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Premio Solinas Experimenta. I vincitori

Martedì 20 Dicembre 2011 22:27

 

Proclamati i vincitori della prima edizione del Premio Solinas Experimenta, concorso per lungometraggi in digitale low budget per il cinema e le piattaforme multimediali, promosso dal Dipartimento della Gioventù - Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal MIBAC e da RAI Cinema.

 

Domenica 19 dicembre a Roma, si è tenuta la premiazione di questa prima edizione dedicata agli autori under 35. La giuria, composta da Isabella Aguilar, Tommaso Arrighi, Giuseppe Gagliardi, Max Giovagnoli, Annamaria Granatello, Filippo Gravino, Guido Lombardi, Luca Lucini, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo, Mara Sartore, Beppe Tufarulo, Ines Vasiljevic ha selezionato 7 progetti finalisti , tra i 69 lavori pervenuti.

Le sette storie pensate e raccontate per essere sviluppate e realizzate low budget con tecnologie digitali sono: A.L.E.T.H. soggetto di Enrico Saccà e Alberto Mascia regia di Alberto Mascia; Aquadro soggetto di Davide Orsini e Stefano Lodovichi regia di Stefano Lodovichi; Monitor soggetto di Manuela Pinetti e Alessio Lauria regia di Alessio Lauria; Non vedo, non sento, non parlo soggetto e regia di Andrea Zuliani, Tony Denti Show soggetto e regia di Paky Perna; Un sussurro nell'ombra soggetto di Clemente Ivan Conte e Cristiano Brignola regia di Filippo Cesari e Veglia su di me soggetto di Corrado Ceron e Federico Fava, regia di Corrado Ceron.

Il Premio Solinas Experimenta mette in palio due Borse di sviluppo di 15.000 euro ciascuna, erogate dal Dipartimento della Gioventù - Presidenza del Consiglio dei Ministri, che permettono di partecipare alla Bottega Creativa del Premio Solinas, dove i giovani autori prenderanno parte ad un percorso assistito mirato allo sviluppo delle loro opere, tutor d'eccezione saranno i giurati stessi.

RAI Cinema, che patrocina l’iniziativa, realizzerà uno dei due progetti sviluppati dalla Bottega Creativa del Premio Solinas con un budget massimo di 200.000 euro.

 

Il Premio è stato conferito alle opere piu’ coraggiose ed innovative del concorso: il fanta-thriller A.L.E.T.H. soggetto di Alberto Mascia ed Enrico Saccà , regia di Alberto Mascia e il mondo paralleo di Monitor soggetto di Alessio Lauria e Manuela Pinetti, regia di Alessio Lauria. La motivazione è l'alto contenuto tecnologico ed impatto visuale di entrambi i lavori, che propongono universi immaginativi in grado di essere trasposti efficacemente (per trama, temi e linguaggio) su più piattaforme mediali e di essere promossi attraverso contenuti, strategie e nuove forme di storytelling cross-mediale.

La Giuria ha, inoltre, deciso all’unanimità di assegnare, oltre alle due Borse di sviluppo, una Menzione Speciale a Corrado Ceron ed Federico Fava per il progetto Veglia su di me, storia del delicato rapporto fra un padre-playboy e suo figlio, un adolescente omosessuale che l’uomo non ha mai voluto conoscere davvero.

 

Maggiori informazioni all'indirizzo www.premiosolinas.it

 

 

Chiara Nucera

 

Take Five

Martedì 30 Settembre 2014 21:26
Napoli. Un ricettatore mette insieme una banda di rapinatori per il colpo milionario che potrebbe arricchirli per sempre.
Guido Lombardi entra in scena per la seconda volta: la platea è ancora calda dopo il grande successo, soprattutto di critica, ottenuto con Là-Bas, Educazione criminale nel 2011. Uno spaccato sociale inaspettatamente originale, un aspro racconto che non rinuncia alla poeticità e mai si rende patetico. Il Leone del Futuro conferitogli a Venezia sembrava aver già consacrato l'autore ad un cinema verità, onesto e drammatico, politicamente non troppo corretto.
Con Take Five però Lombardi cambia rotta e privilegia il gusto personale - scelta che si palesa non tanto nell'esito registico quanto in quello drammaturgico. Incoraggiato da un background da cinefilo autodidatta, Lombardi tenta un cocktail di generi: il noir ed il western sono gli ingredienti principali, con un tocco di sarcasmo a fare da collante.
Del noir eredita le atmosfere cupe, così come l'umore e l'umorismo, perché nera è la sorte dei protagonisti e indubbiamente lo è anche l'epilogo verso il quale tutto il film converge sin dal principio. 
Del western si ravvisa la composizione canonica perché i cinque protagonisti "irregolari", come li definisce il regista stesso, sono impegnati in un costante scontro frontale prima contro la legge in nome del dio denaro, poi contro il clan della camorra, infine l'uno contro l'altro.
Cinque sagome che si muovono al ritmo di un jazz d'impronta partenopea, cinque beat differenti, cinque solisti - da qui il titolo - che si scambiano di ruolo, alleandosi e poi annientandosi. Un ricettatore con il nipote appena affiliato, un idraulico indebitato a causa del vizio del gioco, un fotografo ex scassinatore in attesa di un trapianto di cuore, uno showman del panorama gangsta della vecchia generazione.
La cornice è la stessa dell'opera prima, la caotica e contraddittoria metropoli, ma con i toni, seppur amari, decisamente diversi della commedia pittoresca e divertita. Cambiano i protagonisti e gli occhi attraverso i quali Lombardi fa filtrare la sua narrazione: si assiste ad un'edulcorazione che passa da immigrati stranieri di una più cupa desolazione a degli outsider che vivono di espedienti.
L'avvenenza di Là-Bas sorgeva infatti dall'incontro della cultura africana con quella partenopea, dal suo colorarsi di termini dialettali ed usanze, compiendo un'educazione culturale ed insieme criminale, facendo sì che scaturisse da tutte le più forti contraddizioni il ritratto di un'esacerbata contaminazione.
Al contrario con Take Five, in linea col fil rouge della scuola napoletana, lo sguardo è fisso nella propria identità culturale e autocompiaciuto nel raccontarsi.
Emblematica è la scena del teschio, istantanea dal forte retrogusto popolare, nella quale i protagonisti si concedono un momento di pausa per carezzare un cranio abbandonato, con scetticismo ma sempre suggestionati dal potere della malasorte. 
O ancora la sequenza della cena dove attorno ad un tavolo, i cinque apostoli del crimine, si intrattengono con goliardici ricordi malavitosi. 
Come se nulla li legasse più della tragica ossessione della ricchezza, ogni membro della paranza - questo il nome dialettale della banda - non sogna altro che far soldi con "la fatica", cioè con "il lavoro", a prescindere però da quanto sia dignitoso o conforme alla legge. 
Un caveau illuminato come fosse la fonte della vita eterna e Sciomèn che sospira estasiato: "Finalmente sono a casa mia", quasi commuove.
Ma nonostante qualche momento di ilarità - due o tre, e neanche troppo riusciti - i nostri  Lupin senza arte né parte sono destinati al fallimento. Sono destinati all'anti-eroicità, anche nel crimine. Peggio ancora, sono destinati alla solitudine: si distruggeranno l'un l'altro con un disperato effetto domino. 
Fino ad arrivare alla sequenza finale, trionfo della componente western prevedibile, sovrabbondante di citazioni, decisamente troppo calcata.
 
Chiara Del Zanno