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El Campo

Venerdì 13 Luglio 2012 22:57

Il primo lungometraggio di finzione dell'argentino Belòn, noto già per la lunga attività di documentarista, presentato alla Settimana Internazionale della Critica nell’ambito della 68esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è un lavoro intimista ricco di inquietudine, mistero e suspance. Gli ingredienti principali per creare un thriller senza mostri e dai contorni drammatici, nella grigia atmosfera di giorni gelidi , spezzati da pioggia scrosciante. L'incontro con dei vicini molto strani, la calma e la desolazione del luogo, l'insolito comportamento di Santiago (Leonardo Sbaraglia), portano Elisa (Dolores Fonzi) ad un costante stato di insicurezza, apprensione e senso di non appartenenza; è sempre più forte la percezione che fuori e dentro la casa di campagna, in cui i due coniugi soggiornano assieme alla loro bambina, qualcosa si muova e stia occupando le loro vite, erodendo la solidità del legame matrimoniale. Avulsa da tempo e spazio si svolge una vicenda dagli inquietanti contorni, nell'hitchcockiana ricerca di una suspance creata su rumori improvvisi, crepitii di braci, scricchiolii di travi, folate contro finestre rotte. Un posto che dovrebbe essere un paradiso, ricercato da Santiago per inscenare il suo perfetto quadretto familiare, diviene l'incubo di Elisa che, catarticamente, riconoscerà se stessa nel momento in cui passerà attraverso i propri mostri interiori. Come consuetudine l'escamotage del viaggio è usato come espediente per l'analisi interiore, nella frattura di una coppia che all'inizio ci viene mostrata felice come tante altre, ma che sotto sotto porta con sé i soliti problemi che non aspettano altro che emergere. L'azione non è governata dal meccanismo di causa-effetto ma è prettamente onirica, caratterizzata da tagli di montaggio e frasi ellittiche, rivelatori di una logica soggettiva ed irrazionale, parallela agli stati d'animo della donna. La natura è a volte maligna e pericolosa e questo concetto anima ogni fotogramma, sin dalle prime sequenze. Tuttavia forte è la sensazione che alla pellicola manchi qualcosa e sovente affiora il desiderio di capire da cosa siano dipese tali angosce: il mcguffin è poco potente e non convince confermandoci che si tratta solo di un malessere individuale, iniziato dopo i titoli di testa. L'Unheimlich che, freudianamente sconvolge Elisa, ci lascia così un senso di incompiutezza, nonostante i buoni propositi insiti nel progetto e un ottimo livello recitativo. Non si sfugge dai richiami che questo tipo di cinematografia riprende continuamente, anche in maniera piacevole, cristallizzando il tutto in un ben congegnato impianto dalle atmosfere gotiche di inizio Novecento, che pur mantiene i classici cliché del cinema di genere.

Chiara Nucera