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Visualizza articoli per tag: Marco Mengoni

Il Re Leone

Domenica 18 Agosto 2019 10:31
Scordatevi il concetto di “Remake” che conoscete, “Il Re leone” di Jon Favreau non è un semplice rifacimento del capolavoro di animazione Disney del 1994, è l’esempio lampante di quanto stia cambiando il gusto visivo del pubblico, pone, seppure su una scala di differenti valori, la stessa domanda che il mondo si è fatto dopo la creazione della pecora Dolly. 
È una questione morale. 
Le versioni “live-action” dei classici Disney, proposte negli ultimi anni (l’ultima uscita Aladdin, 2018) figlie dell’operazione iniziata nel 1996 con “La carica dei 101-Questa volta la magia è vera” ci propongono le stesse storie rivedute e corrette, interpretate da attori in carne ed ossa, visibilmente preoccupati di rendere giustizia alle controparti in cellulosa, spesso affossati dal confronto con l’originale, generano dibattito e si accodano negli anni, dietro alle miriadi di discussioni generate dai franchise, sebbene siano “inutili” per certi versi, hanno un peso diverso. Questo non è un “live-action” è lo stesso film realizzato con la computer grafica fotorealistica, una diversa tecnica di “animazione”, non è un documentario del National Geographic, non è un film con attori che interpretano personaggi già esistenti e amati (l’umanità lo fa da secoli e mi riferisco anche al teatro) è un esperimento nuovo. Come tale, genera impressioni diverse. Simba è il principe della foresta, l’amato cucciolo è figlio di Mufasa, il Re, saggio e buono che veglia sul cerchio della vita. Scar, lo zio invidioso, vuole rovesciare le sorti della dinastia, prendere il posto di suo fratello e impedire all’erede legittimo di salire sul trono. La storia, a tutti gli effetti, è un dramma dinastico Shakespeariano, liberamente tratto dall’Amleto, funziona in qualsiasi modo venga proposta, tuttavia, si resta perplessi davanti alla totale inespressività degli animali, la forzatura nel far parlare creature che sembrano vere e non lo sono, si rabbrividisce sfiorando l’effetto di nausea provocato da quella che si definisce “zona perturbante” (o effetto “uncanny valley”) quando il nostro occhio si accorge che non sta guardando degli esseri viventi ripresi da una telecamera ma qualcosa di ibrido e finto, costruito così bene che sembra disgustosamente “reale”. Non si discute sull’efficienza dei motori grafici né la bravura degli animatori per certi versi, sebbene peccasse della stessa identica mania di perfezionismo “Il libro della Giungla” (2016) dello stesso Favreau, gli valse l’oscar per i migliori effetti speciali nel 2017 e questo è una sua evoluzione, tuttavia, resta la perplessità generata dagli altri fattori, una su tutte la componente “musical” presente in entrambe le versioni, se la versione precedente, rcca di colori offriva brividi e scene corali, questa può solo contare su fondali monotematici, scenari secchi e aridi, personaggi di contorno superflui (c’è un galagone con Timon e Pumba!) e zero credibilità. Le musiche sono dello stesso compositore Hans Zimmer, nella versione originale Nala è la famosa cantante pop Beyoncé, Simba è Donald Glover, in Italia gli stessi personaggi sono interpretati da Elisa e Marco Mengoni, il resto del doppiaggio italiano, curato con le migliori voci in circolazione tra cui Luca Ward e Massimo Popolizio ha combattuto una guerra impari: il primo “Re Leone” vantava un cast di attori e doppiatori d’eccellenza tutt’oggi viene considerato uno dei migliori mai realizzati (basti citare Vittorio Gassman e Tullio Solenghi come Mufasa e Scar). Si contano le scene soffocate (“Sarò Re” la canzone di Scar è ridotta ad un coro striminzito e un ritornello) le scene eliminate (il “Politically Correct” ci sta rovinando, mi riferisco al rapporto tra Scar e Sarabi) le citazioni forzate (no non avete riso, durante il siparietto di Timon alla fine, quando vuole proporre Pumbaa come portata principale. Vero?) e gli innumerevoli altri difetti, primo fra tutti quello più imperdonabile la ricerca spasmodica delle nostre “lacrime facili” costringendoci ad emozionarci per il ricordo di un film fatto 25 anni fa, come fosse un loro successo. I bambini di oggi amano le nuove tecniche, probabilmente questo film è dedicato a loro a quelli che si annoiano davanti al cartone animato (esistono davvero?) ma una buona fetta di appassionati, piange l’insuccesso. 
 
Francesca Tulli