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Berlinale66.While the women are sleeping

Venerdì 19 Febbraio 2016 10:55
Alla lavorazione di While the women are sleeping prendono parte figure provenienti da parti del mondo completamente opposte. Non solo geograficamente, ma soprattutto ideologicamente. Le diverse mentalità e culture è possibile pensare che siano complicate da far collimare o amalgamare in un modo tale da realizzare un opera narrativamente e stilisticamente efficace. Tratto dal libro del visionario scrittore spagnolo Javier Marias, diretto dal talentuoso regista cinese con istruzione americana Wayne Wang (Orso D’Argento nel 1995 per Smoke) ed interpretato dal magnetico artista giapponese Takeshi Kitano (Zatoichi – 2003), la pellicola è un cocktail dai sapori forti e speziati, che arriva dove non si pensava potesse arrivare. Riesce a portare in superficie tutte le sue dissimili anime. Il risultato è un film anomalo e sperimentale che trasporta verso il finale, forse l’unica parte meno riuscita, intrigando lo spettatore che vive nella drammatica suspense svariate viscerali emozioni tutte d’un fiato. Morboso, intrigante, voyerista, infedele e perverso, il film di un rinato Wayne Wang, si presenta alla Berlinale 2016 nella categoria Panorama sorprendendo con i suoi esseri umani evasivi e quasi imprendibili, alle prese con competizioni avverse, inquietanti ed anche un po’ maligne.
 
Durante un periodo di vacanza in una località marina, lo scrittore in crisi di risultati Kenji (Hidetoshi Nishijima, a Berlino anche con il malvagio Creepy di Kiyoshi Kurosawa) e la moglie Aya (Sayuri Oyamada) incontrano nel resort dove alloggiano una strana coppia. La cosa che salta subito all’occhio è la notevole differenza di età tra Sahara (Kitano) e la sua giovane compagna (Shioli Kutsuna, vista in The Assassin di Hou Hsiao-hsien – 2015). L’incontro avviene ai bordi della piscina dell’albergo, dove gli sguardi di Kenji diventano sempre più insistenti. Questa curiosità lo porta a fare delle ricerche in città per scoprire qualcosa in più su questo insolito legame. In un ritmo cinematografico tipicamente orientale, dove i fatti vengono descritti come lo sciogliersi di una candela, prende vita l’ipotesi che l’indecifrabile Sahara sia frutto della mente del romanziere. Sagace pretesto per creare una situazione che sia in grado di rinvigorire il rapporto con la moglie, che sembra essere in una fase di stanca. 
 
Wayne Wang, che deve il suo nome al grande John Wayne, ci regala una versione moderna del mito di Lolita. E lo fa addentrandosi in un mondo oscuro, come aveva già precedentemente raccontato nel suo The Center of the World del 2001. La drammaturgia, scandita in episodi giornalieri, vira lentamente le sue intenzioni erotiche portandosi su atmosfere thriller ad effetto. Peccato, come già accennato in precedenza, che il finale non ci consente di avere una somma chiarezza degli avvenimenti. Questo interrompe bruscamente la visione di un ottimo film, che nei suoi punti di forza ha un’accurata messa in scena. L’aspetto dell’immaginare ad occhi aperti qualcosa che non è reale è formalmente ben concepito, tanto da riuscire a non farci percepire il passaggio dal mondo reale a quello immaginario. Non vengono usati particolari artifici, ma una forma compatta, sorretta da un’elegante estetica. 
 
Il trascinatore di quest’opera stravagante è l’indomabile Takeshi 'Beat' Kitano. La sua ultima comparsa da attore risale a 12 anni fa. Qui ci regala un’interpretazione da maestro, mettendo sullo schermo un ambiguo protagonista. Il suo saper essere borderline, in un misto tra normalità e pazzia è stupefacente. Una sorta di Virgilio per il regista, che gli permette di valorizzare al meglio le ossessioni ed i desideri repressi, elementi focali della narrazione.
 
Fulmine a ciel sereno nel Panorama festivaliero di Berlino, While the women are sleeping rivela la sostanziale differenza tra amore e devozione, con l’aiuto di un suo dell’immagine molto stiloso. Venerazione che si spinge oltre ogni limite, in grado di creare universi onirici figli di terremoti interiori. Consigliato a chi ama il Wayne Wang più dark rispetto a quello dolce e filosofeggiante.
 
David Siena
 

Quando hai 17 anni

Sabato 20 Febbraio 2016 14:21
L’adolescenza, si sa, è uno dei momenti della vita in cui si cresce a braccetto con la confusione. Esplodono sentimenti sconosciuti e si vive una libertà selvaggia. Una Babele di stati d’animo disordinati, che ci portano a godere di qualcosa di non maturo, ma per questo non necessariamente aspro o sbagliato. Anzi, in quel vivere con spavaldo coraggio si impara a conoscere se stessi con sempre meno vincoli. Ecco, il film di Téchiné (L’Età acerba e La mia stagione preferita tra i suoi lavori più rappresentativi) riesce nell’intento di spezzare quei nodi psicologici, proponendoci una parabola autentica, dove anche la lotta ed un pugno in faccia sembrano essere qualcosa di logico e necessario.
 
Queste turbolenze sono al centro del rapporto tra Damien (Kacey Mottet Klein) e Tom (Corentin Fila). Entrambe vivono in un paese ai piedi dei Pirenei: il primo con la madre Marianne (Sandrine Kiberlain, vista nel sorprendente Polisse), che cerca di sopperire alle mancanze del padre, militare in perenne trasferta; il secondo è figlio adottivo di contadini che non abitano in città. La casa di Tom è sperduta tra le montagne, dove i genitori gestiscono una florida fattoria. Ogni giorno il ragazzo deve fare molta strada per recarsi a scuola. Quando la madre rimane incinta la soluzione più plausibile è quella di alloggiare, fino al termine dell’anno scolastico, con Marianne e Damien. I due diciassettenni sotto lo stesso tetto non si sopportano più di tanto, le scintille erano già partite a scuola e continuano con vigore a casa. Potrebbe essere un problema razziale, dato che Tom ha la pelle mulatta, ma sotto la cenere brucia qualcos’altro: un sentimento innominabile, che fa paura e spaventa i due adolescenti.
 
Quand on a 17 ans vive sulla forza bruta ed allo stesso tempo libera della narrazione di Téchiné e Céline Sciamma. Qui non si fa moralismo, ma si indaga con realismo ed autenticità nel nucleo dei sentimenti più reconditi dei ragazzi d’oggi. Usando l’anno scolastico come strada maestra del film possiamo scoprire, insieme ai due giovani, la loro tendenza sessuale con la rispettiva esplorazione, resa intima da una regia presente, ma non soffocante. Una storia che al suo interno ci mostra personaggi genuini, che vivono in simbiosi con la natura che li circonda e ne influenza i comportamenti. Tom e Damien assorbono quel senso di grezzo e di incolto e lo portano nel loro rapporto. Bravura del settantaduenne Téchité nel confezionare un opera semplice, che si fa notare per la sua legittima naturalità. L’unica nota stonata, che gli si può imputare, è che non cambia mai registro. Perdura nelle sue intenzioni lasciando un po’ indietro l’aspetto emozionale e di pathos, che passa di fianco allo spettatore, ma non lo tocca completamente nel vivo. Appiattimento temporaneo che non fa sorgere a sole caldo il film.
 
Di Quand on a 17 ans si ricorderà di come sia estremamente affascinate scoprire se stessi. Un amore sordo, che finalmente sente qualcosa, anche se solo un leggero soffio di vento sussurrato tra le montagne. Consigliato a chi sa che da sotto alla neve prima o poi apparirà un prato verde. L’autore francese qui mette le basi per coltivarlo e mantenerlo forte, parlando senza barriere e con sincerità ad ognuno degli spettatori in sala. 
 
David Siena