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Black Panther

Martedì 13 Febbraio 2018 09:47
Nel 1966, Stan Lee e Jack Kirby diedero vita a Black Pather, il primo supereroe nero dell’universo Marvel. Con un colpo di coda “a sorpresa” ha fatto il suo primo ingresso al cinema in Captain America: Civil War (2016) dove il giovane Spider-Man aveva offuscato la sua presenza. In questo stand alone a lui dedicato diretto da Ryan Coogler scopriamo le sue origini e l’evoluzione della sua storia. Il principe T’Challa (Chadwick Boseman) rivendica il trono di suo padre e fa ritorno nel Wakanda. Nascosto da un varco infra dimensionale in Sudafrica, da secoli, questa potenza poggia su enorme giacimento di Vibranio il metallo più resistente della terra grazie al quale prospera (lo scudo di Captain America è fatto dello stesso materiale). E’ un paradiso tecnologico, dove modernità e tradizione convivono in armonia. A proteggerlo, lui stesso, ultimo di una discendenza di sciamani a cui la dea Bast diede in dono la “foglia a forma di cuore” un erba magica in grado di  aumentare la forza fisica e consacrarlo al ruolo di Pantera Nera. Al suo fianco Nakia (Lupita Nyong’o) la sua “ex” troppo impegnata negli aiuti umanitari fuori dai confini, per sedere al suo fianco come sua futura sposa e la risoluta guerriera Okoye (Danai Gurira). Sulla terra, Ulysses Kalue (una vecchia conoscenza per gli appassionati dei film Marvel interpretato da Andy Serkis) un contrabbandiere senza scrupoli si avvale dell’aiuto di Erik Killmonger (Michael B. Jordan) uno spietato terrorista, per rubare un manufatto Wakandiano in Vibranio e rivederlo al migliore offerente. Sulle loro tracce l’agente della CIA, Everett Ross (Martin Freeman). Funziona la commistione tra fantascienza e suggestioni tribali afroamericane. Notevoli e originali sono i costumi e la maestosa scenografia. Intelligente è la scelta della colonna sonora firmata da Ludwing Goransson una piacevole commistione di cori ancestrali e Hip Pop. Conserva solo una piccola dose dell’umorismo distintivo dei film a cui ci ha abituato “La Casa Delle Idee” senza che questa vada a soffocare la pellicola. Restando seduti fino alla fine dei titoli di coda, nelle due scene extra, troviamo il collegamento tanto atteso che legherà questo ad Avengers: Infinity War, in uscita a maggio, il definitivo anello di congiunzione tra tutti i film dello stesso filone visti fino ad oggi. Come fu per Thor (2011) scopriamo uno scenario nuovo, dove di base si svolge un impianto scenico “Shakespeariano” accessibile a tutti (la stessa operazione era stata fatta per Il Re Leone, nel 1994, dove la Disney rielaborò Amleto) è una storia di principi e re, inquadra una questione familiare tra padri e figli, che senza annoiare, diventa uno spunto di riflessione sulla politica attuale e sfiora la questione della schiavitù e del razzismo. Sarà la simpatia per il protagonista o lo scenario politico in cui viviamo, dove “gli stupidi costruiscono le barriere” a farci desiderare un futuro migliore al grido liberatorio di: “Wakanda per sempre!”
 
di Francesca Tulli