualizzato in chiave cine-fantascientifica. Quest’atmosfera di terrore e paura è resa più vivida grazie anche alla colonna sonora dell’islandese Jóhann Jóhannsson (compositore che ha curato buona parte dei film di Villeneuve). Il tema musicale è un vero protagonista, sempre presente al fianco della linguista e del matematico Ian (Jeremy Renner), trasmette dentro e fuori lo schermo disagio ed un’aliena inquietudine.
 
Nemici o amici? I grossi poliponi protagonisti di Arrival si riveleranno solo nel mese di Gennaio al pubblico italiano. Nel frattempo si possono solo lodare tutte le incognite del caso. Rebus magistralmente gestito che gioca con il tempo e la consapevolezza. Le scelte consapevoli sono esattamente il centro dell’attenzione di questa pellicola, decisioni che non hanno un giusto o sbagliato universalmente riconosciuto e nella loro accettazione risiede l’essenza della vita, bella o brutta che sia.
 
David Siena