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I simpaticissimi siparietti di Marco Giallini che ci parla di Rocco Schiavone dalla conferenza stampa di presentazione della seconda stagione 12.10.2018

Non ci resta che il crimine

Giovedì 10 Gennaio 2019 18:28
Alcuni momenti storici hanno il particolare potere di restare per sempre cristallizzati nella memoria di chi li vive. Molti li ricordano come i migliori anni della propria vita, pagine dense di euforie e grandi scoperte. Il 1982 fu un anno che segnò indelebilmente l’immaginario collettivo italiano. Un anno rimasto impresso a tutti i ragazzi per il lancio nel mercato del mitico Commodore 64, e a tutti gli italiani per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio. Quell’anno lo ricordano bene anche Moreno, Sebastiano e Giuseppe, amici di lunga data, che all’epoca erano dei curiosi ragazzi, ed ora nel 2018, si ritrovano a dover fare i conti con una realtà ben diversa e costellata di difficoltà.  Ma forse non tutto è compromesso, e Moreno decide infatti di coinvolgere i suoi amici in un’impresa molto bizzarra: organizzare un “Tour Criminale” della Roma di una volta, città teatro di una delle organizzazioni criminali più note, la Banda della Magliana.  L’idea potrebbe promettere un rilevante successo e soldi a “palate” se non fosse che, per un imprevedibile scherzo del destino, i tre vengono inspiegabilmente catapultati davvero nel 1982, proprio nel gloriosi giorni dei Mondiali di Spagna. Tra calcio e scommesse ad alta tensione, Moreno, Sebastiano e Giuseppe arriveranno a confrontarsi con uno degli uomini più pericolosi e potenti della criminalità romana, il terribile Renatino. Ma il pericolo è dietro l’angolo, Renatino e i suoi uomini coinvolgono i tre in un giro malavitoso contornato da soldi, violenza e incalcolabili imprevisti. Riusciranno a ritornare all’agognato futuro ora che si ritrovano intrappolati in un arrischiato 1982? Non ci resta che il crimine ha la grande potenza di mescolare due registri ben diversi, ossia quello del poliziesco anni ’70 e quello del cinema comico dei giorni nostri. Quella diretta da Massimiliano Bruno, aiutato nella scrittura da Bassi, Guaglianone e Menotti, è una commedia che alterna in modo misurato tensione e ironia, senza però cadere preda di luoghi comuni o situazioni già note. Un esperimento riuscito, scorrevole e pieno di richiami a quel cinema che ha segnato un’intera epoca rimanendo impresso per alcuni stilemi molto esclusivi, quali fotografia dai toni saturi e colonna sonora graffiante, perfettamente amalgamata alla storia. In Non ci resta che il Crimine infatti, la colonna sonora affidata a Maurizio Filardo, dona un tono vintage e un carattere autentico, tipico dell’epoca. Nel film non mancano sequenze spassose, capaci di regalare un piacevole intrattenimento all’insegna della risata, ne è l’emblema la buffa ed esagerata scena della rapina, forse uno dei migliori momenti di questo lavoro. Perfettamente inseriti nei loro ruoli sono gli attori protagonisti Marco Giallini (Moreno), Alessandro Gassman (Sebastiano) e Gianmarco Tognazzi (Giuseppe), che si confermano un gruppo affiatato nella vita e sullo schermo.  Altrettanto convincente Edoardo Leo (Renatino) per la prima volta alle prese con un ruolo da “villain”, al quale l’attore romano dona un tocco personale e credibile quanto basta. Non ci resta che il crimine, dal 10 gennaio al cinema, è un film che si lascia guardare senza alcuna difficoltà e con molta curiosità, prendendo quasi le distanze per stile e trama da molto cinema italiano in sala. 
 
Giada Farrace

E' per il tuo bene

Venerdì 10 Luglio 2020 20:49

A distanza di tre anni Rolando Ravello torna dietro la macchina da presa per dirigere un’altra commedia sulla scia del suo precedente lavoro, La prima pietra, sempre a metà strada tra l’eccesso di vivacità e riflessione sull’accettazione del diverso. E’ per il tuo bene,  ora disponibile on demand su Amazon Prime, è il remake di una fortunata pellicola spagnola del 2017 intitolata Es por tu bien. Come nel film di Carlos Theròn, anche qui abbiamo a che fare con tre famiglie in piena crisi di nervi, travolte dalle scelte sentimentali delle proprie figlie, scelte a loro avviso piuttosto discutibili e spiazzanti. Annebbiati dal disappunto e dalla volontà di proteggere la vita delle ragazze, i tre padri, amici da sempre, decidono di escogitare insieme un improbabile e folle piano per allontanare le proprie figlie dai rispettivi partner. Precede l’uscita una bagarre scatenata da una locandina errata che ha mandato su tutte le furie vari movimenti femministi anche stranieri e ha fatto parlare del film su varie testate. Il manifesto riportava esclusivamente i nomi del cast maschile, rispettivamente quelli di Giallini, Salemme e Battiston, omettendo totalmente quelli invece del cast femminile, composto da Claudia Pandolfi, Isabella Ferrari e Valentina Lodovini. Una provocazione molto feroce in un momento di attivismi, che ha suscitato non poche polemiche, ognuna delle quali ferocissima nel boicottaggio di questo lavoro a tal punto che il distributore, Medusa, è intervenuto scusandosi pubblicamente per l'errore di stampa, assolutamente involontario e causato dalla fretta. Tornando invece ad un’analisi della pellicola di Ravello, la si potrebbe definire tiepidamente spiritoso, in virtù di quel respiro scanzonato che i tre protagonisti sono capaci di donargli. Ma se si mette da parte questo aspetto non resta altro che consuetudine, noiosissima e ripetitiva consuetudine. Ed è principalmente questo il tarlo che divora molte commedie italiane, quell’eccessiva attenzione rivolta al connubio tra il politicamente corretto e l’intemperanza di situazioni sopra le righe, nonché la riproposizione di quei temi masticati e rimasticati nel corso degli anni. Vediamo quindi riaffacciarsi alcuni topoi cinematografici che tanto piacciono alle storie italiane, tra cui l’incomprensione, la mancata accettazione del diverso e le onnipresenti crisi di nervi dei radical chic (con relative esplosioni litigiose e attacchi d’ira). Ma dovessimo rintracciare il peggior difetto probabilmente esso non figurerebbe nella riproposizione di storie già trattate, piuttosto in un’assenza di carattere e di imprevedibilità del lavoro. C’è troppa retorica nei personaggi, nelle loro storie e persino nei loro dialoghi ed è proprio questa ridondanza ad allontanare lo spettatore dall’empatia. Il risultato è un quadro eccessivo, mosso da un motore improbabile e poco convinto, che finisce per rendere poco salienti anche i saparietti più accattivanti. A questo punto ci si chiede se davvero il cinema italiano si stia rinnovando o se tenti solamente di ripercorrere vecchie strade, imbrigliando il tutto nella camicia di forza del politically correct.

Giada Farrace