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Visualizza articoli per tag: matteo garrone

 

Una full immersion con Marita D’Elia, affermata Casting Director del Cinema italiano. Un workshop intensivo per  attori sull’audizione e la recitazione cinematografica.

Come ci si presenta ad un casting per il cinema o per la tv? Come ci si pone davanti alla macchina da presa? Cosa cercano casting e regista provinando? Preziosi consigli e segreti del mestiere, in un corso che si svolgerà a Roma presso IMAGO CASTING Via Marianna Dionigi, 29 (Piazza Cavour),  sabato 2 e domenica 3 febbraio, dalle 13,30 alle 20

 Al termine delle lezioni i ragazzi/e sosterranno un provino con la casting, avendo modo di autovalutarsi e riuscendo a scoprire insieme punti deboli e tecniche da affinare.

Numero partecipanti: min 10 – max 22 partecipanti

 

PROGRAMMA:

Primo giorno:

1) Introduzione e incontro con gli attori.

2) Presentazione e interviste a ciascun attore partecipante.

3) Prove in coppia delle scene assegnate. Mediante una regia attenta e personalizzata  si individueranno e correggeranno eventuali errori con l’intento di riconoscere i principali punti deboli dell’attore per migliorarne il rendimento nella performance.

4) Ripresa in video delle scene provate.

 

Secondo giorno:

1) Visione collettiva del materiale registrato, esame dei risultati ottenuti.

2) Prove di nuove scene e improvvisazioni.

3) Feedback del lavoro svolto e conclusioni.

 

Marita D'Elia da anni lavora come Casting Director per il Cinema e la Fiction.

Per il cinema si è occupata sia di film d’autore (Reality di Matteo Garrone, Tatanka di Giuseppe Gagliardi, Rugginedi Daniele Gaglianone, Certi Bambini di Andrea e Antonio Frazzi, Te lo leggo negli occhi di Valia Santella per citare i titoli più importanti)che di commedie di grandesuccesso(tra cui ricordiamo Benvenuti al Sud di Luca Miniero,Benvenuti al Nord di Luca Miniero, Matrimoni e altri disastri di Nina di Majo, Eccezzziunaleveramente... capitolo secondo (me)di Carlo Vanzina)

Per la televisione ha lavorato in molte serie (Un Posto AL Sole, La Squadra,Un ciclone in famigliadi Carlo Vanzina, Distretto di Polizia IVper la regia di Lucio Gaudino, R.I.S IIper la regia di Alexis Sweet,) e TV movies (Il Professore di Maurizio Zaccaro,Il coraggio di Angela di  Luciano Manuzzi, La Ragazza Americana di Vittorio Sindoni ecc…)

Film in uscita: Il Principe Abusivo di e con Alessandro Siani

Film in preparazione I Milionari regia di Alessandro Piva, Una famiglia quasi perfetta (titolo provvisorio) regia di Luca Miniero

 

 

Il workshop è  promosso da "FuoriTraccia", giovane associazione romana che si occupa del settore cinema a 360°, eventi, formazione e  informazione.

Verrà rilasciata una tessera socio dell'associazione

Al corso sono ammessi anche gli uditori. 
La quota di partecipazione è di 160 euro per gli allievi partecipanti (è previsto uno sconto del 10% per gli attori rappresentati da a genzia) e 80 euro per gli uditori.

L'intera quota dovrà essere versata al momento dell'iscrizione

 

Per informazioni scrivere a: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
specificando nell'oggetto dell'e-mail “workshop casting Marita D'Elia”
o chiamare +39 342 3577589

Per la cerimonia dell'assegnazione delle nomination ai Nastri d'Argento 2018, Marcello Fonte ed Edoardo Pesce salgono sul palco nominati ex aequo come miglior attore protagonista per Dogman di Matteo Garrone.

Reality

Mercoledì 03 Ottobre 2012 19:54

 

A quattro anni da Gomorra, che durante il primo week end in sala risultò essere il film più visto in Italia di quell’anno, torna Matteo Garrone con Reality: un’opera “nuova”, libera da ordinarie intenzioni pedagogiche e distante da prese di posizione e best seller di denuncia.

La pellicola di Garrone infatti si ispira alla più classica commedia all’italiana, nella drammaturgia degli attori teatrali e negli ambienti di Napoli ritorna alle atmosfere di De filippo.

Sono passati dieci anni da “l’Imbalsamatore”, opera che lo consegna al grande pubblico dopo anni di duro lavoro, svelandone il grande talento nella tecnica e nei contenuti. Di quel Garrone oggi rimane senza dubbio lo stesso tarlo, una macchina da presa invadente che di tanto in tanto si muove a pochi centimetri dai volti degli attori e li spia nei loro gesti più piccoli per permettere allo spettatore di essere in soggettiva, con inquadrature più pulite rispetto a quelle di prima ma uguali nelle intenzioni.

Luciano, il protagonista (un memorabile Aniello Arena, carcerato “fine pena mai”, che con la sua interpretazione elude quella fama che lo precede e semplicemente arriva al pubblico per le sue straordinarie doti di attore) è un pescivendolo napoletano abituato ad arrotondare con piccole truffe. Insegue da tempo il sogno di diventare famoso, si esibisce alle feste di famiglia e per i suoi cari rimane il più talentuoso e divertente. Saranno gli stessi parenti affettuosi e “abbondanti” a spingerlo fino ai provini del “Grande Fratello”. Dopo aver sostenuto un lungo colloquio con “quelli della televisione”, si convince che sì, lo prenderanno, che un giorno anche lui sarà convocato e andrà a Roma, nella lussuosa casa di Cinecittà. E la convinzione diventa la sua malattia per tutto il film che, come spiega lo stesso Garrone, non ridicolizza i personaggi ma li racconta in modo onesto, con l’ironia e l’amarezza di una realtà implacabile.

Insieme alla storia (tra l’altro ispirata da un fatto realmente accaduto) Garrone ci fa vivere Napoli, scegliendo attori di teatro dai tratti caratterizzanti, facce e movenze che da sole basterebbero a parlare di questa città, che più di ogni altra gli offre un ritmo recitativo incalzante e musicale.

Una commedia dolorosa che suggerisce una riflessione sul ruolo che i media hanno preso nella vita di tutti. Scontato il riaffiorare delle parole di Pasolini “Nel momento stesso in cui qualcuno ci ascolta dal video ha verso di noi un rapporto da inferiorea superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico...niente è più feroce della banalissima televisione”. Accostamento dovuto, ma per nulla forzato.

Ne emerge, comunque, il ritratto avvilente di un’Italia in cui la tv ha sostituito fede e speranza, dove il tempo delle giornate di molti viene scandito da appuntamenti con grandi spettacoli mediatici, dal grande fratello al messaggio Urbi et Orbi del Papa, mantenendo sempre nell’amarezza di una realtà inviolabile, i toni morbidi della fiaba.

Renilde Mattioni

 

 

David 2016: Tutti i Vincitori

Martedì 19 Aprile 2016 10:34
Si è svolta ieri, presso gli studi De Paolis in via Tiburtina a Roma, la cerimonia di premiazione della 60esima edizione dei David di Donatello, il premio indetto dall'Accademia del Cinema Italiano. 
A condurre la serata, andata in onda sui canali Sky e in chiaro su TV8, Alessandro Cattelan con interventi anche di Francesco Castelnuovo e Gianni Canova. A presentare i premi stelle del calibro di Paola Cortellesi, Dante Ferretti, Stefano Accorsi, Christian De Sica, Nicola Piovani, Anna Foglietta, Valeria Golino, Francesco Pannofino, Vittorio Storaro, Michele Placido, Toni Servillo.
A vincere il premio come miglior film Perfetti Sconosciuti, premiato anche per la miglior sceneggiatura. Miglior regista a Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti, che ha ottenuto anche altri sei riconoscimenti tecnici. La vera star della serata è stata però Lo Chiamavano Jeeg Robot, vincitore di sette premi (tra le 16 nomination che aveva ricevuto) tra cui miglior attore, migliore attrice, miglior attore non protagonista, miglior produttore e miglior regista esordiente entrambi a Gabriele Mainetti e di un premio collaterale, il Mercedes-Benz Future Awards. Grande delusione invece per Non Essere Cattivo, l'opera postuma di Claudio Caligari che si aggiudica, inspiegabilmente, solo il premio miglior fonico di presa diretta per il lavoro di Angelo Bonanni. Assegnati fuori dalla serata di gala i premi come miglior film straniero a Il Ponte delle Spie e miglior film europeo a Son of Saul. 
 
 
Di seguito l'elenco completo dei premiati 
 
Miglior Film: Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese
Miglior Sceneggiatura: Rolando Ravello, Paola Mammini, Filippo Bologna, Paolo Genovese, Paolo Costella per Perfetti Sconosciuti
Miglior Attore Protagonista: Claudio Santamaria per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attore Non Protagonista: Luca Marinelli per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attrice Protagonista: Ilenia Pastorelli per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attrice Non protagonista: Antonia Truppo per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Regista Esordiente: Gabriele Mainetti per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Produttore: Gabriele Mainetti per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Cortometraggio: Alessandro Capitani per Bellissima
Miglior Montatore: Federico Conforti e Andrea Maguolo per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Autore della Fotografia: Peter Suschitzky per Il Racconto dei Racconti 
Migliori Effetti Digitali : Makinarium per Il Racconto dei Racconti 
Miglior Fonico di Presa Diretta: Angelo Bonanni per Non Essere Cattivo 
Miglior Regista: Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti 
Miglior documentario di lungometraggio: S Is For Stanley di Alex Infascelli
Miglior Film dell'Unione Europea: Il Figlio di Saul di Laszlo Nemes
Miglior Film Straniero: Il Ponte delle Spie di Steven Spielberg
Miglior Costumista: Massimo Cantini Parrini per Il Racconto dei Racconti
Miglior Truccatore: Gino Tamagnini, Leonardo Cruciano, Valter Casotto, Luigi D'Andrea per Il Racconto dei Racconti
Miglior Musicista: David Lang per Youth
Miglior Canzone Originale: Simple Song #3 di Sumi Jo e David Lang per Youth
Miglior Acconciatore: Francesco Pegoretti per Il Racconto dei Racconti
Miglior Scenografo: Alessia Anfuso e Dimitri Capuani per Il Racconto dei Racconti
Premio David Giovani: La Corrispondenza di Giuseppe Tornatore
Mercedes Benz Future Award: Lo Chiamavano Jeeg Robot
 
Chiara Nucera

Tale of tales - Il racconto dei racconti

Lunedì 25 Maggio 2015 23:37
Uno dei registi italiani più apprezzati degli ultimi vent'anni opta per un film dal respiro più internazionale (e quindi americano)  “che nasce prima di tutto con l'ambizione di essere un film per il pubblico poi per i festival” confessa lo stesso Garrone riferendosi alla candidatura a Cannes. 
Adatta tre delle fiabe de Lo Cunto dei Cunti, raccolta scritta da Giambattista Basile in lingua napoletana tra il 1634 e il 1636, diventata in seguito ispirazione per scrittori come Andersen, Perrault e i fratelli Grimm. 
Per farlo ricorre a un cast internazionale e a un budget di quasi 12 milioni di euro, ma l'ambizione annichilisce in parte quella ricercatezza estetica che ha caratterizzato lo stile del regista. 
 
A Garrone, si sa, è sempre piaciuto improvvisare sul set; la sceneggiatura era un canovaccio steso renoiriamente, che finiva per modellarsi nel corso delle riprese attorno alle caratteristiche fisiche e umorali degli  attori. Lui stesso, personalmente dietro la macchina da presa in tutti i suoi film, da Terra di mezzo a Reality, stava addosso ai suoi personaggi/persone per carpirne le inconsapevoli variazioni emotive, attento a non congelare forzatamente il fluire della vita esterna. Inoltre, ha sempre cercato di girare i suoi film in sequenza, lungo il filo cronologico del racconto, proprio per costatarne sulla pelle degli attori gli sviluppi drammaturgici. Insomma, un modo di fare e pensare il cinema che ha caratterizzato il genio di Garrone che gli è valso il premio speciale della giuria di  Cannes nel 2008 per Gomorra. Il budget mastodontico di Tale of the tales però ha finito paradossalmente per castrarlo; la sceneggiatura blindata e il frequente uso di green screen per gli effetti digitali gli hanno impedito di controllare le sue immagini come, da buon pittore, è sempre stato abituato a fare. 
Ma Garrone non è un regista qualunque pronto a genuflettersi di fronte al Dio Mercato. Imprigionato in una messa in scena suggestiva, ma senz'altro più standardizzata, Garrone prova ad imporre la propria autenticità e a far sentire ancora l'eco lontano della sua voce. Lo fa scegliendo di adattare il più antico e ricco fra tutti i libri di fiabe popolari, caratterizzato da quella forte componente partenopea molto familiare al regista. Il valore simbolico dei racconti selezionati incontra due dei piani tematici più cari a Garrone, le leggi del desiderio de L'imbalsamtore e la mutazione di anime e corpi; la vecchia che si fa scarnificare per tornare giovane e bella ricorda molto la figura scheletrica di Sonia in Primo Amore. Ma se nei suoi film precedenti era sempre partito dalla realtà contemporanea poi trasfigurata nell'azione fantastica, qui fa l'esatto contrario, partendo dai racconti magici che porta in una dimensione più concreta. La libertà espressiva repressa la ritrova nella ricerca di luoghi reali, che però sembrano ricostruiti in studio, mentre quelli ricostruiti in studio tendono all'iper-realismo, grazie anche alla mano dello scenografo Dimitri Capuano. 
 
Garrone rinuncia ai suoi cavalli di battaglia, non trova più il film facendolo, ma confeziona un buon prodotto adatto a un pubblico di diverse generazioni.
 
Angelo Santini

DOGMAN

Sabato 19 Maggio 2018 09:58
Dogman è il nuovo lavoro di Matteo Garrone, in concorso al Festival di Cannes 2018. Il regista romano decide di ambientare il suo nuovo racconto, che forse più del suo “Il Racconto dei Racconti” diventerà il suo racconto con la “R” maiuscola, in un luogo dimenticato da Dio. In una periferia distopica, che vede la città solo in lontananza, la vita del toelettatore di cani Marcello (Marcello Fonte) è condivisa con una famiglia acquisita di amici e colleghi, con negozi e bar. Lui (forse) non appartiene a questa cultura western, in quanto Marcello si presenta calmo e a modo con tutta la comunità. Ma sotto sotto è anche lui un delinquente, di basso profilo, ma pur sempre con le mani in pasta. Spaccia cocaina e ha stretti rapporti con Simoncino (Edoardo Pesce), il boss del quartiere. Quest’ultimo è un ex-pugile, che tiene sotto scacco l’intera borgata. Con la sua moto sfreccia nella strada principale invadendo questo piccolo mondo con il suo rumore assordante, che risuona come sirena di allerta che urla: “Eccomi, io sono qua! E tutti dovete tremare!”.
Marcello è praticamente obbligato a sottostare a Simoncino. Non si può permettere di sgarrare. La figlia Sofia (Alida Baldari Calabria) rimarrebbe senza padre se Marcello dovesse tradire l’ex-pugile. Ma quando il danno si fa irreparabile, visto il profondo tradimento che il dogman procura all’intero quartiere, lui stesso decide di uscire allo scoperto. Costretto a farsi comunque un anno di galera per colpa di Simoncino, alla sua uscita la sete di vendetta è forte e studia un piano per riprendersi la propria dignità. Punta anche a recuperare la stima dei compaesani; valore che forse non potrà mai più riacquistare, qualsiasi cosa lui metta in atto. 
 
La pellicola ha tratto ispirazione da un fatto realmente accaduto nel 1988: Il delitto del canaro della Magliana. 
A 30 anni esatti dal cruente misfatto, Matteo Garrone ha deciso di girare il suo nuovo film basandosi su questo evento, prendendo comunque le distanze dai veri fatti di cronaca. 
Siamo dalle parti dell’Imbalsamatore, anch’esso scritto dallo stesso regista con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso. Ambiente/campo prediletto da Garrone, che anche qui come allora, riesce a mostrarci un’esistenza senza luce, dove tutto è decadente e oscuro. 
 
Perché non mettere in scena un alba? O una rinascita? Solo privazioni e soprusi nel cinema del regista romano. Forse perché si sente addosso il peso dei nostri tempi. Contemporaneità degradata e senza un prosperoso futuro. Dal canto suo dobbiamo dagli atto che in questa sua messa in scena è un maestro. Anche trattando un argomento così malvagio e ruvido non è mai eccessivo e retorico. Risulta sommamente potente. La sua telecamera si fa largo prepotentemente attraverso le condizioni di vita di un determinato habitat, riuscendo ad estrapolarne lo stato esistenziale, sia in superficie che segreto. Portando così ai nostri occhi la vera essenza di quella condizione, senza filtri.
 
Qui, nel particolare, lo sguardo del regista sì concentra su Marcello, che diviene l’anima del film. Scruta intimamente il suo mutamento psicologico. Primi piani che mettono in evidenza la riflessione del canaro. Riesce a farci sentire il disagio della sua vita anonima e spezzata dai più forti. Guardando così da vicino si può anche notare la sua dolcezza, che sembra non poter sfociare poi in una rabbia irrefrenabile. E allora ci rendiamo conto che gentilezza e brutalità possono coesistere e di quanto ci sia ignoto l’animo umano. 
Garrone studia due pulsioni diametralmente opposte, ma così vicine. E’ un po’ alla base del suo cinema il doppio opposto. In Gomorra, quanto è sottile linea che separa delinquenza da legalità? Nell’Imbalsamatore,      
gli animali imbalsamati con tanta cura servono anche per nascondere la droga. In Primo amore, il corpo che declina verso l’anoressia è allo stesso tempo ributtante ed amabile.
 
Dogman si porta a casa dal Festival di Cannes uno dei premi più prestigiosi: la Palma d’oro alla Migliore interpretazione maschile a Marcello Fonte. Non si può non provare empatia per il suo ruolo, reso così

Pinocchio

Giovedì 19 Dicembre 2019 11:54
Era il 1881, l'autore fiorentino Carlo Collodi riscriveva la concezione di romanzo di formazione per ragazzi, pubblicando su “Il giornale per i bambini” “Le avventure di Pinocchio”. Studiato nelle scuole italiane e reso celebre in tutto il mondo grazie (anche) al classico di animazione Disney del 1940 (dall’omonimo titolo Pinocchio), il burattino divenne un esempio da (non sempre) seguire per generazioni. Non sorprende che il regista romano Matteo Garrone, abbia sentito la sua storia alla tenera età di sei anni e abbia “sfruttato” la sua fama mondiale per farne un film. Geppetto (Roberto Benigni) mastro falegname in disgrazia, vive i suoi giorni di solitudine in assoluta “povertà” (la parola più ripetuta nel romanzo) un giorno vede passare il teatro dei burattini e spiando 
attraverso le grate di un carroccio si innamora dei fantocci di legno al suo interno. Si rivolge a mastro Ciliegia (Paolo Graziosi) suo vecchio collega e amico per avere un pezzo di legno da cui fabbricarsi con le proprie mani, “proprio da me un burattino di legno” desiderando che “sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali” immaginando la fortuna che avrebbe potuto avere girando per il mondo con la sua creatura. Mastro Ciliegia, gli regala a sua insaputa un ceppo magico. Pinocchio (Federico Ielapi) prende vita e Geppetto, si ritrova improvvisamente padre. Nell’Italia che fu, una serie di situazioni difficili, inganni e prove da superare porteranno il protagonista a diventare uomo o meglio “un bambino vero”. Nella fiaba compaiono personaggi antropomorfi, pupazzi parlanti e creature fantastiche, Garrone, dopo essersi affidato allo studio italiano Makinarium per gli effetti speciali del suo “Racconto dei Racconti” (2015) qui si avvale di un team internazionale, Jessica Brooks al trucco (nel dipartimento make up di grossi blockbusters, quali Star Wars L’Ascesa di Skywalker (2019), Guardiani della Galassia (2014), Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald (2018) Dumbo (2019) e serie TV di successo, quali Il Trono di Spade (2017-2019)) il designer esperto di trucco prostetico Mark Coulier (tra gli altri meriti) due volte Premio Oscar (2015,2012) per The Grand Budapest Hotel (2014) e The Iron Lady (2011) non sorprende che Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini nei panni dei viscidi truffatori Il Gatto e la Volpe risultino perfettamente credibili, lo stesso vale per  il Grillo Parlante (Davide Marotta), la Lumaca (Maria Pia Timo), Il giudice  Gorilla (Teco Celio) , il Signor Tonno, Il Pesce cane, Lucignolo, la Fata Turchina (Marine Vatch) e le decine di personaggi noti, di cui forse il più “amabile” è Mangiafuoco, un “terribile” Gigi Proietti. Tra le location dove il tempo sembra essersi fermato scelte da Dimitri Capuani, troviamo le colline della Val di Chiana Senese e una frazione di Sinalunga, La Fratta, dove parte del set è stato ricostruito da zero. Garrone affidatosi alle illustrazioni storiche di Enrico Mazzanti e alle parole di Collodi (la sceneggiatura è una limatura del testo originale) ha trasposto fedelmente la storia senza osare passi falsi, conservandone anche le brutture la pesantezza, la polvere, dove per l’acclamato Dogman (2018) aveva scritto una storia inquietante e satura di realismo, qui torna all’infanzia, una fiaba anacronistica, ma dalla “morale” pur sempre “reale”.
 
Francesca Tulli

Io Capitano

Giovedì 07 Settembre 2023 16:04
Matteo Garrone nel suo “Io Capitano” affronta il tema caldo e, purtroppo sempre attuale, dell’emigrazione dal territorio Africano verso la ricca e sicura Europa.
 
Nello specifico siamo in Senegal dove vivono Seydou e Moussa, due cugini coetanei e molto legati fra loro che per inseguire i sogni di gloria e successo tipici di tutti gli adolescenti del mondo, si impegnano in qualsiasi lavoro capiti loro pur di mettere da parte un cospicuo gruzzolo di denaro che consenta di comprare il biglietto per il viaggio tanto agognato.
 
A costo di preservare questa possibilità, osteggiata dalle famiglie e scoraggiata da chi in passato ha già intrapreso questo viaggio foriero di pericoli, i due ragazzi custodiscono nel loro animo questo segreto.
 
In questo film non c’è nulla di retorico e Garrone è estremamente abile nell’impostazione generale del racconto che tiene lo spettatore concentrato sulle molteplici azioni, peripezie, sfortune in cui si imbattono i due giovani protagonisti nella loro personale Odissea alla ricerca di una Eldorado.
 
Quando il viaggio ha inizio tutto cambia e la narrazione, incentrata sulla solida amicizia fraterna e impregnata di sogni di riscatto, cede il passo a toni che si fanno via via più cupi, i colori sbiadiscono, i dialoghi diventano sempre più stringati fino a lasciare risuonare nel deserto che si trovano ad attraversare un unico grido di aiuto che riecheggerà a lungo nella coscienza di chi ha avuto la fortuna di salvarsi.
 
“Aidez-moi”, scandito come un mantra, riesce a raggiungere solo l’animo sensibile di chi ancora conserva nel cuore quell’innocenza che è indispensabile per non smarrire la rotta.
 
Il regista non prende mai posizione ma lascia parlare le meravigliose immagini affidate alla sapiente fotografia di Paolo Carnera.
 
Siamo raggiunti da un fortissimo “j’accuse” che scaturisce esclusivamente da quello che viene mostrato nella sua asciutta crudezza.
 
Le torture, i soprusi, i pericoli, le vessazioni, le ruberie, le umiliazioni e l’assenza totale di pietas ci puntano il dito contro e ci ricordano che il mondo intero non riesce da troppo tempo a individuare il bandolo che possa sbrogliare la matassa nella quale si perdono vite preziose di uomini, donne e perfino bambini innocenti.
 
Nel film le immagini hanno una potenza deflagrante e sono il terzo vero protagonista. Sono avvolgenti e non ci consentono di distogliere lo sguardo, nemmeno per un attimo.
 
La scena finale è la chiusa perfetta per un’opera che ha il potere di svegliare le coscienze al pari di una doccia fredda. Garrone ci consegna un ritratto potente di cosa significhi essere spinti dalla disperazione e dalla costante paura di non riuscire a raggiungere la salvezza che si staglia, come un miraggio, placida davanti agli occhi.
 
“Io Capitano” non è un film strappalacrime ma anzi cerca di attenersi il più possibile ai fatti facendo parlare le azioni cercando di lasciarlo scevro da patetismi, retorica, politica e polemica. Solo alla fine anche lo spettatore abbandona attenzione e concentrazione e si lascia investire da un tumulto di emozioni che gli fanno versare, copiose, tutte le lacrime trattenute in precedenza.
 
I titoli di coda che congedano il pubblico sono un altro gioiello e ci riportano alle tappe salienti del viaggio e come tele preziose lo rendono ancora più magico.
 
Il cast di attori brilla per naturalezza e spontaneità. I protagonisti regalano personaggi di forza e coraggio ma con i loro sorrisi guasconi e simpatici trascinano tutti dalla loro parte senza se e senza ma.
 
La vera forza del film è proprio quella di raccontare un dramma, riuscendo a non scalfire la magia di un’esperienza anche formativa. Seydou e Moussa abbandonano per sempre la fanciullezza spensierata per gettarsi a capofitto nel mare in tempesta dell’età adulta, rimanendo puri e, soprattutto, senza farsi duri e mai carnefici con il prossimo.
 
Virna Castiglioni