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Visualizza articoli per tag: memories of murder
Un focus dedicato all'artefice di una delle variazioni più interessanti nella cinematografia asiatica degli ultimi anni: Bong Joon-ho. Un registro moderno, contemporaneamente lirico e disincantato, che merita di essere approfondito.
 
 
Ancora pochi film alle spalle per poter essere avvicinato ai prolifici mostri sacri del cinema orientale, ma basterebbero i due minuti iniziali di "Memories Of Murder" per spiegarne il motivo per cui Bong Joon-ho è già uno dei registi più talentuosi del panorama mondiale. Un investigatore, alle prese con il rinvenimento di un cadavere, diventa l'oggetto dello scimmiottare di un bambino irriverente che ne imita i gesti e ripete le parole.  Una commistione che sfocia nel grottesco senza snaturare la plausibilità della situazione descritta, e questa è solo una delle tante cifre esemplari di un registro profondamente innovativo. La credibilità e il realismo restano il collante dell'intreccio narrativo anche quando, appunto, sfociano nella comicità e il nonsense tipicamente orientale, congelandoli con leggerezza all'interno della funzionalità della storia e diventandone fattore fondamentale. D'altronde, se così si mescolano generi e sottogeneri, allo stesso modo le atmosfere e i punti di vista dei film di Bong variano improvvisamente, come l'umore e le situazioni della vita quotidiana, in un continuo in cui è ben chiara la morale espressa da Kurosawa in Rashomon. Seguendo lo stesso metro si possono interpretare i personaggi della triste realtà popolare abbandonata a se stessa, che affollano la periferia e le campagne di piccole realtà urbane. Sono gli antieroi senza veri centri di gravità, problematici ed emarginati, succubi di un'ingenuità e un'immaturità ancora infantile. In questo quadro è concepibile tutto un arcobaleno di sensazioni contrastanti, che coinvolgono la morale comune fino a distorcerla in situazioni in cui drammaticità, commozione ma anche ironia e umorismo risultano amplificati. 
 
 
I caratteri narrati sono figli dell'incapacità sistemica di un apparato statale farraginoso, dagli accenti comici e talvolta kafkiani, che lascia al proprio destino questi pariah della società sudcoreana fatalmente coinvolti in eventi macabri e misteriosi: un omicidio occasionale, un killer seriale, un famelico anfibio frutto di mutazioni genetiche. La violenza è sempre un fatto enorme nelle realtà sonnacchiose della Corea del Sud, dove tutti o quasi sono rassegnati alla consapevolezza di una vita sprecata, ma anche questo fardello di fronte al pericolo diventa un valore da difendere. Eppure è solo quando certi fatti non riescono a passare sotto silenzio che assumono un'importanza spaventosa, trasformandosi nel megafono della propaganda statale. L'informazione cavalca le notizie, la polizia le deforma, la magistratura cerca di gettare acqua sulla graticola dove s'adagia quella che ormai è solo lo specchio di una verità mistificata a priori, anche dallo stesso mezzo narrativo che confonde e irretisce lo spettatore come un incantatore di serpenti. Bong scherza con il potere logoro e inefficiente delle sezioni provinciali, che con movenze pachidermiche brancolano impotenti nell'oscurità degli eventi, e parallelamente mostra la miseria di una società proiettata verso la globalizzazione ad occhi bendati. 
 
Sul piano tecnico, la stessa regia sembra risentire della confusione in cui fluttuano tutti, dell'incertezza frenetica di trovare una risposta, per poi ritornare a farsi riflessiva in improvvisi momenti di bonaccia, dove l'ironia si mescola al dolore e alla dolcezza. Ma al realismo grottesco, Bong preferisce non associare anche il realismo tecnico, come ad esempio la cinematografia nordeuropea di 20 anni fa ( Dogma 95 ), e non rinuncia in maniera anacronistica ai vantaggi dell'era digitale. Il suo stile di montaggio e di ripresa sono assimilabili a quello occidentale, e anche per questo l'uso della camera a mano non è una costante ma assume una funzionalità specifica all'interno di ogni pellicola, distaccandosi dalla tecnica di altri grandi registi coreani. L'alternarsi di emozionanti primi piani,

scene fisse perfettamente calibrate e piani sequenza dal virtuosismo eccezionale e mai invadente, riesce a dare la sensazione di girar
e intorno ad una storia, di poter ridere o piangere, inorridire o stupirsi restando immersi in una lunghissima apnea. Ma questa cornice cesellata con la noncuranza studiata di un pittogramma tibetano è solo il mezzo con cui affrontare una storia mai banale, in cui tutti gli attori, anche i minori, gareggiano nel riscrivere in maniera alternativa quelli che sono dei ruoli essenzialmente classici. Basti citare prove interpretative come quelle di Kim Hye-ja in "Mother", di Bar Doo-na in "Barking Dogs Never Bite", o di Kang-ho Song in "The Host" e "Memories Of Murder", ormai diventato l'attore feticcio del regista, tanto da accompagnarlo anche nell'unico passo falso della sua cinematografia, il recentissimo Snowpiercer, che abbiamo già recensito  su Fuoritraccia.
 
E non è casuale che il senso di perfezione tecnica e recitativa rimanga scolpito in memoria per giorni, anche perchè i meccanismi delle storie di Bong si rivelano ingranaggi sparsi di una bomba ad orologeria, che a volte esplode, a volte no, altre volte si trova il modo di dimenticarsene. 
 
Pollo Scatenato