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Visualizza articoli per tag: darren aronofsky

mother!

Giovedì 28 Settembre 2017 20:04
Mother! di Darren Aronofsky (Leone d’oro 2008 per The Wrestler) era il film più atteso della Mostra del Cinema di Venezia edizione 74. Dopo la sua visione il primo titolo da copertina che viene in mente è: Delirio e paura a Venezia! Il regista americano, con il suo personale horror, scuote il pubblico del Festival e apre una falla enorme tra estimatori e detrattori del film. Mother! è sicuramente esagerato e ridondante, ma non tutto è da buttare in questo vorticoso ed allucinante viaggio all’interno della psiche umana, alla ricerca di una pazzesca ispirazione.
 
Una coppia felice si trasferisce una bellissima tenuta di campagna. La moglie (Jennifer Lawrence, Oscar 2013 per la sua interpretazione ne Il lato Positivo), che ha curato la ristrutturazione con amore e passione, è riuscita a trasformare la casa in un perfetto nido d’amore. 
Una sera bussa alla porta un uomo a lei sconosciuto (Ed Harris, The Truman Show). Il marito scrittore (Javier Bardem, anch’egli premio Oscar per Non è un paese per Vecchi nel 2008), che conosce l’ospite, lo fa entrare di buon grado nella loro splendida dimora.  Di lì a poco arriva anche la consorte (Michelle Pfeiffer, Le Verità Nascoste). Queste strane presenze in casa disturbano la moglie. I forestieri nascondono qualcosa di oscuro. I loro comportamenti sono inconsueti e minano le sicurezze della donna, che si sente in pericolo e sull’orlo di una crisi di nervi. 
 
Darren Aronofsky sembra abbia assimilato a modo suo dei concetti nolaniani legati agli innesti e teorie di mondi paralleli linchiniani. A questi si ispira, con minor successo, per creare il suo film onirico. Opera contraddistinta da diversi sotto strati narrativi, che trascinano lo spettatore in un inconscio profondo, percorrendo una strada febbrile e morbosa. Il lato positivo di Mother! risiede completamente nell’aver pensato di raccontarci questo delirio in chiave horror. L’atmosfera sanguinante e senza veri punti di rifermento procura ansia e suspense. Una volta usciti dalla sala si ha come la sensazione che qualcosa effettivamente nasca e bruci nel nostro profondo. Una fossa della Marianne quasi intoccabile, ma luogo dove nasce la nostra ambizione quotidiana. L’idea, che il regista ha dichiarato di aver messo su carta in soli 5 giorni, è lodevole, peccato che qualcosa nelle due (eccessive) ore del film stoni. In questa allegoria c’è troppa ambizione che sfocia in confusione e a tratti il caos creato è ingestibile. Mother! è una riflessione sulla nostra madre terra, che ingloba anche argomenti come la religione e la storia dell’uomo. Audace pensare di racchiudere tutto questo in una sola storia, dove è anche complicato comprendere certe metafore. 
 
Madre (Jennifer Lawrence) è madre natura. La casa è la terra. La pellicola ci fa vedere fino a quanto l’uomo è in grado di sfruttarle: fino al midollo. Il risultato inevitabile sarà di bruciarle e farle diventare solo cenere. L’autore dissemina la casa di oggetti e animali che riconducono alla natura, indizi per risolvere il puzzle, non proprio riconducibili alla narrazione in atto. Ogni persona che entra in casa ispira positivamente o negativamente lo scrittore Bardem. Madre, dorata e priva di peccato come una Madonna, a lei viene chiesto sempre e solo di elargire e di donare senza misura. Madre è l’ispirazione, che soffre inconsciamente. Sanguina e non capisce. Va contro ad un destino che non conosce e non comprende. Lei è la madre di tutto, la scintilla che ci fa svegliare alla mattina. Il sole che ci bacia quando lo troviamo senza riserve. 
Il film, dichiaratamente provocatorio, è la personale repressione del regista contro un mondo pazzo. Nella sua ciclicità la pellicola, a conti fatti, risulta troppo pasticciata. Argilla nelle mani del proprio artista, che ad un certo punto non riesce più a controllare. Bisogna anche dire che la tormentata e fervida interpretazione di Jennifer Lawrence aiuta il film a raggiungere parte del suo scopo: trasmettere insicurezza. Energico sconforto provocato anche dall’invasione della casa, sinonimo di un mondo non più al sicuro. Questa sensazione è accentuata dalla colonna sonora del film, composta da Jóhann Jóhannsson (Arrival, 2016). Commento musicale disturbante, dalle atmosfere metalliche. 
 
David Siena

The Whale

Domenica 29 Gennaio 2023 13:34

Dopo oltre 5 anni di tempo Darren Aronofsky torna con l’opera successiva al discusso Madre!, un film particolarmente complesso nelle tematiche e nella struttura, le cui critiche nettamente polarizzate presso pubblico e stampa avevano creato più di un grattacapo alla carriera del regista americano.

Con questo The Whale si ricrea un’atmosfera a lui più congeniale, indagando sulle tensioni delle nostre pulsioni emotive e guardando in faccia personaggi che spingono le proprie esistenze al limite del baratro, percorso già esplorato con titoli del calibro di Requiem for a Dream o il Cigno Nero.

Il protagonista Charlie (Brendan Fraser), è un insegnante di letteratura inglese dal peso di oltre 270Kg, una stazza che gli impedisce o rende faticosissimo anche il più comune dei movimenti per una persona normale. Dopo essere scampato ad una crisi potenzialmente fatale, visto che l’obesità è notoriamente una condizione fisica molto pericolosa, il nostro docente si rende conto di dover rimettere ordine nella propria vita. Cercherà una rivalsa sociale e personale riallacciando i rapporti con la famiglia e proverà ad affrontare demoni del passato che lo hanno direzionato verso questa situazione.

Come nelle precedenti opere, l’occhio del regista è inquisitore, crudo e senza filtro, talvolta sembra sconfinare nel vouyerismo e nel proibito, ma è necessario per cristallizzare un momento di pura sincerità nella vita dei suoi protagonisti.

Se ad esempio nel già citato Cigno Nero i tormenti della giovane Nina sfociavano in un autolesionismo che non lasciava nulla all’immaginazione, in questo The Whale, Charlie ci rende testimoni della schiavitù nei confronti della sua condizione con altrettanta efficacia. I primi piani mentre si nutre con voracità e senza alcun ritegno mostrano una creatura votata a saziare un istinto primordiale, con uno sguardo predatorio, ma tragicamente incapace di riempire i vuoti della sua intimità.

Trova necessario e salvifico cercare conforto nel cibo quando i legami sono così labili e saltuari, con la solitudine interrotta solo dall’intervento routinario delle visite mediche a domicilio.

Nonostante la dura realtà a schermo, la vicinanza col protagonista viene però molto naturale; Brendan Fraser si dedica anima e corpo, in tutti i sensi, a conferire dignità e umanità alla sofferenza di Charlie.

La sua è una prova attoriale di assoluto livello, con un ruolo di rinascita personale in cui ha infuso ogni tentativo di raddrizzare una carriera costellata di alti e, soprattutto negli ultimi anni, di profondi bassi.

Se il regista riesce a dipingere un ritratto così lucido, gran parte del merito è ovviamente suo; egli veste i panni di un personaggio anche fisicamente molto impegnativo, ma lo sforzo lo riporta al centro dei riflettori e in prima linea nella stagione delle premiazioni.

Il resto del cast, a partire dalla Sadie Sink di Stranger Things, colpisce meno, ma è anche comprensibile perché l’epopea personale di Charlie lascia poco spazio a tutto ciò che gravita intorno. Non sembra necessario indagare da altre parti quando c’è così tanto del protagonista ad appesantire le nostre emozioni.

Anche la forma segue le stesse intenzioni, perché questo diventa l’ennesimo film recente ad adottare un formato 4:3, ormai tipico nel creare più coinvolgimento nello spettatore, e tutta la vicenda è ambientata in un set praticamente unico, l’interno dell’appartamento di Charlie, a non voler spostare nemmeno fisicamente l’epicentro della narrazione.

The Whale si rivela quindi un film di grande livello, che si inserisce perfettamente nel filone drammatico-psicologico tracciato da Darren Aronosfky lungo tutta la sua filmografia. Egli rimane uno dei pochi artisti in grado di creare personaggi profondamente umani, forti e fragili, con un’autorialità che a volte respinge, ma comunque colpendo l’immaginario dello spettatore, lasciando il segno e generando discussione. Se ne sentiva decisamente la mancanza.

Omar Mourad Agha