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Cannes69. Toni Erdmann

Mercoledì 25 Maggio 2016 09:47
Tedesco di nascita, ma non per questo freddo come un ghiacciolo, Toni Erdmann scalda come una fiamma ardente, la stessa che porta calore, allegria e un po’ di sana bontà sulla Croisette. Sempre pressoché privo di comicità, il palinsesto del concorso ufficiale, accoglie il film di Maren Ade a braccia aperte, uscendo così dalle convenzioni, proprio come il personaggio che presta il nome alla pellicola. Il modo di vedere il mondo di Toni Erdmann è alla base dell’interpretazione del film.
 
La regista e sceneggiatrice Maren Ade, che aveva curato il lodevole Alle Anderen, Orso d’Argento alla Berlinale 2009, ambienta questo lungometraggio in una Bucarest lavorativa. Il colletto bianco Ines Conradi (Sandra Hüller) è alle prese con un grosso affare. Impegnatissima in questo progetto ha poco tempo per gli affetti e la famiglia. Il padre Winfried (Peter Simonischek), agisce pesantemente da genitore, ma con un fare anticonformista al quadrato si trasforma in Toni Erdmann, cercando così di distrarla portando il suo grado di stress a livelli accettabili. Questa specie di Patch Adams teutonico (che è la versione ironica di Mr. Hyde) si trasferisce per un mese nella capitale rumena e nel momento che l’affare della figlia prende una brutta piega, il suo essere ed il suo agire virerà dal parallelo del disturbo al meridiano del conforto psicologico. Nasce così un sentito ritratto di famiglia fuori da ogni schema, che diverte con scene veramente esilaranti.
 
Di film che ci mostrano come si possa vivere sbattendosene delle convezioni né abbiamo già visti parecchi. Quello della regista tedesca ha quel qualcosa di speciale che è riassumibile proprio nel mostrare gradatamente, con un chiaro andamento imperfetto della narrazione, come la scorrettezza (del padre) possa agire da propulsione per abbattere le paure e le ansie (della figlia). Timori di accentuata diversità chiusi nell’infondata convinzione di dover per forza qualcosa a qualcuno. Di solito quel qualcuno fa parte della propria stirpe, qui assistiamo all’originale snaturamento di quella filosofia psicoterapeutica che costringerebbe i figli ad uccidere la figura dei genitori. Il fare del padre demolisce positivamente questa teoria e la povera Ines ne trova quell’inaspettato giovamento che le cambierà il modo di vedere il mondo. Se in un primo momento lei fa di tutto per far parte della società, adeguandosi ad essa, poi uniformerà il suo pensiero a quello di Toni, mai pronto a sottostare a filosofie ingannatrici e portatrici di obblighi morali.
 
Accostabile per certi versi ad Idiots di Lars von Trier, il lungometraggio trova il suo trascinate profitto nei due attori protagonisti. I 162 minuti del film forse risultano essere eccessivi. Il burlone Erdamm si rende conto molto prima di non aver bisogno di una figlia sostitutiva. I due sono capaci di condividere anche una serata a base di droga. Primo vero punto di condivisione attiva tra padre e figlia. Riflessione imposta allo spettatore che non ne rimane indignato, ma che ne percepisce la forza glorificando così la potenza del gesto.
 
Toni Erdmann potrebbe uscire dall’edizione 69 del Festival di Cannes con qualche prestigioso premio perché è un film di sentimento, nel vero senso della parola, buono come una fetta di pane con sopra la nutella. Costruito per rendere indistruttibile l’enorme importanza della famiglia. Attraverso degli scherzi “bulgari” riesce a modificare radicalmente l’iniziale atmosfera di bizzarria trasformandola in una concreta consapevolezza del viver bene.
 
David Siena