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Visualizza articoli per tag: Michael Haneke

Happy End

Lunedì 29 Maggio 2017 13:43
Quando è stata presentata la line up ufficiale del Festival di Cannes 2017 ed è comparso nella lista il nome del due volte vincitore della Palma d’Oro Michael Haneke (Il nastro bianco - 2009 e Amour - 2012), tutto il mondo del cinema avrà pensato che il titolo "Happy End" nascondesse delle Molotov cariche della benzina più infiammabile pronte a squarciare la patina buonista dell’apparenza. L’effetto “Boom” questa volta però è minore. Qui troviamo tutta la cinematografia del regista austriaco, certamente attualizzata, ma sempre spietata. Dirige con mano caustica, ma leggermente meno graffiante rispetto alle sue opere precedenti. Ne consegue un film comunque utile, che vuol essere un’impegnata riflessione sul peso dei social network e delle moderne tecnologie, che invade e smonta la privacy della borghesia, sempre più zoppicante, egoista ed indifferente. Alienazione che si spinge fino alla consapevolezza che non esiste nessun problema rifugiati. Questione estranea a chi pensa che tutto quello che non lo tocca da vicino non esiste. 
 
Oggi. Adesso. Una famiglia benestante è strettamente presa in esame dall’occhio indiscreto della telecamera di un cellulare. Ci troviamo nel Nord della Francia e precisamente a Calais. Il patriarca Georges Laurent (Jean-Louis Trintignant), profondamente in crisi, ha lasciato la propria azienda in mano alla figlia   Anne (Isabelle Huppert) e al nipote Pierre (Franz Rogowski). Un grave incidente all’interno della ditta deve essere ora risolto da queste due neofite e svogliate figure. Gli equilibri della famiglia vengono scombinati anche dal volubile fratello Thomas (Mathieu Kassovitz), che si trova per casa la figlia avuta dal primo matrimonio, dato che l’ex coniuge è ricoverata in ospedale in gravi condizioni di salute. I comportamenti spogli di virtù e di coraggio e le dinamiche (false), che interessano ai membri di questa disomogenea comunità sono l’esempio perfetto della decadenza della borghesia, perennemente insoddisfatta ed infelice.
 
Happy End è scritto e diretto da Michael Haneke. Quest’anno il re delle negazioni, che analizza il mondo sempre per sottrazione, esce a bocca asciutta dal prestigioso Festival francese. 
Per la sua personale e provocatoria ricognizione nell’attuale (e disagiato) ceto medio usa diversi tipi di regia: l’uso diegetico dello smartphone (vedi locandina, icona riuscita che riassume il contenuto del film) è intervallato da riprese statiche e da piani sequenza. Così facendo il regista si avvicina per poi entrare con violento realismo nei contradditori meandri del benessere, convincendo lo spettatore che quello a cui sta assistendo è tutto vero. Il suo è uno sguardo indiscreto e critico sulle attuali convenzioni sociali.
Bravura nel mixare, così da riuscire a trasmettere tutti i significati e farne sentire il peso. Il tutto incorniciato con delirante leggerezza. Un ottimo cinema intellettuale dalla potenza nascosta, che scuote alla distanza. Happy End sembra quasi essere lo spin-off di Amour.
 
Per mettere in scena il cinismo, nei legami umani nel mondo concupiscente dei benestanti, si avvale di un Parterre de rois di attori di primissima fascia. Su tutti, si lasciano mettere a nudo con impressionante bravura, il sofferto ma sempre soprannaturale Jean-Louis Trintignant e l’icona del cinema d’autore made in Europe Isabelle Huppert. Prime donne di un cinema corale, che mette volutamente la narrazione in secondo piano, per dar spazio alle solitudini solitarie, che si spingono da sole verso una drammatica deriva. 
 
David Siena