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Le Meraviglie

Sabato 24 Maggio 2014 10:58
Nel celebre mito della caverna di Platone, il filosofo greco immagina degli uomini chiusi fin dalla nascita in una caverna sotterranea, incatenati in modo da vedere solo il fondo della loro prigione. Dietro di loro brilla alta e lontana la luce di un enorme fuoco e, tra la luce e i prigionieri, è stato eretto un muro che corre lungo una strada rialzata. Su questa strada passano delle persone che trasportano degli oggetti di forme diverse. Le forme proiettano le proprie ombre sul fondo della caverna e i prigionieri, non avendo mai visto in vita loro gli oggetti reali, credono meravigliati che le ombre proiettate siano gli oggetti stessi.
Questo è quello che succede a Gelsomina (Maria Alexandra Lungu), adolescente introversa, relegata dal padre Wolfgang (Sam Louwyck), apicoltore autoritario e possessivo, alla vita contadina. Le ombre che Gelsomina vede proiettate sul fondo della sua caverna sono le promesse illusorie della televisione privata. Senz’altro un’idealizzazione estremamente provinciale dell’Italia degli anni ‘90 (periodo di ambientazione del film), un’ombra, appunto, rappresentata  dal personaggio di Milly Catena (Monica Bellucci), celestiale bellezza di una tv locale, e dalle canzonette di Ambra Angiolini a Non è la Rai. Primogenita di cinque figlie femmine, Gelsomina è prigioniera di un regime patriarcale, al quale sembrano passivamente rassegnate anche la madre Angelica (Alba Rohrwacher), donna affettuosa ma arrendevole, e la zia Cocò (Sabine Timoteo). 
La loro routine è compromessa da un concorso televisivo per gli agricoltori del posto e dall’arrivo di Martin, quattordicenne tedesco con precedenti penali che deve seguire un programma di reinserimento. 
Con tocco delicato e sentito coinvolgimento Alice Rohrwacher racconta i primi turbamenti di un’età di mezzo, incorniciandoli all’interno di un panorama non ben specificato (probabilmente nel viterbese, fra Lazio e Umbria) e una dimensione familiare bucolica e contrappuntistica, in cui si parla italiano, tedesco e francese.
Le meraviglie non è certo il primo trattato cinematografico sul mito della caverna e sicuramente neanche il più originale; il paragone con il surreale Kynodontas (anch’esso presentato a Cannes nel 2009 e vincitore della sezione Un Certain Regard), nasce spontaneo, ma muore subito, trattandosi di due film caratterizzati da stili e ambientazioni totalmente opposte. La Rorhwacher sembra più vicina a Truffaut e al suo modo di rappresentare la giovinezza, piuttosto che al greco Lanthimos.
A conferire ulteriore genuinità e un’identità propria al film è anche la profondità di alcuni dei personaggi; una profondità che si coglie gradualmente e in piccoli dettagli della mise en scène. Con lo scorrere del film scopriamo, ad esempio, in Wolfgang un personaggio fragile, ex figlio dei fiori che vaneggia di un imminente fine del mondo in diretta tv (ma viene interrotto dalla presentatrice Bellucci), le cui stesse paranoie lo hanno spinto probabilmente alla condizione di isolamento/morte sociale che impone all’intera famiglia. 
Le ambizioni provinciali, così inconsapevolmente miserabili, che Gelsomina nutre per il concorso televisivo, andranno sfumate, perché, anche in questa dimensione, così apparentemente estraniata, a vincere è sempre il macchiettistico piacione e prevaricatore. 
Seguono i tentativi nevrotici (e patetici) di zia Cocò per aiutare Gelsomina a scoprire la sua femminilità repressa, fino al volto stanco di Monica Bellucci nella sua ultima inquadratura, che si toglie la parrucca argentata e rompe l’incanto, mostrando semplicemente la donna che se ne celava sotto. Anche chi per anni l’avrà considerata un’attrice mediocre, non potrà fare a meno di notare, in quel suo ultimo primo piano, l’espressiva rassegnazione di cui è pregna ogni singola ruga del suo volto. Il tutto si conclude in un finale criptico, che mostra la casa di famiglia improvvisamente disabitata, come se anche i protagonisti stessi fossero sempre stati delle ombre, o il ricordo di qualcosa.
Tutte piccole cose fanno de Le meraviglie un grande film, meritevole dei 12 minuti di applausi al Festival di Cannes.
 
Angelo Santini