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NCN Lab

Venerdì 15 Luglio 2011 15:08 Pubblicato in Concorsi

scadenza del bando: 22/07/2011

Per il quinto anno, Fondazione Cinema per Roma e Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri collaboreranno per promuovere iniziative volte alla diffusione della cultura cinematografica nel mondo dei giovani.

Cuore della collaborazione è NCN Lab che, alla sua quarta edizione, si svilupperà nella direzione di un vero e proprio laboratorio sul campo aperto a giovanissimi professionisti di tutti i “mestieri” del cinema: un percorso formativo e creativo ad ampio spettro che consentirà ai giovani partecipanti di confrontarsi e di costruire insieme la loro prima esperienza professionale.

NCN Lab 2011 coinvolgerà 33 partecipanti per 7 professioni. Produttori e professionisti affermati saranno presenti e a disposizione dei partecipanti in ogni fase del progetto, non solo per apporti seminariali, ma anche e soprattutto per collegare i giovani partecipanti al loro mondo di riferimento.

NCN Lab 2011 consisterà in tre percorsi formativi principali: una prima fase progettuale e seminariale; una seconda fase, durante il Festival di Roma, di incontro con i grandi professionisti del cinema internazionale che consentirà loro di comprendere le dinamiche internazionali produttive e distributive; una terza fase, dedicata alla produzione di due cortometraggi.

per informazioni e iscrizioni: http://www.romacinemafest.it

Melancholia

Giovedì 14 Luglio 2011 15:35 Pubblicato in Recensioni

L’inizio del film  è folgorante, al livello di Antichrist o Dogville. Sembra che l’introduzione nelle ultime opere di LVT sia ormai diventata una sorta di biglietto da visita: l’abilità tecnica del regista nell’offrirci dei veri e propri quadri in movimento, delle tavole ottenute con effetti fotografici computerizzati ed altri effetti speciali sottolineati da musiche classiche o liriche di grande impatto emotivo è un vero e proprio “manifesto” dell’autore danese.E anche lo sviluppo del “melodramma” è ormai costante e ricorrente nella filmografia del nostro: uno psicodramma nell’universo personale/familiare che sembra non avere contatti con la società

Evidente in “Breaking the waves” e “Antichrist” ma presente anche in film come “Europa”, “Idioti”, “Dancer in the dark”, “Dogville” o “Manderlay”.Mai in tutti questi film che si veda una scena cittadina, urbana, al massimo ci ritroviamo in una piccola comunità, un villaggio “teatrale” di ispirazione brechtiana.

Nel nuovo film addirittura l’azione si svolge in un bellissimo castello e nei suoi giardini isolato dal resto del mondo ma che con il nostro pianeta dovrà condividere un rischio “finale” quello di un probabile impatto con il pianeta “Malinconia” appartenente alla costellazione dello Scorpione. Le parti che dopo l’introduzione legano il film sono due: le storie delle sorelle Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg). La prima è l’elemento a rischio, l’insicura, la depressa, malata (?) che si è appena sposata. La seconda è l’elemento al sicuro, integrata, madre di un bambino bello e intelligente, sposata con un uomo ricco, forte (?)

Ebbene se la prima può essere identificata con “Malinconia” l’altra per forza è la “Terra”.Se la prima con l’avvicinarsi della stella riprende forza ed energia perché la Malinconia sta per “arrivare”, la seconda è in attesa della distruzione: perde colpi, certezze e sprofonda nella angoscia più totale.

Il teorema è narrato così bene da LVT nella prima parte quella del ricevimento di Justine che le sensazioni di malessere lanciate dalla protagonista durante il rituale borghese posticcio ci avvolgono al livello di film come “Il Gattopardo” o del più recente e gemello “Festen”.

I personaggi presenti al ricevimento entrano in scena con battute surreali stile Bunuel e preparano il terreno al “dramma”.

Grazie a LVT anche per la scelta di un cast di primo ordine: Charlotte Rampling, John Hurt, Kiefer Sutherland, Stellan Skarsgard, Udo Kier, ecc.

C’è mancata Penelope Cruz (nei titoli di coda comunque omaggiata dal regista) ma la bravura della Dunst premiata con la Palma d’oro e di una straordinaria Gainsbourg non l’hanno fatta davvero rimpiangere.

Lo so stavolta mi sono dilungato nella trama e ancora rimarrei qui a scriverne fiumi di pensieri e sensazioni su questo film: magari quando e speriamo se uscirà in sala avrò modo di ri-vederlo e proporre un nuovo commento.

Per ora lasciatemi ringraziare ancora Lars che a modo suo, solo suo rievoca in me quella bellissima frase pronunciata da Chance il giardiniere: “La vita è uno stato mentale”

Marco Castrichella

 

Giallo / Argento

Giovedì 14 Luglio 2011 15:32 Pubblicato in Recensioni
L'insostenibile leggerezza dell'essere.. un mostro!

Giallo è il classico reietto della società consacratosi al sadismo folle. Egli sceglie le sue vittime in base alla loro bellezza, provando piacere nel torturarle. Le sottopone ad indicibili sevizie, lasciandole a lungo agonizzanti, fino a quando non è completamente appagato. Poi le uccide brutalmente e si disfa dei loro corpi.
Celine (Elsa Pataky) è una modella americana ed è stata l'ultima ragazza ad esser rapita mentre si accingeva a raggiungere la sorella Linda (Emmanuelle Seigner). Linda allarmata si rivolge alla polizia che affida il caso all'ispettore Enzo Avolfi (Adrien Brody) che conosce bene la psicologia del serial-killer.

Giallo/Argento nasce come opera sofferta con difficoltà distributive, nonostante un budget di 14 milioni di dollari, una coproduzione con l'americana Hannibal ed una scelta di protagonisti importanti. Molte le impasse che gravano pesantemente sul film: la sceneggiatura si mostra a tratti imbarazzante, priva di pathos e di effettivi colpi di scena, la regia troppo scolastica, lontana anni luce da quel Profondo Rosso che ci ha segnato indelebilmente. Nessuna pienezza, ansietà, tutto è spento, vacuo, sbiadito nonostante una fotografia densissima. Sembrerebbe un tentativo di avvicinamento ad uno stile scarno e minimalista, un horror poliziesco veloce che segue una narrazione più televisiva che un cinema di ampio respiro. La trascuratezza della sceneggiatura pregiudica ancor di più il risultato finale, banalizzando il tutto, non offrendoci nulla di nuovo e originale, proponendoci il solito schemino basico che non spicca mai il volo. La rappresentazione del killer è farsesca e purtroppo fa sorridere, nella sua involontaria goffa messa in scena, con lui si estrinseca la nemesi: mostro e poliziotto sono facce della stessa medaglia, simili vissuti di drammi esistenziali che hanno generato percorsi antitetici, uno snodo che ci rimarca come il confine tra bene e male sia davvero sottile. I numerosi flash back non sono utili a delineare un background efficace, appiattendo ancora di più i ruoli che fanno accostare i personaggi più a forme inconsistenti di cartone che ad esperienze ricche di sfaccettature. L'intento citazionistico e culturale fa scaturire forse la cosa più bella dell'intero film, rappresentata, assieme al manifesto de Il Buono Il Brutto e Il Cattivo, dalla svolta zen legata ad uno dei delitti. Una giovane donna, consegnandosi alla trascendenza, nel suo ultimo anelito di vita sussurra un mantra “la mia vita non conosce frontiere, non sono mai nata e non morirò mai”. Il senso profondo e certamente inespresso di tutto sta forse qui, nella ciclicità di ogni cosa, dove il male è solo un comprendere più ampio di rettitudine, ritrovando in ogni vittima un carnefice.

Chiara Nucera

Corpo Celeste

Giovedì 14 Luglio 2011 15:11 Pubblicato in Recensioni

Un esordio notevole che ricorda i "primi" Dardenne

Applaudita a Cannes, e pluripremiata con il "Nastro d'argento " e con il "premio Amidei" come migliore regista esordiente,  l'opera prima di Alice Rohrwacher CORPO CELESTE è senz'altro uno dei migliori esordi degli ultimi anni .

La regista, neanche trentenne, non vanta una lunga esperienza. La vediamo prevalentemente alle prese con il montaggio di documentari in passato. Chissà che non sia stata proprio quest'esperienza            nell'ambito documentaristico a donarle la straordinaria abilità di "saper guardare". La storia, infatti, si snoda silenziosa, ma carica di una "sana rabbia adolescenziale", tra i mille dettagli che fanno sentire ancora di più che dietro la macchina da presa c'è una donna.

Un esordio che in qualche modo ricorda i primi fratelli Dardenne di "Rosetta" e "L'enfant", in modo particolare per la capacità di spiare quella vita quotidiana, che da sola basta a raccontare una generazione, una terra, una fede.

Protagonista del film la piccola Marta, che dopo aver vissuto per un periodo in Svizzera torna con la mamma (Anita Caprioli) e la sorella, a Reggio Calabria. Qui ci presta i suoi occhi per guardare in faccia una comunità cattolica "brutta" a tal punto da diventare grottesca e un'immensa periferia fatta di cavalcavia e tristi fiumare, che accrescono quella sensazione di desolazione e freddo che accompagna tutto il film.

Si è parlato inoltre, ancor prima dell'uscita in sala, di un'opera di denuncia verso la chiesa, e la regista stessa ha così smentito “Non volevo offendere la Chiesa, anzi, sono un’ammiratrice di padre Giacomo Panizza delle Comunità Progetto Sud e se dovessi scegliere tra Chiesa e tv, per mia figlia Anita che sto crescendo come atea, direi Chiesa”

Effettivamente, la sceneggiatura stessa non mette in evidenza critiche troppo forti, ma nonostante questo lo spettatore non può esimersi dal fare una riflessione intima e onesta sulla chiesa e i suoi apparati.

Renilde Mattioni