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Visualizza articoli per tag: george clooney

Ave Cesare!

Mercoledì 09 Marzo 2016 11:32

Ave Cesare! Dei fratelli Ethan e Joel Coen è un fantastico dipinto della realtà dietro alla cinepresa. Nella florida America degli anni 50 il produttore e regista Josh Broline (Eddie Mannix) di una grandissima casa di produzione (che potrebbe essere la Disney come la Warner Bros) cerca di fare il film perfetto. Si convince di poter realizzare un kolossal alla Ben-Hur su Gesù Cristo senza offendere nessuna religione presente negli Stati Uniti con l’attore più in voga del momento nei panni di un antico romano redento Baird Whitlok (George Clooney). Tutto procede a meraviglia fino a quando Whitlok viene rapito. Per gli altri registi ignari, alle prese con i propri film lo show deve continuare: Laurence Laurentz (Ralph Fiennes) di cui è difficile anche pronunciare il nome, costringe nei panni di un damerino una stella nascente del Western Hoby Doyle (Alden Ehrenreich) ottenendo pessimi risultati. La star casta e pura dei Musical DeeAnna Moran (Scarlet Johansson) è in realtà una donna dissoluta a cui bisogna trovare un marito per nascondere una gravidanza indesiderata. Burt Gunney (Channing Tatum) è potenzialmente perfetto sa ballare cantare (e recitare!) ma lo considerano solo per ruoli frivoli. Tutto questo chiacchierare viene mediato dalla stampa, qui rappresentata da due sorelle gemelle, Thora e Thessaly Thacker entrambe interpretate da una deliziosa Tilda Swinton. Le musiche di Carter Burwell distendono l’intreccio, la fotografia è brillantemente condita dal make up sfarzoso tipico degli anni rappresentati. I registi attualizzano gli anni 50 e ripropongono le stesse dinamiche che chiunque nel mondo del cinema si ritrova davanti da secoli. Gli sceneggiatori sono fondamentali ma sono messi sempre in secondo piano, il pubblico vede quello che vuole vedere, i registi hanno molteplici interessi ma sono consapevoli delle responsabilità che hanno. La finzione è vera, fuori come dentro al film. Indigesto per tanti versi, cervellotico e confusionario per altri è stato ignorato agli Oscar e frainteso da una stragrande maggioranza di pubblico. E’ cinema dentro al cinema, un circo di giostranti incapaci che crea sogni e elude speranze. Un omaggio vestito da parodia, dove l’amore per questo mondo è sentito quanto criticato.

Francesca Tulli

Money Monster

Venerdì 13 Maggio 2016 10:07
Jodie Foster si conferma una notevole regista. Dopo Mr.Beaver del 2011 e le  collaborazioni con la tv, per cui ha diretto anche un episodio di House of Cards (l numero 22), torna agli intrighi di potere con un cast stellato. Il programma è Money Monster,  il nome (del conduttore) è Lee Gates (George Cloney),  la regista è Patty Fenn (Juilia Roberts). Ogni giorno si occupano dell'andamento altalenante e imprevedibile della borsa. Lei autentica e disciplinata è stanca della collaborazione, scrive per lui i testi e gli suggerisce le battute con il microfono ma Lee è una testa calda, un affabulatore, ammalia gli spettatori paragonando i numeri alle forme di una donna, suggerisce le combinazioni vincenti, le sue previsioni sembrano essere sicure e infallibili, ma non lo sono. Durante una diretta, nello studio dalle retrovie irrompe Kyle (Jack O'Connell), un giovane terrorista a volto scoperto, con una pistola spianata e l'interruttore su una bomba che può far saltare in aria tutti da un momento all'altro. Tutta la vicenda è un  thriller ad alta tensione in cui le parti si ribaltano continuamente. Lo spettatore avverte la claustrofobia dello studio sotto assedio. Per due ore la paura di annoiarsi per lo stesso scenario viene scongiurata dalla sceneggiatura, un mix di humor e colpi di scena. L'attentato si trasforma in un pretesto per smascherare un gioco di soldi prevedibilmente più grande. Con una lunghissima gestazione dal 2012, la regia è stata affidata alla Foster nel 2014  il film è stato prodotto da quattro case differenti: Smokehouse Pictures, Tristar, Village Roadshow e Sony Picture. Il film è stato presentato (in questi giorni) fuori concorso a Cannes 2016. Negli Stati Uniti le tematiche che riguardano la vendita e la perdita delle azioni sono state affrontate al cinema su diversi piani. Se The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (2013) mostrava un drogato Paperon De Paperoni pieno di fica (memorabile DiCaprio che cercava di afferrare il telefono con la stessa molla con cui voleva raggiungere l'agognato Oscar) qui viene mostrata l'altra faccia della medaglia. La Tv come strumento di intrattenimento, la (possibile) morte in diretta che attrae milioni di persone. La macchina folle che spinge lo spettatore a vedere "come va a finire" con l'apparente distanza creata del tubo catodico. Quanto vale la vita di una persona? rispondete pure con comodo dal divano di casa vostra. 
 
Francesca Tulli

Suburbicon

Mercoledì 06 Dicembre 2017 09:55
Un vecchio detto dice: “l’evidenza è la cosa a cui facciamo meno caso”. E’ davanti ai nostri occhi ogni santo giorno, ma è vittima dei nostri assurdi sistemi mentali, il più delle volte falsi, ridicoli e autodistruttivi. Tutto questo riassume buona parte della drammaturgia di Suburbicon, il nuovo lavoro di regia di George Clooney (il suo ultimo film da regista fu il discusso Monuments Men, del 2014), presentato in concorso al Festival del cinema di Venezia 2017. Sceneggiato dai fratelli Coen (Fargo), che scrissero la storia addirittura nel lontano 1986, forse già sapendo che il plot sarebbe stato efficacemente attuale anche oltre il futuro. Non proprio una novità dal punto di vista della messa in scena, ma rimane un cinema ferocie che mette sagacemente in mostra le malefiche perversioni che si celano dietro una comunità perbene e dalla splendida facciata.
 
I maldestri eventi, dei quali sono protagonisti Gardner Lodge (Matt Damon, qui a Venezia anche con Downsizing di Alexander Payne) e famiglia, sono il fulcro di questa cinica commedia umana, che vede l’impeccabile e patinata cittadina di Suburbicon esserne lo sfondo ideale. Siamo nel 1959, in pieno sogno americano. I Gardner sono vittime di una violenta irruzione. La loro casa è teatro di paura e avidità. Forte ripercussioni si scaglieranno su ogni membro della famiglia. Lodge, vista la flemma delle forze dell’ordine locali, cercherà da solo di far luce su quanto successo nella sua bella e colorata casetta. E’ il contesto dal quale inaspettati eventi faranno la loro comparsa. Il male più assurdo ed impensabile farà naufragare una volte per tutte l’aurea di assoluta conformità nella quale il paese si specchiava. I mostri sono comodamente seduti nel nostro giardino e solo i più piccoli con il loro sguardo innocente avranno l’onere di smascherarli.  
La curata cittadina californiana ricorda in tutto e per tutto quella burtoniana di Edward mani di forbice. Generi diversi, ma con la stessa spietata morale.
 
George Clooney si limita a fare il compitino, guidato dai due quotati fratelli del Minnesota. Per carità anche il compitino può essere fatto male, ma il regista americano dimostra di conoscere bene il contesto in cui si trova ed inserendo note hitchcockiane mantiene integro l’interesse. L’ironica e la grottesca drammaticità delle sequenze più riuscite garantisce alla pellicola una solida ed allo stesso tempo sfacciata consistenza narrativa. Commedia nera dove le gag la fanno da padrone. Non declinano mai il messaggio, anzi lo rinvigoriscono giocando proprio sui contrasti. Non manca il ritmo e la compattezza. 
Clooney recupera in pieno la filosofia coeniana frantumando le linee guida del genere Noir, proponendoci sì le stesse dinamiche del genere, ma ridicolizzando i carnefici, spogli di caratteristiche prettamente di genere e portati a figure insicure e sotto certi punti di vista comiche. 
I protagonisti sono degli emarginati e confermano il fallimento del sogno americano. Personaggi (Julianne Moore nel doppio ruolo di Rose e Margaret, e lo stesso Damon) ben caratterizzati dalla scrittura, che inconsuetamente, dal punto di vista attoriale, risultano un po’ impacciati e sottotono. 
 
In questo crollo continuo della razza bianca, che diventa lei minoranza, si scorge con insistenza la parabola del peccato originale mai ripulito. Un film che guarda volutamente nella direzione sbagliata. Verso l’assurdità dei comportamenti di questo mondo razzista e cieco. Non apertamente politico, lascia spazio e strada libera all’etica che ne è una colonna portante.
 
L’arrangiamento musicale è firmato da Alexander Desplat ed è un dichiarato omaggio alle musiche dei film di Alfred Hitchcock. 
 
David Siena