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Kong: Skull Island

Giovedì 09 Marzo 2017 16:29
King Kong, sovrano dell’immaginario collettivo dal 1933 fin da quando dalle mani del maestro Willis O'Brien ne uscì una delle creature in stop-motion più importanti della storia del cinema, torna oggi protagonista in una veste rigenerata, grazie alla buona Cgi dell’Industrial Light&Magic nel nuovo film “reboot” del giovane regista Jordan Vogt-Roberts. L’organizzazione scientifica Monarch, dispendioso reparto degli Stati Uniti alla caccia di creature sconosciute ritenute solo fantasie dalle autorità vigenti, indaga nella regione inesplorata in cui aerei e navi continuano a scomparire, l’Isola dei Teschi. Nella terra dove “Dio non ha finito la creazione”, l'equipe di scienziati e geologi si fa accompagnare dalla squadra Grifone, un gruppo di soldati scanzonati capitananti dal colonnello Packard (Samuel L. Jackason) e da James Conrad (Tom Hiddleston), un ex capitano della S.A.S britannica ‘mercenario’ qualificato a protezione dei civili nelle situazioni ostili. La fotografa di guerra Mason Weaver (Brie Larson) si unisce alla sfortunata spedizione. Superate le nubi dell’ignoto a bordo di elicotteri fatiscenti, nella tradizione, per i nostri eroi si prospetta un viaggio senza precedenti. Presentato senza vergogna dal regista e dal cast come un ‘Monsters Movie’ dove mega lucertoloni, katane giapponesi, indigeni e ‘templi maledetti’ la fanno da padrone, Kong si porta sulle spalle la nostalgia degli anni ‘70 in cui è ambientato. Il montaggio imperfetto e alcune ingenuità nella seconda parte del film si fanno perdonare.  La fotografia omaggia Apocalypse Now (1979) e, come in “Cuore di Tenebra” il romanzo da cui fu tratto di Joseph Conrad (a cui il protagonista di Skull Island “ruba” il cognome), la guerra e la sua inutilità sono al centro di tutta la vicenda. Abituati all’inganno del green screen, si apprezza il fatto che il film sia stato girato in vere location in Vietnam, alle Hawaii e in Australia.  La colonna sonora di Henry Jackman è arricchita da miti senza tempo come “Paranoid” dei Black Sabbath e “Ziggy Stardust” dell’intramontabile Bowie (soltanto due delle nove canzoni di repertorio scelte).  Polvere e  tramonti, tre giorni di avventura “old fashion” nella giungla popolata da creature che si ispirano ai kaiju giapponesi e ne portano le caratteristiche, così da poter immaginare che i prossimi preannunciati seguiti, potrebbero essere la spinta per un futuro scontro fra titani come avvenne in passato (Gamera tai daiakuju Giron-1969). Doveroso il confronto con il più recente  remake del 2005 di Peter Jackson ‘King Kong’, diversissimo sotto tutti i punti di vista. Laddove Jackson puntò su di un’isola chiassosa, dove dinosauri e insetti giganti portavano la sua inconfondibile firma splatter, Jordan si rifà al primissimo Kong, riproponendo scene del classico nell’impianto di una storia totalmente nuova, minimalista, semplice, dove il feroce re dell’isola perde la sua cieca cattiveria primordiale e diventa il simbolo stesso della forza della natura, bellissima e al contempo terribile, a riprova che “il nemico non esiste finché non te lo vai a cercare”. 
Se aspetterete la fine dei titoli di coda non resterete delusi.
 
Francesca Tulli