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Il Cacciatore di Giganti

Martedì 02 Aprile 2013 12:20

Fantastico non è sinonimo di fantasioso. L'originalità e l'imprevedibilità, figlie della creatività e dell'imponderabilità del reale, si possono rintracciare nell'ambito della finzione, del verosimile, del fantastico o del documentario, questo lo sappiamo e rientra nelle stesso genere di livella divina che fa si che un contadino muoia proprio come un re. 

Il cacciatore di giganti ne è un esempio calzante, targato Warner Bros, 3D, kolossal tra l'avventura ed il fantastico è ricchissimo di effetti speciali ma povero di sorprese, tanto da risultare prevedibile dall'inizio alla fine, sia nelle soluzioni narrative di sceneggiatura che di regia. Nei passaggi offerti dalla storia in cui la narrazione potrebbe sfuggire ai suoi previsti risvolti o a dinamiche prestabilite per permettersi qualche intuizione più affascinante, soprattuto nel costruire una dimensione del mondo dei giganti, ci si perde ancora di più, impoverendo la coerenza interna di questo realtà altra. Ad esempio, se l'abito non fa il monaco in Gigantiland la corona fa il re, è la regola decisiva da queste parti, ma la cruciale mossa diegetica non è supportata da una logica nel racconto e risulta una forzatura. Spesso si ricorre ai dialoghi, a tratti veri e propri monologhi, per darci ogni genere d'informazione. I personaggi sembrano rivolgersi direttamente allo spettatore, spiegandoci nella maniera più diretta, quindi elementare, ciò che si dovrebbe mostrare o almeno costruire con un po' più di grazia, risultando alienanti e fuori luogo. Naturalmente c'è l'amore, che però questa volta non è impossibile perché interraziale come in Avatar, ma, conformemente ai codici della favole che ci hanno svezzato da piccoli, semplicemente intersociale, una principessa e un contadino uniti da quell'indole da sognatori prerogativa, che tutto può, della gioventù. I Golia in questione hanno una grafica tra il videogioco, anche qui il film non rischia di eccedere per personalità, e il primitivo, sono di una rozzezza impareggiabile, ma, come sembrerebbe tutti nel medioevo, parlano un linguaggio ricercato. 

Bisogna anche spezzare una lancia a favore di questa bidimensionale razza animalesca gigante caratterizzata da un'aggressività patologica dovuta probabilmente alla mancanza di donne all'altezza, e non in senso figurato, di questi bestioni, il che può costituire una grave fonte di stress. Dulcis in fundo, si finisce con la possibilità che la storia riparta da capo, aspetto che può far sorridere, ma che segue il più classico dei paradigmi, visto in infiniti cortometraggi. Gli attori ci vanno tutti di mestiere portando a casa la pagnotta, giusto Stanley Tucci sembra divertirsi un po' più degli altri sull'onda della perfidia. Insomma manca una miscela di scienza e creatività per rendere questa storia pienamente accattivante.

Impariamo che i frati hanno la testa rasata affinché Dio possa leggere più facilmente nelle loro teste ed un infallibile metodo per sconfiggere la paura: immaginare una fetta di torta fluttuante davanti a sé nei momenti critici. Detto questo resta il fatto che è una favola, nel senso meno magico del termine, ma che comunque scorre senza intoppi, non rischia di annoiare e risulta gradevole e leggera per tutta la durata del film. Tuttavia, forse, si punta troppo su prodotti innovativi, effetto delle possibilità dei tempi a scapito della sostanza e del fascino della storia. Forse, spesso, si rischia poco, quasi come se la semplice ambientazione fantastica o il 3D siano sufficienti a far si che il racconto funzioni.

Alla fine si creano film mediocri che non vanno al di là di una piatta fruibilità, con buona pace di tutti e, comunque, garanzia di riscontro al botteghino. Finita l'eccitazione per la novità, magari si comincerà a fare della tecnologia anche un uso più intelligente, privandola della centralità di cui oggi gode per tramutarla in un ottimo strumento a disposizione dell'espressività.

 

Kami Fares