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Marco Müller, neo direttore del Festival Internazionale del Film di Roma, in una recente chiacchierata con la nostra esperta di cinema asiatico, Mariagrazia Costantino, ha raccontato l’attuale situazione della cinematografia cinese e i suoi possibili scenari futuri. L'importante è non dimenticare che il cinema è una complessa macchina produttiva che affonda le radici nel cuore della politica e dell’economia.

 

Il direttore del Festival Internazionale del Film di Roma ci ha parlato dell’attuale situazione del cinema cinese e di possibili scenari futuri alla luce della sua esperienza di direzione di prestigiosi festival (Locarno, Venezia), ma anche in veste di specialista che si adopera per portare film cinesi in Italia e nel mondo, e formare un pubblico consapevole.


Dalla conversazione con Marco Müller sono emerse nuove modalità di conoscenza e approfondimento critico di un sistema in piena espansione, nella fase successiva alla sua affermazione e in un momento di consolidamento ma anche ridiscussione. E soprattutto un momento in cui il mercato del cinema in Cina sta manifestando il suo pieno potenziale.

Il mercato definisce anche, in

 qualche modo, il cinema cinese in sé. Per Müller non esiste più un cinema “cinese”, come d’altra parte non esistono più cinema nazionali. Ormai quella del cinema è una macchina transnazionale che si avvale della cooperazione di gruppi e società provenienti da continenti diversi. In modo anche più evidente di altri settori, quello cinematografico sta mutando, il baricentro si sta inevitabilmente spostando, come si intuisce dalla crescente presenza di attori hollywoodiani non solo nei film cinesi, ma anche nei festival.

Uno dei paradossi è che in questo scenario, la caratteristica – vero e proprio marchio di fabbrica – che sembra resistere intatta e anzi prosperare più che mai è proprio la censura. Se non è facile stabilire cosa, come sia e dove vada il cinema cinese, c’è ancora oggi un gruppo di persone molto influenti che si preoccupa di stabilirlo per noi.

A questo proposito, abbiamo chiesto al direttore spiegazioni circa la scelta di presentare 1942 (Feng Xiaogang) e Drug War (Johnnie To), i film cinesi in concorso alla VII edizione del Festival del Film di Roma, la prima da lui diretta, come film a sorpresa. Ci ha risposto che si è trattato di una scelta obbligata, perché “regista e produttore aspettavano il visto di censura, che per fortuna è arrivato, ma solo a festival iniziato. Abbiamo dunque dovuto annunciarli come ‘film sorpresa’: solo in questo modo, se fossero stati proiettati senza visto di censura, regista e produttore non sarebbero incorsi nella reprimenda dei censori”.

Non rendere noti i titoli ha dunque permesso di aggirare possibili divieti a ridosso della proiezione e ha evitato ulteriori problemi all’organizzazione e ai registi. Ma in realtà nel 2012 ben pochi film hanno passato la censura, per il concomitante XVIII Congresso del Partito Comunista: questo e la nomina del nuovo presidente lo scorso novembre hanno stretto ancora di più le maglie della censura. “Come avviene tutte le volte, quello che si verifica è un rigoroso controllo della rispondenza ai dettami ideologici che il potere centrale prescrive e di conseguenza una strettissima sorveglianza sui temi che un film deve trattare”.

In circostanze come queste qualsiasi tema diventa sensibile, m
a la storia del paese o riferimenti ad attività illecite e fenomeni criminali come la corruzione costituiscono certamente argomenti particolarmente spinosi da gestire. 


Circa lo stato del cinema cinese, e il punto fino al quale la censura determina scelte artistiche e creative, Müller fa notare che “in Cina c’è un cinema policentrico che comprende tantissime realtà diverse così come tipi di produzioni. Si va dal film minuscolo completamente autoprodotto e a bassissimo budget alle megaproduzioni di colossal”.

La legge sulla censura non è sostanzialmente cambiata nel paese, ma per capire come viene applicata va innanzitutto messo a fuoco il contesto: “più un film è piccolo meno attirerà l’attenzione delle autorità e quindi potrà essere distribuito attraverso canali ufficiali e non”. Va da sé che una grossa produzione dovrà necessariamente essere passata al vaglio e molte volte respinta: “è in questo frangente che si decide se un film potrà essere fatto vedere in tutto il mondo”.

 

 

Temi sensibili, scioperi di lavoratori e agitazioni della popolazione sono inaccettabili, perché il primo obiettivo è quello di intrattenere, far divertire”. Rare volte e in circostanze inaspettate, alcuni film con temi sociali più “impegnativi” riescono a passare attraverso le maglie della censura. Tutto ciò getta luce sull’incongruenza di fondo di un sistema quasi totalmente dipendente dal mercato e dal suo andamento, ma basato anche sulla selezione, un’accurata scrematura di temi accettabili ai fini dell’intrattenimento di massa che il cinema deve assicurare sempre e comunque. E se il mercato come ci è stato raccontato dovrebbe poter garantire maggiore autonomia dai governi centrali tradizionalmente interventisti, anche in questo il sistema cinese rappresenta un’eccezione.

 


All’inizio mi sfugge ad esempio il motivo per cui un film come 1942 di Feng Xiaogang sia incorso nella censura delle autorità: personalmente lo trovo abbastanza in linea con le linee guida del partito. “Mica tanto”, spiega Müller, “nel film si mostra molta chiaramente come la politica e i suoi esponenti non siano stati capaci di fare fronte ai problemi della gente, primi tra tutti la carestia e l’approvvigionamento di cibo. In poche circostanze un regista ha saputo descrivere così bene e in modo così dettagliato la condizione delle campagne. È difficile che si tratti questo argomento in Cina. Certamente il film ha tanti registri diversi ma c’è una bella intelligenza nel rappresentare la continuità tra i nuovi politici e i vari governi del passato”.

 

 


 

Aldilà del colore delle divise o della collocazione storica, il pubblico cinese sa benissimo che il riferimento è alla classe dirigente, compresa quella attuale.

Se agli occhi del regista e del pubblico cui si rivolge, il clima politico è rimasto più o meno invariato, un altro grosso problema con cui fare i conti è l’evocazione del fantasma della fame, il cui ricordo è ancora tristemente vivo nel paese. “In effetti quello della carestia” – ci dice Müller – “è un problema che ancora oggi non si può e non si osa trattare, anche per via del suo legame con le politiche di gestione delle campagne del governo e per le diverse carestie scatenate dalle riforme che si sono succedute a partire dal 1951”.Una domanda che andrebbe bene per un veggente riguarda le possibili direzioni del cinema cinese. Il direttore del Festival di Roma ribadisce che bisogna partire dalla consapevolezza che il cinema nazionale è un concetto ormai superato. L’unico modo per poter immaginare o prevedere le tendenze dell’industria del Cinema in Cina è guardare al mercato: è quello che determinerà la realizzazione di nuovi film e soprattutto la loro ricezione.


La Cina è diventata un mercato enorme che orienterà sempre più la produzione e circolazione di film: “gli incassi di un film americano sul territorio cinese fra due anni potranno probabilmente addirittura superare gli incassi dello stesso film negli Stati Uniti”, e “Il cinema cinese sarà presto – forse in parte già lo è – anche un cinema di produttori cinesi che produrranno film non cinesi”.
Per molti osservatori il cinema cinese, così come l’arte contemporanea, è stato penalizzato da una percezione univoca che ne ha fatto parlare in molti casi come di un “fenomeno”. Per Müller come si sia manifestata questa percezione non è molto chiaro, ma è certo che “nessuno dei protagonisti della circolazione dei film non

-nazionali e non-americani in Europa si è occupato del cinema cinese finché alcuni dei suoi film non hanno iniziato a prendere riconoscimenti ai festival internazionali di Venezia, Berlino e Cannes, ma un simile risultato ha richiesto un grande sforzo promozionale.

Dalla metà degli anni ottanta ci sono stati dei successi del cinema cinese anche in Italia, pur con grossi rischi e difficoltà di budget. Quello cinese (nel senso di produzione cinese con temi cinesi)” – continua Müller – “è diventato un cinema importante all’estero e questo vuol dire che ci saranno interventi dicapitali stranieri nei film cinesi”. Ma non si può dire lo stesso del cinema asiatico nella Cina continentale. Per questo motivo, e per far sì che possa penetrare in Cina, “si stanno formulando e suggerendo ipotesi concrete di cofinanziamento e coproduzione”.


Per capire come funziona il mercato cinese si può usare un film come Sanxia Haoren (Still Life) di Jia Zhangke, Leone d'Oro nel 2006, distribuito in Cina dalla Warner. Uno degli aspetti più interessanti è che un film del genere, che tocca vicende tradizionalmente invise alla censura, a fronte di un’uscita limitata nelle sale è stato un successo clamoroso sul fronte homevideo, in un paese dove questo è ancora e soprattutto pirata”. Sul territorio cinese la vera sfida è dunque creare un mercato homevideo che riesca a sfidare l’invasività della pirateria.

 



Il fatto che fino a venti anni fa o poco più nessuno conoscesse il cinema cinese e che solo a prezzo di grandi sforzi alcuni film siano stati portati all’estero per partecipare ai maggiori festival europei sembra aver innescato un circolo al tempo stesso virtuoso e vizioso, perché se da un lato ha permesso al cinema cinese di trovare un pubblico internazionale, o un pubblico tout court, dall’altro fa sospettare che questi film siano stati realizzati principalmente per un pubblico non-cinese.

Anche per questo motivo quelli che partecipano ai festival diventano in un certo senso film non-cinesi, un altro paradosso mirabilmente esemplificato dal fatto stesso che il film di Jia sia stato distribuito in Cina dalla Warner. Più in generale la risposta di Müller sembra confermare la sensazione che il boom del cinema cinese sia percepito come un fenomeno (e come tale temporaneo), reazione forse derivata da due situazioni concomitanti: una è la necessità di creare un una cornice narrativa che faciliti la “vendita” del prodotto, ovvero abbinare ad esso una storia che lo renda più accattivante; l’altra è un certo scetticismo nei confronti della possibilità del cinema cinese di essere autonomo e autosufficiente. Questa autonomia oggi è garantita dalla forza di un mercato trainato dalla crescita economica.

A fronte di un’“internazionalizzazione” del cinema cinese, il cinema di Hong Kong sembra essersi “sinizzato”. Se infatti non esiste più un cinema nazionale, alcune cinematografie stanno necessariamente perdendo la loro identità o meglio la stanno esportando: è il caso di Hong Kong, i cui maestri, specialmente del cinema d’azione, hanno iniziato a girare nella Cina continentale. A proposito dell’interessante caso, il direttore ricorda che il cinema di Hong Kong è un cinema di eredità sin da subito. Nel 1937, con il trasferimento a Hong Kong delle case di produzione di Shanghai e di tutto l’apparato creativo, l’ex colonia “ha ereditato la possibilità e la capacità di fare film aggirando le vecchie tematiche e gli imperativi della propaganda patriottica e antigiapponese”, sviluppandosi come alternativa che al tempo stesso segna una continuità, con temi e stilemi codificati.

Anche qui non si può fare a meno di parlare di mercato, perché il cinema di Hong Kong non è più autosufficiente come una volta, quando si appoggiava agli incassi e al mercato locale. Resta il prestigio e uno stile inconfondibile, “ma i grossi budget sono ormai elargiti in capitali della Cina popolare e tutti devono passare la censura preventiva di Pechino”. Oggi il cinema di Hong Kong si sinizza perché da lì, dal centro, provengono i grandi finanziamenti, e l’immagine da restituire deve necessariamente corrispondere a quella di partenza. 

Un cineasta come Tsui Hark si è già da tempo abituato a muoversi con una certa agilità tra i tagli imposti dalla censura, diverso è il caso di Johnnie To, regista di culto: di norma “ogni film di Johnnie To (come ogni altro film di registi cinesi di Hong Kong) che viene finanziato, prodotto o coprodotto da una società della Cina continentale, deve passare la censura di quel paese – in quel caso, iniziando dal visto di censura sulla sceneggiatura. A volte, però, Johnnie non ha voluto rischiare di essere bloccato o censurato e ha scelto di non accettare un finanziamento o una coproduzione RPC, accontentandosi del budget che poteva ottenere dai suoi soci di Hong Kong e Macao”.


Tornando al cinema indipendente cinese,  primo amore di Müller, un film come Mister Tree di Han Jie, presentato nel 2011 al London Film Festival, rappresenta per lui la prosecuzione del cinema indipendente. Ma anche Han Jie ha avuto moltissimi problemi con la censura, “il film è stato ritoccato, si è trovato una posizione molto complicata, ha subito tagli e Jia Zhangke in persona è dovuto intervenire per terminarlo”. Lo stesso Jia, che sembra essersi preso una pausa, in realtà non ha mai smesso di lavorare: è solo momentaneamente uscito di scena perché ha iniziato a girare il suo primo colossal – un film di arti marziali.



Infine, ho chiesto al direttore del Festival del Film di Roma il suo parere su Ai Weiwei, un’artista da tempo sulla bocca di tutti, osannato ma anche oggetto di pungenti critiche. Per Müller si tratta di un grandissimo artista, che nel “continente visivo cinese” ha cambiato il modo di guardare. “Probabilmente l’impatto delle sue creazioni salterà fuori anche dentro cinema indipendente e troveremo alcune delle sue scelte radicali anche nel cinema”, infatti “molti dei grandi artisti cinesi sono registi a tutti gli effetti e hanno girato cortometraggi e persino lungometraggi.” Parte del loro percorso artistico include la necessità di registrare la realtà non edulcorata né abbellita nel modo più lineare possibile. Non a caso la tendenza dei cineasti a “documentare” è ancora molto forte all’interno del cinema cinese indipendente.

Abbiamo scoperto grazie a Marco Müller che la definizione stessa di “cinema indipendente” non è impropria e risponde a un’entità reale ed effettiva, ma quello che è emerso dalla conversazione con lui è soprattutto la necessità, oggi più che mai, di spezzare l’incantesimo che grava su un pubblico forse troppo distratto, che non si interroga sull’origine di un film e sul percorso che questo compie, come se si trattasse di visioni che si materializzano dal nulla. Dietro ogni film c’è una complessa macchina produttiva che affonda le radici nel cuore della politica e dell’economia. Una volta conosciute alcune delle infinite ramificazioni che compongono la vita di un film è certamente rassicurante “tornare” sulla poltrona e godersi lo spettacolo, con in più la consapevolezza che quello che si sta guardando è potuto arrivare a noi solo a patto di estenuanti trattative e soluzioni per aggirare divieti, difficoltà di budget e problemi di distribuzione.

Se le parole di Müller sembrano delineare un quadro lievemente incerto, quello che sembra sicuro è che il mercato cinematografico cinese è sempre più maturo. il vero miracolo che il cinema compie è continuare a garantire la comparsa di storie e temi significativi in un contesto generale che rende i compromessi necessari e la censura (che spesso diventa autocensura) ineludibile. D’altra parte più importante della libertà, o del tutto equivalente ad essa, sono oggi i finanziamenti. E se in Italia la censura non opera attraverso le stesse modalità, anche in questo paese i finanziamenti rappresentano il punto critico di un sistema minacciato da un monopolio di poteri politici forti che influenzano le attività culturali in modo consistente.

 

Mariagrazia Costantino

 

..vedi anche http://www.china-files.com/it/link/25499/il-cinema-cinese-intervista-a-marco-muller

I predatori del palazzo perduto

Lunedì 08 Agosto 2011 14:25

Ormai manca davvero poco all'inizio della 68esima Mostra del cinema di Venezia, il countdown è già impostato sulla data del 31 agosto, giorno nel quale The Ides of march di George Clooney, inaugurerà uno dei festival cinematografici più famosi al mondo. Come consuetudine, qualche giorno fa, una conferenza in grande stile, tenutasi al Westin Excelsior di via Veneto a Roma, ha annunciato il programma e le novità di questa edizione, oratori abituali Marco Müller e Paolo Baratta (entrambi ormai alla scadenza del rispettivo mandato), consueti padroni di casa nelle vesti rispettivamente di Direttore e Presidente della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica. Da subito l'accento è stato posto sull'importanza di questa edizione in veste rinnovata, per strutture e programmazione. Nonostante la grande impasse, provocata dalla scoperta di un enorme buco pieno di amianto nell'area del cantiere per la costruzione del Nuovo Palazzo del Cinema, nonostante siano stati necessariamente bloccati questi lavori, con conseguenti polemiche e lotte giudiziarie (La Nuova), lo spirito, tra una tirata di cinghia al bilancio ed una captatio benevolentiae verso le istituzioni, è quello di presentare un festival in grande stile.

L'assoluta e interessante aria di rinnovamento si percepisce se solo si considera il contributo di opere prime in anteprima mondiale presenti, per la prima volta nella storia della Mostra, in tutte e tre le sezioni competitive, con uno sfoggio di artisti  fuori dai classici schemi. Dei 22 lungometraggi in concorso nella sezione ufficiale e in corsa per il Leone d'Oro in Venezia 68 troviamo: Quando la notte di Cristina Comencini, Terraferma di Emanuele Crialese, la coproduzione franco italo svizzera Un été brulant di Philippe Garrel e L’ultimo terrestre di Gipi (Gian Alfonso Pacinotti). Gli italiani sono in competizione con The Ides of march di Clooney,  Tinker, Taylor, soldier, spy di Tomas Alfredson, Wuthering heights di Andrea Arnold, Texas killing fields di Ami Canaan Mann, A dangerous method di David Cronenberg, 4:44 Last day on earth di Abel Ferrara, Killer Joe di William Friedkin, Taojie (A simple life) di Ann Hui, Hahithalfut (The echange) di Eran Kolirin, Alpeis (Alps) di Yorgos Lanthimos, Shame di Steve McQueen, Carnage di Roman Polanski, Poulet aux prunes di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, Faust di Aleksandr Sokurov, Dark horse di Todd Solondz, Himizu di Sion Sono, Seediq bale di Te-Sheng Wei, oltre a un film a sorpresa. Ad assegnare i premi sarà la giuria internazionale presieduta da Darren Aronofsky, con Mario Martone e Alba Rohrwacher tra i componenti.

 

Il filo rosso che lega la manifestazione di quest'anno è il concetto di "intersezione" strettamente legato a quello di "interdisciplinarità", due parole chiave della proposta artistico-visiva di Baratta e Müller, che tendono a valorizzare il rapporto del cinema con gli altri linguaggi espressivi. Ciò si traduce in una volontà che proietta la mostra fuori dai confini nazionali, affacciandosi a forme d'arte diversificate, più e meno nuove, tutte racchiuse nelle varie sezioni. Alle retrospettive d'autore come quella su Nicholas Ray e Roberto Rossellini, che rinnovano la collaborazione con la Cineteca Nazionale, Mani Kaul e l'omaggio a Todd Haynes, si affiancano forme ibride del comunicare visivo, rintracciabili nell'interattività multimediale, nella new generation dell' IT, come frammenti rapiti da Youtube o Myspace. Ciò si traduce in un complessivo dinamismo e, in tale scenario di fluidità di immagini, la sezione Orizzonti, nella sua recente riformulazione, si è riproposta di mettere a confronto stili e sguardi tra i più diversi e particolari, opere che innovano con il tradizionale supporto di celluloide e sperimentazioni elettronico digitali. Emblema della nuova natura di Orizzonti è la versatilità di James Franco, che si destreggia nel suo Sal (biopic su Sal Mineo, l'attore italoamericano assassinato a 37 anni) tra cinema, pittura e letteratura.  Franco sarà a Venezia a settembre anche con Rebel, film-installazione parte della sezione Illuminazioni di Biennale Arte. Proprio da questa esigenza di commistione artistica e preponderanze culturali, nasce la Retrospettiva Orizzonti 1961-1978 interamente dedicata al cinema italiano sperimentale e di ricerca, un cinema espanso nelle testimonianze di Carmelo Bene, Mario Schifano, Alberto Grifi, Paolo Brunatto e Augusto Tretti.

Tra i Fuori Concorso, non può non essere evidenziato Steven Soderbergh e il suo Contagion, Ermanno Olmi con Il villaggio di cartone, Madonna con W.E, commedia romantica di cui l'artista firma la regia, e Questa storia qua di Alessandro Paris e Sibylle Righetti, ritratto inedito di Vasco Rossi.

Sempre nell'ottica dell'originalità e della contaminazione, il premio Persol 3D sarà consegnato al collettivo emiliano Zapruder Filmmakersgroup di David Zamagni, Nadia Ranocchi e Monaldo Moretti, che da anni esplora le possibilità del cinema stereoscopico per la produzione di film e installazioni, contaminando arti visive, performative e cinematografiche. Da segnalare anche i Manetti Bros presenti in Controcampo Italiano con Wang.

Come già annunciato, il Leone d'Oro alla Carriera andrà a Marco Bellocchio mentre ad Al Pacino verrà conferito il premio Jaeger- Le Coutre come miglior regista del 2011. Pacino presenterà alla Mostra d'Arte Cinematografica il suo Wilde Salomè,  documentario tratto dall'opera di Oscar Wilde, che indugia sul privato dell'attore,  indagando allo stesso tempo le complessità di un personaggio come Salomè nella controversa visione del genio letterario di Wilde.

 

 

Effetti Collaterali

 

Giornate degli Autori

Le radici della memoria, la trasformazione della società, la violenza privata sono temi ricorrenti della selezione che quest'anno assegna un ampio posto alla creatività femminile. Una collocazione che non passa certamente inosservata, consentendo ad opere di estremo coraggio di emergere, come accadde nel 2010 con il documentario di Filippo Vendemmiati, È stato morto un ragazzo, sul terribile caso del giovane Federico Aldrovandi che perse la vita, una notte, a seguito di un incontro con la polizia. Nella selezione ufficiale ricordiamo l'italiano Ruggine di Daniele Gaglianone, già regista del bellissimo Pietro e Io sono Li di Andrea Segre. Molto interessante la sezione Spazio Aperto che propone i lavori di Renzo Carbonera, Duccio Chiarini, Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, Carlo Luglio, Giorgio Pressburger, Elisabetta Pandimiglio e del collettivo Pyoor. Nell'ambito delle Giornate degli Autori verrà anche rilanciato il progetto 100+1/cinema e storia per l'anno 2012, attraverso il quale Provincia di Roma e Cinecittà Luce favoriscono la cultura storico-cinematografica nelle scuole della capitale.

 

La Settimana della Critica

La 26esima Settimana della Critica è segnata da tracce di autori esordienti e giovani che mirano con coraggio estetico alla sperimentazione. Le nove opere che costituiscono il programma, sono tutte prime visioni mondiali, quelle in concorso sono sette, tra queste spicca Là-bas di Guido Lombardi e la coproduzione italo-argentina El Campo di Hernàn Belòn, due le opere fuori concorso, tra queste Missione di pace di Francesco Lagi, film di chiusura dell'edizione. Tutti i film sono  legati dalla tematica familiare nelle varie distorsioni e increspature che possono ritrovarsi sotto lo stesso sostantivo.

 

 

Quest'anno, a portare avanti il nome della sperimentazione e della novità, è anche un premio particolare: il Premio del pubblico KINO.

 

Il Kino nasce come realtà romana per la promozione e la diffusione del cinema di qualità, dalle ceneri di uno storico cineclub, situato nel quartiere Pigneto.

Voluto fortemente da un gruppo di giovani artisti indipendenti, come Cristiano Gerbino, Claudio Cupellini, Alessandro Aronadio, Stefano Sardo solo per citarne alcuni, porta con sé l'esigenza di unire più realtà, tutte vicine al mondo del cinema e frequentate da addetti ai lavori ma anche solamente da appassionati. Un luogo di incontro trasversale, punto di scambio sotto forma di cinema-bistrot, che opera come una sorta di "festival cinematografico permanente" dove si può assistere ad opere di difficile diffusione, passate spesso in sordina. Kino offrirà tremila euro del Premio riservato alla migliore delle sette opere prime in competizione della SIC 2011.

Un'altra realtà che si affaccia all'interno della Settimana della Critica, sostenuta dall' ANAC, PMI Cinema, Artisti Indipendenti 2010, Consequenze Network, anch'essa legata al discorso di cinematografia indipendente, è la neonata Indi Cinema, Federazione di Cinema Indipendente, protagonista di un incontro dove si discuterà un progetto pilota di distribuzione alternativa dei film indipendenti.

Anche Indi Cinema si muove nel contesto dell'underground, ponendosi come elemento aggregante e identificativo di una dimensione espressiva e produttiva che in Italia non ha uno spazio adeguato, in disaccordo con i vincoli strutturali del mercato cinematografico.
Indi Cinema è forte sostenitrice della rivoluzione, operata attraverso le nuove tecnologie, offerta da un nuovo tipo di cinema, considerandola l'unica salvezza possibile ad una quasi totale immobilità nelle possibilità di fruizione.

 

 

Per maggiori informazioni

 

www.labiennale.org

 

Chiara Nucera

Giovedì 3 Settembre, alle ore 11, presso l’Italian Pavilion Sala Tropicana dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, nel corso della 72esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, si terrà la presentazione di “Il Metacinema nelle opere di Lynch, Cronenberg, De Palma” di Chiara Nucera.
 
L'incontro verrà moderato dal giornalista Andrea Guglielmino (CinecittàNews, 8 ½ - Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano, Everyeye)
 
 
“Il metacinema nelle opere di Lynch, Cronenberg, De Palma” è il titolo del recente volume di Chiara Nucera, edito nella collana Spaghetti Horror delle Edizioni Umanistiche Scientifiche – EUS (pp. 143 euro 16,90). La filosofia platonica e aristotelica, il teatro greco e le teorie psicanalitiche di Freud e del suo allievo Rank, il concetto di doppio e di molteplicità del reale, nella vita e nel cinema: da questi elementi e sulle loro tracce l’autrice articola un’interessante e meticolosa analisi del modo in cui tre maestri del cinema, David Cronenberg, Brian De Palma e David Lynch, strutturano un nuovo rapporto tra schermo e corpo dello spettatore, partendo da punti di vista diversi e arrivando alla formulazione di tre diversi tipi di realtà. Traendo alimento anche dalle riflessioni di Nietzsche, Bazin, Pasolini e Hitchcock, Nucera conduce un ragionamento preciso e appassionato, al termine del quale il cinema si conferma o si rivela come ” … moltitudine di specchi nei quali ci riflettiamo, di soglie varcate che ci trasportano in altre dimensioni, come quella che Alice attraversa per arrivare nel Paese delle Meraviglie … “.
Andrea Corrado per dgCinews, periodico della Direzione Generale Cinema
Responsabile di redazione Maria di Lauro
 

Venezia 74. Tutti i premiati

Lunedì 11 Settembre 2017 10:57
Appenna terminata la 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, edizione che si è distinta dopo molti anni per innovazione e varietà del programma portanto titoli quali Brutti e Cattivi di Cosimo Gomez, Gatta Cenerentola, la risposta a La La Land con Ammore e Malavita dei Manetti Bross, ma ancora mother! che ha diviso la critida di Darren Aronofsky, l'intensissimo Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli che ripercorre la vita della modella e cantante berlinese. Presenze come Bardem, Penelope Cruz, Michael Caine voce narrante di My Generation, entusiasmante documentario sulla generazione sixties, Jim Carrey, i leoni alla carriera Robert Redford e Jane Fonda, John Woo, gli amici di sempre Clooney e Damon e moltissimi altri nomi del cinema internazionale, tra cui il primo fra tutti Guillermo Del Toro non hanno fatto altro che rendere la chermesse singolare e vivace e impreziosire ancora di più le proposte italiane che mai come quest'anno hanno trattato il sociale e le periferie italiane distinguendosi anche fuori dalla competizione ufficiale in lavori come Il Contagio di Botrugno e Coluccini, ma anche in Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero. 
 
 
 
 
Di seguito vi proponiamo l'elenco completo di tutti i premiati del concorso ufficiale e delle sezioni parallele.
 
La Giuria di Venezia 74, presieduta da Annette Bening e composta da Ildikó Enyedi, Michel Franco, Rebecca Hall, Anna Mouglalis, Jasmine Trinca, David Stratton, Edgar Wright e Yonfan,  dopo aver visionato tutti i 21 film in concorso, nella cerimonia ufficiale tenutasi il 9 settembre presso la Sala Grande del Lido di Venezia, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
 
LEONE D’ORO per il miglior film a:
THE SHAPE OF WATER  
di Guillermo del Toro (USA)
 
LEONE D’ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
FOXTROT
di Samuel Maoz (Israele, Germania, Francia, Svizzera)
 
LEONE D’ARGENTO - PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Xavier Legrand
per il film JUSQU’À LA GARDE (Francia)
 
COPPA VOLPI
per la migliore attrice a:
Charlotte Rampling
nel film HANNAH di Andrea Pallaoro (Italia, Belgio, Francia)
 
COPPA VOLPI
per il miglior attore a:
Kamel El Basha
nel film THE INSULT di Ziad Doueiri (Libano, Francia)
 
PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Martin McDonagh
per il film THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh (Gran Bretagna)
 
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
SWEET COUNTRY
di Warwick Thornton (Australia)
 
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Charlie Plummer
nel film LEAN ON PETE di Andrew Haigh (Gran Bretagna)
ORIZZONTI
La Giuria Orizzonti della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Gianni Amelio e composta da Rakhshan Banietemad, Ami Canaan Mann, Mark Cousins, Andrés Duprat, Fien Troch, Rebecca Zlotowski, dopo aver visionato i 31 film in concorso, assegna:
 
il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
NICO, 1988
di Susanna Nicchiarelli (Italia, Belgio)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Vahid Jalilvand
per BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE) (Iran)
 
il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
CANIBA
di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor (Francia, Usa)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Lyna Khoudri
nel film LES BIENHEUREUX di Sofia Djama (Francia, Belgio, Qatar)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Navid Mohammadzadeh
nel film BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE)
di Vahid Jalilvand (Iran)
 
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Alireza Khatami
per il film LOS VERSOS DEL OLVIDO di Alireza Khatami  (Francia, Germania, Paesi Bassi, Cile)
 
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
 
il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2017 a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA
La Giuria Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Benoît Jacquot e composta da Geoff Andrew, Albert Lee, Greta Scarano e Yorgos Zois, assegna il:
 
LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
JUSQU’À LA GARDE
di Xavier Legrand (Francia)
VENEZIA 74
 
nonché e un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.
VENEZIA CLASSICI
La Giuria presieduta da Giuseppe Piccioni e composta da studenti di cinema provenienti da diverse Università italiane: 26 laureandi in Storia del Cinema, indicati dai docenti di 12 DAMS e della veneziana Ca’ Foscari, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
 
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
THE PRINCE AND THE DYBBUK 
di  Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski (Polonia, Germania)
 
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
IDI I SMOTRI (VA’ E VEDI)
di Elem Klimov (URSS, 1985)
VENICE VIRTUAL REALITY
La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality, presieduta da John Landis e composta da Céline Sciamma e Ricky Tognazzi, assegna:
 
PREMIO MIGLIOR VR a:
ARDEN’S WAKE (EXPANDED)
di Eugene YK Chung (USA)
 
PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR (PER CONTENUTO INTERATTIVO) a:
LA CAMERA INSABBIATA
di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang (USA, Taiwan)
 
PREMIO MIGLIORE STORIA VR (PER CONTENUTO LINEARE) a:
BLOODLESS
di Gina Kim (Corea del Sud, USA)
 

La donna che canta

Martedì 27 Marzo 2018 08:24
Quando il notaio Lebel legge a Jeanne e Simon Marwan il testamento della loro madre Nawal, i gemelli restano scioccati nel vedersi porgere due buste, una destinata ad un padre che credevano morto e l'altra ad un fratello di cui ignoravano l’esistenza. Jeanne decide di partire subito per il Medio Oriente per riesumare il passato di questa famiglia di cui non sa quasi nulla. Anche Simon, che in un primo momento si era mostrato riluttante, decide di raggiungere la sorella sulle tracce di una Nawal ben lontana dalla madre che conoscevano. I due ragazzi scopriranno un destino segnato dalla guerra e dall'odio e il coraggio di una donna eccezionale. Adattamento dell’opera di successo mondiale di Wajdi Mouawad, La donna che canta ha da subito un cammino intenso: menzione “27 volte cinema” per il miglior film alle Giornate degli Autori di Venezia 2010, premio del pubblico al Toronto International Film Festival, candidatura per il Canada agli Oscar 2011. Emblema di un'arte che riesce a stupire e a coinvolgere dal primo istante, aprendo nuovi scenari e rilanciando l’impegno del cinema a favore dei grandi temi sociali.
La narrazione è asciutta anche se molto enfatica, non apparendo mai sopra le righe, con uno stile spesso vicino per certi aspetti al documentario, conservando dei toni fortemente drammaturgici. 
La quasi assenza di colonna sonora, che compare solo in rari significativi momenti, rende tutto più sincopato, arrivando dopo l’emblematico prologo affidato a You and whose army? dei Radiohead. La guerra è lo sfondo totalizzante in cui si muovono i protagonisti, partorita dal disastro si staglia una figura forte e di passaggio, la detenuta numero 72 di una delle più dure e crudeli carceri libanesi. La forza della storia sta proprio qui, nella potenza delle immagini, nel racconto di una donna che non si dà mai per vinta, avanzando incessantemente contro ogni atrocità che il contesto le impone, proprio come una martire all'interno di un'epica tragica. Dalla catastrofe nasce un personaggio che reca con sé il conflitto, perfettamente aderente allo sgretolarsi del mondo esterno, fatto di macerie, bombe, sangue, perdite struggenti. Sembra la cosa più semplice capire come l’istinto naturale di sopravvivenza divenga forza, dove la rabbia della perdita di ogni punto fermo si fa nutrimento, quando anche dalla violenza più atroce crescerà amore. Non c'è più nulla da fare dopo essere sopravvissuti all'inferno se non aspettare che il cerchio si chiuda e che tutto ritorni nel medesimo luogo in cui ogni cosa è iniziata, quel luogo che finalmente donerà a Nawal, la donna che canta, il riposo. Qui ogni gerarchia è sovvertita e l'importanza dei legami appare quanto mai fondamentale, legami di sangue che pesano come macigni, in un ineluttabile destino sofocleo che si risolve in una necessaria presa di coscienza.
 
Chiara Nucera