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POKOT (SPOOR)

Lunedì 27 Febbraio 2017 10:58
La regista e sceneggiatrice Agnieszka Holland (Europa Europa, In Darkness) irrompe nel concorso di Berlino 2017 con il suo nuovo e discusso lavoro. Pokot è un thriller animalista ben diretto, che evidenzia però degli eccessi discutibili. La regista polacca si spinge oltre la normale comprensione dello spettatore e perde la bussola. Visione eccessivamente personale. Una vendetta degli animali che stride, sublimata in un paradiso inverosimile. Di questa parabola pro vegana rimane un’apprezzabile direzione tecnica. Le scene naturalistiche girate in stile documentaristico sono egregiamente mixate con quelle di tensione all’interno della trama. A giovarne è il ritmo della pellicola, che non si addormenta mai, nemmeno nei lenti e ciclici movimenti della natura.
 
In un’innevata località, al confine tra Repubblica Ceca e la Polonia e precisamente nel cuore dei monti Sudeti, l’anziana signora Duszejko (Agnieszka Mandat-Grabka) si prende cura dell’istruzione anglofona dei ragazzi del paese. L’eccentrica donna ama pazzamente l’astrologia e le sue due cagne. Un giorno i suoi cari animali scompaiono. Non riuscendo a darsene pace intraprende una personale investigazione. Duszejko, in villaggio, non è proprio ben vista. La sua battaglia contro i cacciatori della zona è perenne. Il giallo si infittisce quando la stessa donna scopre il corpo senza vita di un vicino. Adesso anche la polizia locale si muove con forza per districare i misteri che stanno travolgendo la cittadina. Le tracce del misfatto riconducono solo a degli zoccoli di capriolo. In questo clima indecifrabile, l’attempata signora ha anche il tempo di interessarsi delle sorti di una coppia di giovani in balia della comunità. 
 
Pokot (Spoor), che tradotto vuol dire “Traccia”, si porta a casa dalla Berlinale il Premio Alfred Bauer per l'innovazione. Scritto dalla stessa Holland e Olga Tokarczuk e tratto dal romanzo “Drive your Plough over the Bones of the dead” (Guida il tuo aratro sulle ossa dei morti), il film presenta degli sbilanciamenti evidenti. Peccato perché il soggetto era molto interessante e corposo. La giusta distanza tra uomo e animale qui non c’è. Punto a sfavore che poi degenera fino ad arrivare ad una visione onirica di un paradiso naturalista troppo lontano dalla realtà. Amorale, borioso ed eticamente discutibile, Pokot e la sua regista sprecano l’occasione per parlare con realismo della Polonia odierna. Nazione che si è chiusa nella propria ricostituzione, lasciando tutte le finestre serrate all’Europa. Il contesto dei monti Sudeti, che ha segnato la nazione tra le due Guerre Mondiali, è il luogo adatto per evidenziare le rivalità all’interno del paese. Ma la deriva, al limite del fondamentalismo, che prende il film, vanifica l’ottimo pretesto per ribellarsi all’attuale governo. 
La Holland, da sempre attenta alle categorizzazioni sociali, nei suoi lavori passati ha dato sempre voce ai diversi, ma ha anche sempre anche spaccato la critica. Qui la storia si ripete. Pokot però va oltre la politica ed il cinema della regista polacca ha un ferreo punto di arresto. Peccato perché la camera da presa la sa usare benissimo, sapendo creare dinamismo, suspense e non dimenticando mai l’intimità dei personaggi.
 
David Siena