Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » News » Visualizza articoli per tag: cinema
A+ R A-
Visualizza articoli per tag: cinema

Il Casting Director Pino Pellegrino, incontrerà gli attori in un week end intensivo di formazione, nella sua prima data romana del 2013.

 
Il workshop si svolgerà a Roma sabato 9 e domenica 10 marzo, 5 ore giornaliere, dalle 14 alle 19, presso lo studio "Imago", via Marianna Dionigi, 29 (Piazza Cavour). 
Le iscrizioni verranno chiuse tassativamente l'1 marzo ma c'è uno sconto particolare per chi si iscrive entro il 20 febbraio.
 
PROGRAMMA:
 
Primo giorno:
1) Introduzione e incontro con gli attori.
2) Presentazione e interviste a ciascun attore partecipante.
3) Prove in coppia delle scene assegnate. Mediante una regia attenta e personalizzata  si individueranno e correggeranno eventuali errori con l’intento di riconoscere i principali punti deboli dell’attore per migliorarne il rendimento nella performance.
4) Ripresa in video delle scene provate.
 
Secondo giorno:
1) Visione collettiva del materiale registrato, esame dei risultati ottenuti.
2) Prove di nuove scene e improvvisazioni.
3) Feedback del lavoro svolto e conclusioni.
 
 
La quota di partecipazione è di 160 euro e 80 euro per gli uditori.
E' previsto uno sconto del 10% per chi proviene da agenzia.
 
 
Numero massimo allievi per classe: 22
 
 
 o chiamando il numero 342 3577589 
 
 

Pino Pellegrino da anni lavora come Casting Director per il Cinema in particolare è noto per aver affiancato più volte il regista Ferzan Ozpetek (Mine vaganti, Un giorno Perfetto, Saturno Contro, Cuore Sacro, La Finestra di Fronte, Le Fate Ignoranti). Ha seguito inoltre numerosi film come La Kryptonite nella borsa di Ivan Cotroneo, La Bella Gente e Gli Equilibristi di Ivano De Matteo.

Per quanto riguarda la televisione ha lavorato per diverse fiction (Crimini, Il Bello delle donne, E poi c’è Filippo....)

A qualcuno piace RARO

Venerdì 05 Agosto 2011 15:38

La rubrica CINEMARARO, ospitata ormai da diverso tempo sul sito www.centraldocinema.it, trae ispirazione da altre esperienze analoghe, come siti dedicati ed iniziative editoriali cui in passato ci siamo più o meno avvicinati. CINEMARARO vuole illuminare quei film che non riescono ad avere un'adeguata distribuzione nelle sale cinematografiche italiane. Avendo stimato a poco meno di 4000 i cinema del nostro paese, si vuole porre l'attenzione su quelle pellicole che escono in prima battuta in non più di 40  copie.

A volte hanno lunga tenuta, restando in poche sale addirittura per mesi, incassando anche più di altre che escono in un numero molto maggiore, ma già la settimana dopo vedono ridursi drasticamente il numero degli schermi su cui sono presenti per mancanza di spettatori. Da qui nascono piccoli casi, come quello di Crash di Paul Haggis,che ebbeun debutto in sordina per poi essere ridistribuito all'indomani della vittoria dell'Oscar in maniera più consistente. Emblemi di una realtà e di una società uniche nel loro genere come quella nostrana, sono i film italiani, che purtroppo la fanno da padrone nel panorama del Cinema Raro, tra i quali negli ultimi anni sono emersi dei piccoli capolavori come L'aria salata, Apnea, La velocità della luce e Non è ancora domani La pivellina) o piccoli fenomeni di incasso (sempre relativo) quali Coverboy e Il rabdomante. A volte sono degnati di una comparsata in un'unica sala per una settimana, dopo anni dalla loro realizzazione, per poter finalmente ottenere il tanto agognato contributo statale, di cui non raramente hanno usufruito, come fu per Hermano di Giovanni Robbiano.

Alcune case di distribuzione, come la Pablo di Gianluca Arcopinto e la Sharada di Andrea De Liberato, sembravano essersi specializzate nel diperato recupero di queste pellicole, per poi fallire inesorabilmente. Attualmente Ripley's Film, Archibald Pictures e la Sacher di Moretti sembrano ostinarsi, anche se non esclusivamente, nella diffusione di questi ”poveri” film

Incredibile, ma vero, il calderone di CINEMARARO è un guazzabuglio variopinto  e stupefacente, tanto ricco di autori ed attori da destare spesso sorpresa e successivo rammarico. Lynch, Herzog, Eastwood e Gilliam sono stati recentemente relegati a distribuzioni ridicole. Will Ferrell (che negli ultimi anni ha ereditato da Chevy Chase il ruolo di comico famoso in patria, ma ignorato da noi,  malgrado l'insistenza dei distributori), Thomas C. Reilly, Ben Affleck, Dwayne “The Rock” Johnson si candidano involontariamente a principi del CINEMARARO. Sul versante italiano troviamo molti dei vecchi maestri quali Olmi, Citti, Lizzani, Scola o piccoli eroi come l'inossidabile ed infaticabile Stefano Calvagna, l'italo-finlandese Anne Riita Ciccone, il nuovissimo protagonista dell'horror made in Italy Gabriele Albanesi o quel genietto di Angelo Orlando.

Il CINEMARARO comprende inoltre il cosiddetto Cinema d'essai edanche la rinascita del documentario, soprattutto italiano, poiché se non ci si chiama Michael Moore o non ci si fregia di testimonial quali cantanti famosi è difficile raggiungere il grande pubblico. Oltre allo sdoganamento dei fondi di magazzino inseriti in pacchetti ad uso e consumo degli esercenti, ultimamente si sta verificando sempre più il fenomeno delle “uscite tecniche”, ossia di film che arrivano in varie multisale sparse lungo la penisola, pressoché irrintracciabili, per poi poter avere libero accesso alla TV o alla distribuzione in DVD, spesso  già annunciata al momento dell'uscita. Fenomeni estremi e nuovissimi, anche se non infrequenti, sono stati la trilogia Pusher di Winding Refn, Giallo/Argento del povero Dario e Ubaldo Terzani horror show di Albanesi, approdati in sala dopo mesi dalla loro comparsa in DVD.

Chi si occupa di CINEMARARO non è un matto, né un misantropo, un menagramo, un martire, né tantomeno un benefattore, né ancora uno snob. Odiato (ed a volte evitato) da diversi uffici stampa per i pochi film che recensisce rispetto al numero di anteprime cui presenzia, chi ha deciso di occuparsi di Film Rari è un vero e proprio cacciatore. Anzi, un predatore. Disposto a recuperare CON OGNI MEZZO i film che gli interessano, egli infatti non esita poi ad andare in sala o a sperticarsi in ripetute mail a promotori, distributori, produttori, registi o anche attori delle pellicole in questioni.

L'aneddotica vuole che in tali contesti si sia sentito rispondere dai produttori di un film che per “ovvi motivi” non potevano inviargli un DVD, pur offrendosi di organizzargli un'irraggiungibile proiezione dalle parti loro (cioè a centinaia di chilometri dal suo luogo di residenza) e più avanti ancora gli consigliavano il recupero in sala (sempre a distanze improponibili) al motto “sentirà che botto fa in sala”. O come non ricordare ancora il regista di un'altra pellicola che gentilmente faceva recapitare in redazione il DVD del film, lagnandosi però che la sua opera non era poi così invisibile, perché uscito in un importante circuito internazionale (vero), ma in realtà nelle solite poche copie? Oppure non si dimentica quella produzione che garbatamente invitava l'esperto all'anteprima, con tanto di moglie al seguito, ma compiva occulti gesti apotropaici confidando in una distribuzione più congrua, che risultò poi nel solito pugno di sale. O il produttore dell'ultimo (mediocre) film del figlio di un noto maestro dell'Horror nazionale che ne annunciava la distribuzione in 150 copie per poi abbassarsi drammaticamente sotto l'acuminata soglia dell'invisibilità. O ancora il produttore che consegnava nelle mani dell'esperto una rara copia in VHS (!) del film (rivelatasi per giunta incompleta!), lamentandosi di un altro suo film,  per il quale auspicava un lancio in più grande stile, respingendo la malaugurata collaborazione dell'esperto, e che anni dopo dovette accontentarsi di poco più di una sala. Come tralasciare infine quella grossa distribuzione internazionale che, pur molto gentile e disponibile, ha sempre dichiarato di evitare i DVD screener per motivi legati alla pirateria, ma i cui film usciti in poche copie sono spesso facilmente reperibili tramite download (illegale) ed ancor più spesso pure doppiati in italiano? Che ci sia una talpa?...

 

La palma d'oro (di che?) va comunque a quel regista, inevitabilmente partenopeo, che negò l'invio del proprio film – a Napoli c'è un altro, non trascurabile fenomeno, quello dell'uscita locale travolgente – poiché troppo impegnato a festeggiare per la buona riuscita della propria pellicola...

 

Tra perle rare ed immondizia diffusa, nel regno della mediocrità imperante, per noi è comunque importante dare risalto ad ogni pellicola che riesca a raggiungere, pur con difficoltà, la sala. Poiché dietro un film c'è sempre un progetto e l'impegno di un gruppo di persone che a vario titolo vi hanno creduto.

 

 

Paolo Dallimonti

Fanta: Tastes like teen spirit!!!

Martedì 19 Luglio 2011 10:50

(Domenico Vitucci, responsabile della programmazione del Nuovo Cinema Aquila, ci concede l’uso dell’articolo sul nuov(issim)o cinema italiano da lui scritto per il catalogo del Fantafestival 2011, nel quale si augura che il cinema italiano ‘indie’- o autoprodotto che dir si voglia – decolli verso lidi sempre più pop e meno polverosi… NOTA: il titolo è un’esclusiva per il nostro sito!)

Nel nostro paese c’è un tesoro che continua a rimanere nascosto: è quello ribattezzatosi del ‘nuovissimo cinema italiano’, autentiche orde di giovani cineasti che potrebbero essere il futuro del nostro panorama filmico. Ma per i media e gli addetti ai lavori è come se non esistessero…

Nomi che ai più al momento non dicono nulla sono fermamente decisi a conquistare quel trono reso traballante dalla scarsa futuribilità dei loro cugini più grandi. Tutto ciò a suon di pellicole auto-prodotte e distribuite sala per sala, realizzate in estrema povertà di mezzi e rapidità grazie alle nuov(issim)e tecnologie, promosse attraverso proiezioni stampa in streaming e social network, pronte a fare a meno di cartelloni e pubblicità cartacee giacché dotate di voci allenate a ben altri strilli, dalla portata ‘virale’.

“Prendere” la luce : vantaggi e limiti

Giovedì 28 Febbraio 2013 00:42

Workshop tecnico diretto da Giorgio Amendola 

13 e 14 aprile

Qual'è il corretto modo di porsi difronte ad un obiettivo cinematografico? Quale la migliore esposizione per una perfetta inquadratura e resa visiva? 

Un corso tecnico per attori, attrici e per chiunque volesse approfondire le proprie conoscenze nel campo della fotografia cinematografica, che insegna trucchi e metodi per far risaltare la propria immagine sullo schermo nel miglior modo possibile.

Il tutto spiegato da Giorgio Amendola, fotografo professionista che del cinema conosce bene le caratteristiche tecniche e le possibilità pratiche e che da 25 anni si occupa proprio di provini cinematografici per i più affermati interpreti.

Un work in progress intensivo unico, capace di dare i migliori consigli possibili per fare del tuo provino qualcosa di unico.

 

Il corso si svolgerà a Roma

sabato 13 aprile dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18

domenica 14 aprile dalle 14 alle 18

presso lo studio Imago Casting, via Marianna Dionigi, 29 (Piazza Cavour).

 

 

Il programma svilupperà i seguenti punti:

 

  • Analisi degli aspetti morfologici del viso

  • Dallo spazio al video: rappresentarsi nello spazio tridimensionale muovendosi nelle due dimensioni dello schermo.

  • Esempi pratici di varie illuminazioni con corpi illuminanti diversificati

  • Conoscenza dei rapporti delle ottiche cinematografiche .. ovvero quali sono le distanze ottimali dagli obiettivi e i punti focali delle inquadrature

  • Esercitazioni pratiche e individuali con foto e video

     

 

Alla fine del corso verrà realizzato un provino per ogni singolo partecipante.

La quota di partecipazione è di 230 euro da versare al momento dell'iscrizione.

Le iscrizioni scadranno tassativamente il 7 aprile. E' prevista una riduzione a 200 euro per chi si iscrive entro il 25 marzo.

 

Numero massimo allievi per classe: 22

 

per maggiori informazioni :

contattare Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. (oggetto e-mail “workshop Amendola”)

o chiamare il numero +39 342 3577589

 

Giorgio Amendola è fotografo professionista DP con 25 anni di esperienza.
Photoreporter, nella prima parte della sua carriera ha iniziato a lavorare con settimanali e mensili di larga diffusione come TV Radiocorriere, Gente , Oggi, Chi?, con pubblicazioni anche sulle copertine di stampa estera come Bunte, Daily Mirror, Paris Match.
Dal 1998 e' passato a produzioni fotografiche pubblicitarie anche come direttore della fotografia.
Lo studio Imago Casting nel centro di Roma e' diventato una realtà produttiva di riferimento per casting internazionali, produzioni audiovisive e fotografiche e per gli effetti digitali.

www.giorgioamendola.net

Con il meeting svoltosi in Croazia alla fine del mese scorso FERA (Federazione Europea dei Registi Cinematografici), 39 associazioni nazionali in rappresentanza di 29 paesi dell'Unione, ha elaborato un documento che risponde ai temi oggetto del Documento di Discussione in prospettiva della stesura della nuova Comunicazione sul Cinema da parte della Commissione Europea.

Dal 1980 FERA si propone attività di promozione di politiche che massimizzino la creatività e il potenziale commerciale e sociale del settore audiovisivo e vuole rappresentare la voce indipendente dei registi, come principali creatori delle opere audiovisive. Quello che FERA si propone è la tutela dei diritti artistici ed economici del regista, responsabile finale della continuità estetica e dell'integrità artistica dell'opera, considerandolo elemento essenziale nella diversificazione della cultura audiovisiva.

Partendo dall'assunto che le opere audiovisive e quelle cinematografiche in particolar modo, svolgono un ruolo riconosciuto come essenziale nella formazione delle identità europee, oltre che offrire opportunità per creare ricchezza e occupazione, e considerando che per la struttura del mercato europeo, i finanziamenti concessi dagli enti pubblici sono potenzialmente in grado di falsare la concorrenza e incrinare l'equilibrio degli scambi economici all'interno degli Stati dell'Unione, nel 2001 fu adottata la prima Comunicazione sul Cinema, per stabilire i criteri di valutazione degli aiuti statali alla produzione di opere cinematografiche e audiovisive.

La validità della prima Comunicazione sul Cinema è stata più volte estesa negli anni, ma le norme attualmente in vigore scadranno alla fine del 2012, rendendo quindi necessaria un'ultima ed approfondita riflessione corale sulle tematiche di maggior rilievo emerse negli anni di applicazione.

Punti nodali della riflessione e del Documento di Discussione sono individuati nell'impatto economico e culturale delle spese legate alla territorializzazione, l'estensione del finanziamento ad aspetti diversi dalla produzione tout court (ad esempio la distribuzione del prodotto e la proiezione digitale), e la concorrenza tra alcuni Stati membri per l'utilizzo degli aiuti di Stato per attrarre l'investitore straniero, prevalentemente statunitense.

 

D'altra parte la creazione di un'opera audiovisiva è sempre un progetto ad alto rischio, quando ci si accinge a sviluppare un progetto non c'è alcuna certezza di entrare poi effettivamente in produzione, e quand'anche prodotta, non si conosce in anticipo quale potrà essere l'impatto dell'opera sul mercato.

Risulta quindi difficile per i produttori ottenere un sostegno commerciale iniziale tale da permettere la costituzione di un pacchetto finanziario che possa portare avanti il progetto produttivo. L'intervento statale apparrebbe quindi fondamentale in questo ambito, divenendo il fattore chiave per le piccole produzioni cinematografiche europee, garantendo un abbattimento del rischio, agli occhi dell'investitore privato nella fase cruciale del lancio del progetto.

 

 

Meccanismi di controllo della gara alle sovvenzioni volte ad attrarre le grandi produzioni cinematografiche

 

Una tendenza apparentemente inarrestabile alla concorrenza tra stati membri nell'utilizzo degli aiuti statali allo scopo di attrarre gli investimenti esteri, prevalentemente statunitensi, sembra richiedere il perfezionamento di criteri di valutazione. Le grosse società di produzione d'oltreoceano con disponibilità di budget milionari, di gran lunga superiori ai budget delle tipiche produzioni europee, hanno un ventaglio molto ampio di scelta. Il film sarà prodotto in ogni caso, la scelta cade sul dove esso sarà prodotto e, quindi, i paesi dotati di strutture di produzione di grande dimensione, cercano di attrarre l'investitore straniero con gli strumenti degli incentivi fiscali. Per quanto una politica di attrazione basata sulle sovvenzioni, porti le grandi produzioni a scegliere l'Europa, questo sistema è suscettibile di creare un effetto distorsivo sulla concorrenza fra i siti di produzione europea e, nella misura in cui questo uso delle sovvenzioni generi concorrenza tra gli stati membri, ciò va a discapito sia del settore che dei contribuenti europei. Evitare quindi la corsa alle sovvenzioni è appunto uno degli obiettivi delle disposizioni del trattato.

L'intensità massima di aiuti, stabilita nel 50%, consente l'erogazione di finanziamenti elevatissimi a tali produzioni. E seppur indirettamente, tale sostegno vada anche a favore dei servizi europei di settore, è possibile che la maggior parte degli utili derivati vada al di fuori della UE e pertanto non contribuisca alla sostenibilità a lungo termine dell'industria cinematografica europea.

Un tentativo di affrontare la corsa alle sovvenzioni, è stato l'introduzione del criterio, ormai noto, di valutazione del valore culturale del film. Il Regno Unito subordina l'erogazione dell'incentivo fiscale ad una sorta di “test culturale”, e sulla scia della Gran Bretagna, altri paesi membri hanno introdotto analoghi criteri propedeutici.

Tuttavia sulla base dell'esperienza fin qui maturata, la Commissione ritiene che i criteri indicati dalla Comunicazione sul Cinema si rivelino inadeguati ad impedire la concorrenza tra regimi di aiuti alle produzioni estere e che sia inoltre difficile individuare criteri limitativi dell'effetto distorsivo della concorrenza. Ipoteticamente si potrebbero limitare gli aiuti erogati ad un dato importo e non ad una percentuale, partendo dall'assunto che le grosse produzioni siano capaci di ottenere finanziamento da altre fonti e a condizioni commerciali.Altra ipotesi potrebbe essere l'introduzione dell'obbligo di reinvestire parte degli utili, ricavati dall'opera sovvenzionata, nel paese di erogazione del contributo.

 

FERA si dichiara concorde nella valutazione di beneficio derivante dall'attrazione di produzioni straniere, specialmente per paesi a bassa capacità produttiva, che assicurino continuità per le maestranze locali e contribuiscano ad investimenti produttivi nel settore. È altresì opinione di FERA che il cosiddetto “test culturale” sia un valido strumento di valutazione nell'obiettivo di una politica pubblica di sostenibilità a lungo termine dell'industria audiovisiva, poiché una massa critica di progetti di valore culturale contribuisce alla continua crescita dei professionisti del settore, attraverso la pratica e l'esperienza. In quest'ottica sarà opportuno tener presente che la scelta di un paese piuttosto che di un altro non dipende esclusivamente dal tenore degli incentivi statali, ma anche da scelte di produzione dovute alle esigenze di copione, alle infrastrutture e ad i servizi offerti dal paese ospitante e all'abilità delle maestranze locali.

Gli incentivi fiscali, per FERA, garantiscono che l'Europa possa rimanere fulcro creativo e punto di riferimento in un mercato globale altamente concorrenziale, e limitarne l'utilizzo non significherebbe convincere la produzione hollywoodiana a rimanere nell'ambito statunitense, ma vorrebbe dire favorire altri siti di produzione, ad esempio l'Asia. FERA, tra le ipotesi contenitive della corsa al sovvenzionamento predilige la seconda, ovvero la subordinazione dell'erogazione del contributo o dell'incentivo, all'assunzione di obbligo di reinvestimento di parte del ricavato, nel paese produttore.

 

 

Quali fattori dovrebbero essere presi in considerazione ai fini dei criteri di valutazione degli aiuti di Stato per le attività diverse dalla produzione?

 

Attualmente alcuni stati membri offrono sostegno ad attività diverse dalla produzione in senso stretto, quali la sceneggiatura, lo sviluppo del soggetto, l'archiviazione e la conservazione delle stesse opere, e, benché tali forme non siano ufficialmente contemplate dalla Comunicazione sul cinema, la Commissione vi applica comunque i criteri da essa previsti.
FERA concorda sul fatto che sia opportuno estendere formalmente il campo di applicazione della Comunicazione sul Cinema fino ad includere tutti gli aspetti che vanno dall'elaborazione del soggetto fino alla programmazione in sala dell'opera.

Inoltre, per essere pienamente efficaci, gli aiuti di Stato dovrebbero includere sostegni alla promozione e alla distribuzione delle opere audiovisive europee, non tralasciando il supporto economico alla proiezione digitale e alle sale cinematografiche in zone rurali.
Il modo in cui il pubblico potrà accedere ad opere audiovisive europee influenzerà il successo dei regimi di sostegno pubblico.
Le modalità di finanziamento, applicata alle singole aree geografiche, si rifanno ai particolarismi dei contesti nazionali, non mostrandosi uniformi ma flessibili da paese a paese.

 

 

Quali dovrebbero essere le intensità massime degli aiuti?

 

Sembra che le intensità massime degli aiuti compatibili a norma della Comunicazione sul Cinema (in genere il 50% del bilancio di produzione) siano state accettate dal settore, e dello stesso avviso è anche FERA, che ritiene inoltre cruciale la già prevista intensità di finanziamento più elevata per quanto riguarda film di difficile produzione e con risorse finanziarie modeste.

Altra questione verte sull'opportunità o meno di mantenere l'intensità degli aiuti al 50% del bilancio totale del progetto se altre attività diverse dalla produzione dovessero essere contemplate dalla nuova Comunicazione sul Cinema.

Secondo FERA in questo caso, sarebbe più opportuno stabilire un'intensità massima di aiuti per ogni singola attività, proprio per le diversità intrinseche ad ogni singola fase del progetto. Ad esempio si potrebbero finanziare anche integralmente le attività di elaborazione del soggetto e di scrittura della sceneggiatura, passaggi che in genere vengono svolti da un singolo creativo al di fuori di una società di produzione, in una fase embrionale del lavoro, in cui è difficile reperire un qualsivoglia finanziamento di altro tipo.

Per quanto riguarda invece la promozione della cooperazione transfrontaliera e, considerati gli effetti positivi della co-produzione sia in termini di accrescimento della diversità culturale che di circolazione delle opere, FERA auspicherebbe una maggiore intensità complessiva di aiuti, considerando accettabile il 60% proposto dal Documento di Discussione.

 


Le condizioni territoriali

 

La Comunicazione sul Cinema del 2001 fa osservare che una certa dose di territorializzazione può “risultare necessaria per garantire il mantenimento delle competenze umane e tecniche occorrenti per realizzare opere a carattere culturale”.
FERA auspica il mantenimento delle attuali condizioni nella prossima Comunicazione sul Cinema. Lo “Studio sull'impatto economico e culturale, in particolare sulle co-produzioni, delle clausole di territorializzazione regimi di aiuti di Stato” del 2008 non fornisce alcuna evidenza che una revisione della attuali norme si tradurrebbe in una maggiore efficienza nel mercato. Né vi è prova che il rigore degli attuali requisiti territoriali sia tale da generare distorsioni della concorrenza all'interno del mercato UE.

Nell'ambito della produzione cinematografica non c'è una logica di standardizzazione del prodotto, ogni membro del team ha un ruolo preciso da ricoprire nella realizzazione della visione artistica del film. Molti registi vogliono lavorare con le professionalità con cui hanno già lavorato e nelle cui capacità di interpretazione creativa del progetto hanno fiducia. Lavorare all'estero con troupe e tecnici di sconosciuti, viene valutato come rischioso.
La maggior parte dei film europei e programmi TV sono prodotti sul terreno di casa a causa di fattori di ordine non necessariamente o principalmente economico, ma creativo e culturale. La maggioranza dei soggetti richiedono attori locali e location particolari, tenendo in conto il fatto che i registi europei fanno meno uso di studi e teatri di posa rispetto agli omologhi americani ed internazionali.
Il 20% del finanziamento pubblico all'audiovisivo europeo (incentivi fiscali non inclusi) proviene dalle regioni.
Modifiche alla territorializzazione si tradurrebbero inevitabilmente in una contrazione del finanziamento dei prodotti culturali, non solo nella regione direttamente colpita dalla riduzione degli incentivi, ma in tutta Europa.
Eliminare un meccanismo fondamentale per il sostegno alla produzione cinematografica da parte degli Stati membri, significherebbe distruggere dalle fondamenta un settore già di per sé profondamente vulnerabile, rischiando di rimarcare l'impossibilità di alcune nazioni e regioni di continuare a mantenere una massa critica di attività che possano salvaguardare le competenze e le infrastrutture, assicurando al contempo la diversità culturale.


La rivoluzione digitale influisce sulle norme in materia di aiuti di stato?

 

L'industria cinematografica negli ultimi anni ha affrontato la sfida delle nuove tecnologie, e del cambiamento progressivo di abitudini da parte dei fruitori; le strutture e i modelli commerciali esistenti invece risentono di una produzione di film europei superiore rispetto a quanto i sistemi di distribuzione convenzionali siano in grado di sostenere. I cineasti americani invece già da tempo sfruttano abilmente approcci alternativi di tipo digitale rispetto agli europei.

Questa esperienza suggerisce che forse le norme sugli aiuti al settore audiovisivo dovrebbero contemplare anche una serie di sostegni allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla formazione del personale.

Alcuni stati europei ritengono che occorra valutare diversi tipi di opere (i cosiddetti crossmedia, ovvero progetti cinematografici che si sviluppano tramite film, tv online, dispositivi mobili e videogames), utilizzando gli stessi criteri delle produzioni cinetelevisive.

FERA, sebbene ritenga che la definizione di opera audiovisiva possa essere estesa a tutte le opere i cui modelli di produzione e di distribuzione condividano le stesse caratteristiche delle produzioni cinematografiche e televisiva, non è invece dello stesso avviso per quanto riguarda il settore dei crossmedia e dei videogiochi. Anzi, suggerisce alla Commissione Europea di prendere in considerazione la stesura di una Comunicazione separata per queste opere, il cui modello di business è sostanzialmente dissimile da quello dell'opera cinematografica e televisiva, considerando questi soggetti nell'ottica di opere puramente commerciali, che dovrebbero restare fuori dai regimi di sostegno alle opere culturali.

Dal meeting è emerso che, nonostante le evoluzioni nei formati di produzione e di distribuzione, le sfide fondamentali restano le stesse. Gli equipaggiamenti di produzione digitale non riducono significativamente il numero di membri della troupe o le tempistiche di produzione. Il supporto alla distribuzione (su tutte le piattaforme) e alla promozione sono ancora indispensabili per creare domanda. Nella transizione al digitale andrebbero tenuti in conto i tempi ragionevolmente tecnici per attuare lo svecchiamento e adottare nuovi modelli di business sostenibili.

Gli Studios americani si dimostrerebbero un ottimo investitore nel campo della digitalizzazione delle sale, ricavandone però una contropartita nell'assunzione di obbligo di una loro programmazione che andrebbe ad indebolire le uscite in sala europee. Sotto questo punto di vista gli aiuti statali rappresentano un fattore importante per mantenere il controllo dei nostri schermi oltre che agevolare il passaggio alla conversione al digitale.

 

Si dovrebbero imporre condizioni per il sostegno alla produzione volte a facilitare la transizione al digitale, per esempio richiedendo che sia realizzato un master digitale dell’opera e che le opere realizzate con fondi pubblici vengano diffuse con licenze Creative Commons?

 

 

Le norme sugli aiuti di Stato dovrebbero essere indirizzate ad ammortizzare l'impatto sul mercato, non ad espropriare i diritti di proprietà intellettuale. Con un tetto massimo all'intensità degli aiuti di Stato i produttori sono obbligati a trovare investitori privati, e questo sarebbe impossibile se non ci fosse nessuna prospettiva di recuperare l'investimento. E' nell'interesse di tutti che i film siano visti dal pubblico più vasto possibile e per questo, dal punto di vista della Federazione dei Registi, i titolari dei diritti devono essere liberi di scegliere il miglior modello di licenza al fine di raggiungere l'obiettivo. Parrebbe del tutto fuori luogo quindi suggerire l'imposizione della licenza "Creative Commons" su opere che, essendo solo in parte sostenute da finanziamento pubblico, devono comunque accedere al mercato del finanziamento privato o dell'autofinanziamento.

Oggi diversi schemi di finanziamento nazionali subordinano l'erogazione dei sostegni economici all'obbligo di deposito di una copia master dell'opera, nell'ottica di contribuire così allo sviluppo della cultura cinematografica e della sua divulgazione. FERA concorda in merito all'obbligo di deposito a scopo di archiviazione e conservazione ma, per quanto riguarda qualsiasi tipo di utilizzo a scopo culturale ed educativo, ritiene esaustive le norme relative al diritto d'autore, escludendo questa tematica dalla nuova Comunicazione sul Cinema.

In conclusione il Documento di Discussione sembrerebbe assumere che una regolamentazione supplementare nel settore del settore audiovisivo potrebbe massimizzare l'impatto degli aiuti di Stato. FERA in questo caso non è d'accordo. Le opere audiovisive europee possono raggiungere nuovo pubblico globale se opportunamente incentivate e sostenute. Va tenuto conto infatti che la sovra-produzione europea di cui sopra, rispetto ad una ridotta domanda, si scontra con le potenzialità di marketing del prodotto americano; gli aiuti di Stato dovrebbero svolgere la funzione di livellare il campo di gioco e incrementare la competitività del prodotto europeo. In Europa e fuori dell'Europa.

 

 

Lidia Nucera

 

 

Link utili:

 

Documento di Discussione

http://ec.europa.eu/competition/consultations/2011_state_aid_films/index_en.html

 

Comunicazione sul Cinema

http://ec.europa.eu/avpolicy/reg/cinema/index_en.htm

 

FERA official site

http://www.filmdirectors.eu/

 

 

Study on the economic and cultural impact, notably on co-productions, of territorialisation clauses of State aid schemes for films and audio-visual productions

http://ec.europa.eu/avpolicy/docs/library/studies/eac/02_04_call_s84_071312.pdf

http://ec.europa.eu/avpolicy/docs/library/studies/territ/corr.pdf

 

 

Tomboy

Domenica 16 Ottobre 2011 23:16

 

Ieri sera al Nuovo Sacher ho visto questo piccolo, breve, delicatissimo film francese presentato con successo a Berlino e in diversi festival minori. Fortunatamente e inconsapevolmente è stato proiettato dai bravi esercenti morettiani in versione originale e dico fortunatamente perché se il doppiaggio è sempre da evitare lo è ancora di più quando si tratta di film con bambini protagonisti, le loro espressioni molto naturali non possono subire un doppiaggio in studio da parte di altri bambini. E’ assurda la sola idea.

Tomboy è il protagonista e ha 10 anni. Tomboy è un nomignolo. Il nome vero è Laure o Mikael. Tomboy è un termine pressappoco simile a quello che a Roma si usa per “maschiaccio” rivolto alle ragazzine con atteggiamenti maschili nel vestirsi, nella scelta dei giochi, nel parlare. Tomboy sta scegliendo la propria attitudine sessuale e nemmeno lo sa, forse. Tomboy lo capisci subito dal titolo che la regista decide di offrirci su sfondo nero prima con la scritta azzurra, poi rosa e poi finalmente alternata azzurra e rosa. Colorata non monocromatica come è giusto che sia la natura dei bambini.

Il periodo di svolgimento dell’azione è molto breve, dura meno di un’estate quella in cui i genitori che attendono un nuovo bambino, la sorellina Lisa e Tomboy si trasferiscono in nuovo appartamento. Anche in questo è bravissima Céline Sciamma: a non prolungare troppo la fase di “osservazione” nella vita di Tomboy. E’ un breve periodo, cruciale della vita del protagonista che ci permette di seguirne con la mdp attaccata al corpo movenze, reazioni, giochi, pensieri, senza troppe filosofie. Solo il quotidiano. C’è un’altra grandissima protagonista nella storia di Tomboy e badate bene non è Jeanne la ragazzina grande che inevitabilmente si “innamora” di questo nuovo arrivato, ma la sorellina Lisa. Straordinaria sia per come “recita” ma anche fondamentale nel ruolo. Lisa è l’unica che non si chiede perché Laure abbia deciso di “essere” Mikael. Lo accetta perché le vuole bene, si fida di lei e non ha la malizia e soprattutto il preconcetto dei grandi. E fra i grandi oltre a mamma e papà (più tenero e gentile sicuramente rispetto alla reazione materna in quanto “maschio” e potenzialmente più vicino al sesso che sta scegliendo la figlia) purtroppo ci sono già anche i coetanei di Tomboy... è con loro il vero confronto.

Naturalmente non dico nulla di più ma il finale scelto dalla giovane Sciamma è assolutamente da condividere, senza scene madri o forti, vero e bello come tutto il film. Direi che ricorda molto il finale dell’ultimo film dei fratelli Dardenne “Le gamin au vélo”.

E non è poco... tutt’altro.

Marco Castrichella


 

scadenza del bando: 28/10/2011

Il Concorso Fotografico di Innovation Festival torna e si completa con una sezione dedicata ai video un binomio per raccontare come la tecnologia costituisca uno strumento raffinato per potenziare l’espressività nell’arte, esplorando le frontiere della ricerca e dello sviluppo tecnologico, costituendo un’ occasione di confronto sui temi che ci coinvolgono quotidianamente.

SEZIONI DEL CONCORSO:

-  Video

-  Foto digitale

-  Photo editing

Per ciascuna delle tre sezione potranno essere inviate opere che riguardano i campi di interesse di IF 2011:

 

DESIGN:  design e visioni del futuro, web e nuove tecnologie per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi.

PROGETTARE LE CITTA' - Sviluppo sostenibile ed eco compatibilità:  nel quadro delle moderne problematiche di impatto ambientale il digitale offre nuovi sistemi di controllo, previsione ed elaborazione per le aziende per le organizzazioni e per le pratiche di governo delle comunità.

Cinema, new Media e comunicazione:  le nuove frontiere del digitale e le sue applicazioni nel mondo del cinema e della comunicazione.

Interattività e 3D come cambiano linguaggi e contenuti.

Arte, beni culturali e innovazione:  riflessioni sul presente e sulle trasformazioni future in ambito delle connessioni fra arte e tecnologie digitali e sulle nuove modalità museali.

QUOTA DI PARTECIPAZIONE: gratis

link da cui scaricare il bando e  la documentazione per l'iscrizione:

http://www.provincia.milano.it/economia/it/servizi_attivita/progetti_innovazione/progetti_corso/progetti/concorsofotoIF.html

Il 22 marzo scorso è uscito Grief Is The Thing With Feathers di Teho Teardo. Otto intensissime tracce sulla scia dell’elaborazione di una perdita. L’idea nasce nel 2017 a seguito della lettura dell’omonimo libro di Max Porter (Il dolore è una cosa con le piume, edito in Italia da Guanda) alla quale, un mese dopo, si accoda il regista e scrittore Enda Walsh (tra i suoi lavori più importanti nella scrittura Lazarus con David Bowie e Hunger di Steve Mc Queen) che decide di farne uno spettacolo teatrale. Cillian Murphy ne è il protagonista, ora in scena al St. Ann’s Warehouse di New York fino a metà maggio e già sold out nel mese di aprile al Barbican di Londra.
L’album si fregia di validissimi musicisti oltre che di collaborazioni altisonanti del calibro di Joe Lally (Fugazi) al basso. Grazie ad un ascolto privato e riservato a pochi, ho potuto sentirlo in anteprima, nello studio dove è stato creato, e questa intervista è frutto di questo straordinario incontro. 
 
 
Per partorire questo album hai impiegato quasi 2 anni, quanto è cambiato dal 2017?
 
È cambiato un bel po’ c’erano delle cose che ad un certo punto non mi piacevano più e ho dovuto limare dei passaggi che in scena vanno benissimo ma non hanno lo stesso effetto dentro un disco.
Al 95% la musica è la stessa ma con alcune variazioni. Quando sei in uno spettacolo devi interagire con il luogo, con necessità degli attori e altre di scena e anche l’ascolto di un album ha necessità ben precise, ci sono altri livelli di dinamiche, altre durate. Per lo spettacolo importante è stato anche il buon rapporto con Cillian,con cui già mi ero trovato a lavorare. Lui di fatto è un musicista mancato, avendo iniziato la sua carriera nella musica ma poi, proprio grazie ad Enda, si è riscoperto attore.
 
 
 
È necessario un diverso approccio al cinema rispetto al lavoro per il teatro?
 
No, per me si tratta sempre di fare della musica che deve trovare una via per un progetto. Non  ho uno stile per il teatro, uno per il cinema, questo mi sembrerebbe una stronzata. 
Quando ero ragazzino andavo al cinema e sentivo delle colonne sonore, compravo il disco e talvolta succedeva che aveva tutt’altro effetto non funzionando più o viceversa, ad esempio con la colonna sonora di Paris Texas sono nati bambini anche di persone che conosco. Bisogna tenere presente però che la musica per il cinema o per il teatro deve essere più semplice avere meno elementi, in genere più è elaborata e più tende a sgonfiarsi.
 
Qual’è il tuo riferimento per la composizione nei film o nel teatro?
 
C’è un disco fondamentale che dovrebbe essere studiato ed è la colonna sonora di Sandokan dei De Angelis, quel lavoro ha i titoli che corrispondono alle sequenze del film e quando lo ascolti hai sempre quell’unico riferimento e inevitabilmente questo arresta tutta una serie di possibilità che si potrebbero avere. Se cristallizzi la musica in un punto preciso della narrazione riduci la potenzialità della musica stessa. La diversità del teatro è che comunque lo spettacolo ha un certo numero di repliche ma poi finisce rischiando di trasformare l’ascolto successivo in qualcosa di tendenzialmente nostalgico. 
Io perciò compongo basandomi unicamente sulla sceneggiatura e sui colloqui che ho col regista, questo mi garantisce maggiore libertà.
 
Noi in Italia abbiamo codificato un modo di fare musica per il cinema, penso ad esempio ad Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Morricone che raggiunge vette altissime. Quando ho iniziato a far questo lavoro mi sono domandato che tipo di impostazione volessi seguire, inserirmi in una scia che mi avrebbe portato dritto al piano bar oppure fare altro? Io vengo dal punk rock e ho ritenuto che ci potesse essere anche un altro modo per avvicinarsi ad un racconto. Facendo musica senza basarmi unicamente sulle immagini hai musica svincolata ma legata alla storia, entrando in un gioco che dà vita anche ad una serie di contraddizioni, in una ricerca di connessioni tra quello che ti lancia la musica e quello che evocano le immagini. Si creano così infinite possibilità perché l’immagine ha un perimetro ben definito mentre la musica ha un raggio molto più vasto.
 
 
Hai un compositore di riferimento?
 
I miei compositori di riferimento sono i Cramps, il rock’n roll primitivo e brutale, essenzialmente elementare, perché ci sono talmente pochi elementi che o funzionano oppure no, non c’è scampo. Con la tecnologia, i mezzi, un’orchestra, si può in qualche modo confondere le acque per far passare degli andamenti come delle composizioni invece spesso è soltanto aria fritta. Mi piace quel tipo di musica che poi deriva dal blues degli anni 20/30 dove c’era soltanto un uomo con una chitarra e per allargare le cose usava un collo di bottiglia, erano a quel tempo gli archi dei poveri perché, non potendo permettersi altro, davano in questo modo una distorsione. Amo il concetto di ultraeconomia che con pochissimo devi trovare una soluzione. Molta musica che arriva dal cinema non è così e a me stanca tanto. Le cose che mi colpiscono del cinema sono poche, penso ad esempio al lavoro che ha fatto Sakamoto che però non veniva dal cinema, o Trent Reznor che è un gigante ma arriva da un altro ambito musicale, e secondo me è necessario che dopo cento anni di colonne sonore si cambino un po’ le cose. 
 
Una cosa fighissima dei compositori italiani è che di solito hanno sempre il budget più basso rispetto a tutti. Morricone faceva 50 film in un anno, adesso nell’ipotesi migliore uno ne fa tre, quattro, all’epoca lui aveva molto meno tempo per lavorarci il che vuol dire che tutta una serie di cose non le poteva fare e doveva operare delle scelte, questo modo di lavorare continua ad intrigarmi molto. 
 
Sembra tu abbia un marchio ben chiaro oltre che una forte vicinanza a Londra.. 
 
Sono diversi anni che lavoro assieme ad un certo team e Londra è sempre la base dell’operazione e per me è diventato un luogo di riferimento importante e di conseguenza lo è per la mia musica. Mi fa piacere che si senta che c’è un marchio perché quello che faccio è tentare sempre di cancellarlo per poi immancabilmente ritrovarlo. Uno dei miei gruppi preferiti sono i Ramones che hanno un sound ben codificato che si riconosce nell’immediato. È importante avere uno stile preciso che cambia e si trasforma nel tempo ma che faccia sempre riferimento a ciò che precede e ciò che verrà.
 
 
Qual’è il messaggio che vorresti lanciare e c’è un’evoluzione personale all’interno di questo album? 
 
Non ho messaggi politici palesi, però se penso alle persone che hanno suonato in questo disco, al tipo di circuitazione che ha questa musica è già un tipo di messaggio evidente del mio modo di pensare. È interessante anche vedere che queste idee possano poi avere una diffusione ultramainstream come al Barbican di Londra, però arrivano da un altro punto di inizio e questo è già un messaggio. È comunque una questione talmente privata da diventare politica. Non sono assolutamente in sintonia con l’andamento politico di questo paese e credo che questa musica lo manifesti pienamente. È una musica che non è allineata in alcun modo con gli standard estetici che, sia in modo mainstream che underground, sono imperanti, è un no evidente a tutto questo. PJ Harvey diceva che non serve fare delle gran critiche basta fare dei pezzi e non serve nemmeno fare delle interviste per dirlo, basta fare musica. 
In Italia che musica esce? Ok c’è tutto quello che sappiamo ma c’è anche questo e poi tu le cose le metti tutte lì vicine e le cose parlano da sole, dipende anche da chi vuole ascoltare e da come vuole ascoltare.
 
È una musica che però ritrova le sue basi nel passato e che quindi dovremmo già aver metabolizzato, secondo te rimane ancora solo un ascolto di nicchia? Cosa è successo, ci siamo  arrestati? 
 
Cosa io penso degli ultimi 20 anni di questo paese è che ha iniziato a guardarsi l’ombelico sempre più spesso fino a non vedere più niente. C’è stata un’invenzione del rock italiano che in realtà era rock anglosassone ma solo cantato in italiano e questo secondo me è un problema serio. 
Io ad esempio suono perché a 17 anni un mio amico m’ha portato a vedere James Brown a Pordenone e quando l’ho visto sono rimasto folgorato capendo che volevo fare veramente musica nella vita, essere una presenza sul palco che dice delle cose, io volevo far qualcosa: è come un processo di impollinazione dove c’è un seme nell’aria che ti feconda. Se tu metti in un sistema delle cose sterili non fecondano niente ed è evidente. La musica rock è scomparsa ed è strano che sia letteralmente sparita nelle nuove generazioni. Anche in altri ambiti non c’è tutto questo gran fermento e ho la certezza che all’inizio degli anni ‘90 si sia fatta questa invenzione del rock italiano che abbia distrutto una buona fetta di musica e soprattutto anche un pubblico di ascoltatori. Io sono italiano ma non rappresento l’Italia quando suono, è importante non essere ascrivibili ad una precisa nazione perché non facciamo musica etnica, noi suoniamo per tutti. Negli anni ‘90 sono comparsi una serie di imitatori italiani a rifare quello che facevano gli stranieri. C’è stato un atteggiamento di autoreferenzialità imbarazzante, nonostante vi siano un sacco di artisti talentuosi costretti a tagliare la corda. 
Un esempio di tutto ciò può essere dato da Joe Lally, un bassista impressionante, veniva spesso da me perché ha abitato 8 anni a Roma e siamo molto amici, non l’ha mai chiamato nessuno a suonare nel periodo che ha passato qui. È un fuoriclasse, oltre ad essere un uomo che ha avuto un’esperienza clamorosa nella musica, avrebbero potuto contattarlo prima di fare ritorno a Washington 2 anni fa, invece non sapevano nemmeno chi fosse, questa è una cosa davvero significativa.
 
 
Max Porter parlando del tuo album dice: è difficile ascoltare la musica senza sentirsi tristi ma anche pieni di speranza, sei d’accordo?
 
Sì sono d’accordo nel senso che la mia musica è nel dark side delle cose che è un punto di osservazione, il che non significa che io abbia uno sguardo pessimista ma che guardo da un’altra angolazione per vedere la realtà. 
 
Mi è venuta in mente una bella intervista a Jim Jarmusch, in occasione di un suo film dove ho lavorato, nella quale diceva che l’hanno ispirato i cani nel guardare, perché i cani quando osservano inclinano la testa per capire meglio. Nello stesso film c’è Blixa che dice io per capire una cosa devo rovesciarla e, sempre in questo film, c’è Bowie che dice io per mettere bene a fuoco una cosa devo farla saltare per aria. Sono tutte espressioni abbastanza forti, quasi negative, ma in realtà è il contrario. Qui c’è un punto d’osservazione che parte dall’oscurità ma poi guarda verso una possibilità. Credo che questo sia il mio lavoro più oscuro e che sia anche il disco dove la maggior parte degli elementi dentro spingono per venire alla luce. 
 
Sembra un percorso di elaborazione del lutto anche in base alla scaletta che hai scelto, questa rottura dell’abitudine fino all’ultima traccia dove si ha una sensazione quasi di lasciare andare dopo aver raschiato il fondale, di risalire per riprendere aria.. 
 
Il tema principale è tutto giocato sulla scia del ricordo e sull’elaborazione della perdita. Poco tempo fa se n’è andata la mamma di Enda e volevamo qualcosa che servisse a rievocarla, sia una voce quindi che una sonorità ricercata e adatta a questo scopo, la voce di Susanna Buffa non ha un testo sono solo dei vocalizzi e anche la melodia è molto contenuta, è quasi un ectoplasma sonoro che arriva ad un certo punto e poi se ne va.
 
 
Ma come si può musicare una perdita? 
 
Evocare qualcuno che non c’è è un modo per raccontare una perdita, mi allungo così tanto verso te per cercarti ma nel buio non ti trovo. Questa voce questo fa, si appoggia a tutta una serie di passaggi di pizzicato di violoncello e viola che non portano da nessuna parte e ad un certo punto si srotola verso una parte musicale più melodica, ma la voce gira intorno a se stessa ed è come se brancolassimo un po’ nel buio. 
Uno dei modi per approcciarci a questo lavoro con Enda è stato parlare delle nostre rispettive madri domandandoci dove fossero adesso, come qualcosa che era presente nei detriti dei nostri discorsi. 
Si evoca qualcuno che non c’è più forse per prendersi cura di quelli che sono rimasti. Molti di noi hanno avuto dei vuoti difficili da colmare e nella musica io ho trovato uno dei modi per farmela passare.
 
Significativa è stata anche la collaborazione passata di Enda con Bowie per Lazarus. Bowie, quando seppe della sua malattia, lo contattò dicendogli è l’ultima cosa che faccio e vorrei farla con te, Enda ebbe un infarto per il carico di responsabilità. E a proposito di perdite ci sono montagne di provini che Bowie mandava tutte le mattine ad Enda tramite pc, perché per un periodo lavoravano a distanza. Un giorno Enda dimenticò questo computer in aereo e tutto quel materiale è andato perso per sempre.
 
 
Chiara Nucera

RIFF AWARDS

Martedì 04 Ottobre 2011 13:35

scadenza del bando: 15/12/2011

Sono aperte le iscrizioni per l’undicesima edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival – Award 2012.Sono invitati a partecipare filmakers e produzioni indipendenti di tuttoil mondo in una delle 8 sezioni tra cui: lungometraggi, cortometraggi,documentari, animazione e sceneggiature. La sezione “new frontiers” darà particolare rilievo alle opere italiane selezionandole e proiettandole in prima serata.


QUOTA DI PARTECIPAZIONE:

Cortometraggi e documentari (dai 30 secondi ai 75 minuti): Euro 10

Film (oltre i 75 minuti): Euro 35

Sceneggiature: Euro 35

La sottoscrizione per tutti gli studenti è di 10 Euro

premi:
Euro 2.500 al primo classificato donati dalla Regione Lazio  più un premio Distribuzioneofferto dal Nuovo Cinema Aquila, sede della manifestazione  che consiste nella possibilità per il lungometraggio vincitore di rientrare nella programmazione del cinema. Verranno inoltre assegnati i RIFF Awards per un valore complessivo di oltre 50.000 Euro.

link da cui scaricare la documentazione per l'iscrizione:
http://www.riff.it/bando-di-concorso/


 

FAUST

Giovedì 03 Novembre 2011 22:37

Proverò a raccontare se non tutte almeno una parte delle sensazioni e impressioni ricevute ieri sera durante la visione del nuovo film del regista russo che appena un mese fa si è aggiudicato il Leone d’oro a Venezia come miglior film. Ho esordito dicendo “proverò” perché gli argomenti e le sollecitazioni che riempiono quest’opera sono molteplici e tutte da considerare.

Il “Faust” chiude la tetralogia sugli uomini e il Potere anche se quest’ultima è ispirata a un personaggio letterario mentre i precedenti tre film erano su personaggi storici realmente esistiti e di rilevanza politica assoluta per il XX secolo: prima “Moloch” (1999) sulla figura privata di Hitler in compagnia di Eva Braun quindi “Taurus” (2001) sugli ultimi giorni di vita di Lenin e infine “Il Sole” (2005) sui giorni della resa giapponese vissuti dall’imperatore Hiroito. Quindi la chiusura con “Faust” naturalmente ispirato al dottore protagonista della tragedia di Goethe. Nella tragedia alla quale Goethe lavorò per tutta la sua vita, il dottor Faust viene avvicinato da Mefistofele che gli promette di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli desiderare che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust da scienziato assetato di sapere e sicuro di se come solo i luminari lo sono, accetta. Il diavolo gli fa conoscere la giovane Margarete la quale si innamora di Faust, inconsapevole del fatto che la carica di Faust è dettata soltanto dal dominio della materia e dalla ricerca del piacere. La sorte di Margarete sarà tragica.

Il regista Sokurov non si discosta molto dal sentiero goethiano ma naturalmente interviene con il suo sguardo, il suo stile inconfondibile, la fotografia così livida e grigia (bravissimo Bruno Delbonnel) che già aveva segnato i precedenti film e che qui trova magicamente la migliore rappresentazione: prima fra grotte cupe, luride che all’occasione da bettole e cucine si trasformano in luoghi per visite mediche e operazioni di vivisezione anatomica, in un borgo tedesco che tanto ricorda quelli narrati da Werner Herzog in Woyzeck o Kaspar Hauser, ma poi in viaggio fra torrenti, boschi e rocce lavate da acque gelide e va detto che la scelta delle locations sia tedesche che islandesi è stata particolarmente curata con degli scenari suggestivi incredibilmente affascinanti e selvaggi.

Il film inizia dove finisce il precedente “Il Sole” vale a dire fra le nuvole dove forse un Dio c’è ed è quello della originaria scommessa con Mefistofele... e poi giù a picco a conoscere l’uomo Faust le sue idee sulla ricerca dell’anima in una scena mostruosamente cruda e violenta. Se Faust non viene visto da Sokurov come l’uomo più affascinante e crudele del mondo (ma in effetti lo è) Satana è realmente brutto come il diavolo mostrato nudo e deriso dalle donne nella splendida scena delle fontane, nella quale vediamo (e Faust vede per la prima volta) Margarete, la fanciulla incredibilmente bella e soave come gli angeli in un dipinto del Cinquecento. La mdp segue i personaggi e come in Arca Russa li avvolge, con un sottofondo appena percettibile di una potente musica sinfonica, doveroso anche qui citare l’autore Andrey Sigle, e soprattutto i personaggi del “Faust” di Sokurov parlano, declamano, dicono moltissimo, la storia non ha misteri è un fiume di dialoghi nella migliore tradizione della cultura russa. Lo script di Sokurov è una sceneggiatura esemplare, ricchissima, completa per forma e contenuti che associata al girato genera il capolavoro.

Faust, sebbene frutto di fantasia, è personaggio quanto mai legato al potere, alla bramosia di successo, di immortalità. Quindi molto aderente ai tempi che viviamo e che, se vogliamo, racchiude da solo i tre leader all’inizio nominati soggetto per la tetralogia di Sokurov. e molti altri ancora che ancora siedono sulle poltrone del potere. Basti pensare a un Putin vista la nazionalità del regista, o anche a un Berlusconi o un Sarkozy qualunque. E ci metterei anche il più grande “Belzebù” ancora vivente, il nostro senatore Giulio il Divo.

 

Marco Castrichella

Pagina 2 di 9