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Madres Paralelas

Venerdì 29 Ottobre 2021 14:30
Torna sugli schermi il pluripremiato regista spagnolo Pedro Almodóvar, con un film che vede protagonista la sua attrice feticcio Penelope Cruz, in un ruolo che le è valso la Coppa Volpi all’ultimo Festival del cinema di Venezia.
Almodóvar, parlando del ruolo della protagonista Jenis dice che esso ci mostra un riflesso del passato nel presente. E questo passato è la guerra civile spagnola, di cui sotto la terra giacciono ancora i resti, sotto forma di migliaia di persone scomparse.
In effetti il personaggio di Penelope Cruz è una madre che iconizza il proprio spirito edipico in una figura che esprime tutte le nostalgie di un passato che è, insieme, individuale e collettivo. La Storia della Spagna franchista e dei suoi resti umani sconosciuti, privati della propria identità, accende la narrazione, la conclude. Fa sì che il passato assurga a espediente narrativo per dare corpo ai sentimenti ancestrali della genitorialità e, nello specifico, della maternità, intesa qui come spinta vitale, come accudimento estremo e contenitore di un amore manchevole.
C’è la madre adolescente Ana (Milena Smit), ancora incastrata in una gioventù che le impedisce il raziocinio di chi centellina i sentimenti, li incanala, per renderli strumento pratico della vita moderna.
C’è la madre sola, adulta, matura Janis, che padroneggia le sue emozioni da amante di un marito adultero e le rende parte di quell’amore donato alla figlia inattesa.
C’è la madre assente Teresa (Aitana Sanchez Gijon), egoriferita. Le cui cure nei confronti della figlia appaiono anodine, sterili; seppure condite dalle buone intenzioni di chi non si considera fallace.
C’è la madrepatria. La patria fatta degli uomini che hanno combattuto e sono periti in suo nome perdendo quella identità che i loro nipoti non hanno mai smesso di cercare. Tutte le madri che Almodovar disegna in questo film sono madri fragili e forti al contempo. Libere ma condizionate dal proprio passato e mondanamente radicate nella realtà delle proprie diversificate quotidianità. 
Almodóvar racconta il punto di vista di maternità differenti ma parallele in diverse fasi e con diverse emozioni. Diversificate tra loro quanto le loro caratteristiche anagrafiche e caratteriali. E lo fa con estremo rispetto, senza giudizio. Esaspera le emozioni che costruiscono ciò che vuole raccontare, senza vanificarne il senso.
I primissimi piani delle attrici nei momenti più ricchi di pathos e la centralità dei personaggi nelle inquadrature, raccontano ciò che preme di più al regista: la condizione umana e, in questo caso, materna, dove la figura del padre fa capolino ma è lasciata in disparte. Importante ma non incalzante. Necessaria ma non decisiva nella narrazione, senza per questo esserne avulsa. 
Nonostante ci siano evidenti punti di incontro con le storie dei film precedenti dell’opera di Almodóvar, a cui cari sono sempre stati questi temi, i personaggi per esempio di “Tutto su mia madre”, così come di “Volver”, appassionati e iconici, non assumono lo status di paradigma. Erano le biografie dei protagonisti portate sullo schermo ad essere paradigmatiche. Qui ogni protagonista è un simbolico esempio di figura materna, incompleta e imperfetta, come così come incomplete sono le vite di chi non può ricongiungersi col proprio passato.
 
 
Valeria Volpini

La stanza accanto

Venerdì 29 Novembre 2024 16:06
Almodovar per il suo nuovo progetto sceglie due attrici di immensa bravura e le pone al centro di un dramma privato che accomuna l’intero genere umano. Affrontare la morte di chi amiamo e prepararci a vivere la nostra che ad un certo punto arriverà ad interrompere la festa è uno dei compiti più difficili e per i quali abbiamo ancora pochi strumenti.
 
Martha è una malata oncologica terminale e Ingrid è un’amica ritrovata proprio in questa ultima fase di vita dopo che il lavoro e le rispettive carriere di giornalista di guerra e di scrittrice le hanno assorbite completamente finendo per allontanarle. Martha non è sola, ha una figlia ma per sua stessa ammissione, è stata una madre assente e non se la sente di chiedere quello che invece cerca di ottenere dalla sua cerchia ristretta di amicizie femminili. Ha comprato nel dark web una pillola illegale che può procurarle una dolce morte ed è intenzionata ad usarla quando sentirà di essersi stancata troppo e vorrà abbandonare il ballo della vita anzitempo. Ingrid che è stata per tanto tempo lontana sembra essere la scelta migliore dopo che le altre amiche hanno categoricamente rifiutato di diventare complici di quel piano criminale.
 
Senza giudizio ma anche senza appoggiare in toto la scelta dell’amica. Semplicemente assecondando il desiderio legittimo di una persona a cui si vuole bene, Ingrid decide di prendere posto in quella stanza accanto per poter essere presente nel momento del trapasso esaudendo il desiderio dell’amica di potersene andare da sola ma con qualcuno di amico vicino.
Il film ha un impianto rigoroso, risulta asciutto ed essenziale. La regia cerca costantemente di togliere il superfluo lasciando i fatti scarni delegando tutto all’intensità delle due splendide attrici che compongono un affresco di vita normale e straordinario nel medesimo tempo.
Se Martha ha il volto altero e spigoloso di una Tilda Swinton in stato di grazia che interpreta una donna coraggiosa, lucida, determinata, razionale, Julianne Moore incarna invece la dolcezza, la comprensione, la leggerezza e il rispetto dovuto nei confronti di scelte che non si possono capire mai fino in fondo e che, pertanto, non possono essere tacciate di essere sbagliate aprioristicamente ma soprattutto essere demonizzate e osteggiate in forza di principi che non valgono per tutti allo stesso modo. Il tema dell’eutanasia così caldo e spinoso è affrontato in questo film senza trascinarsi dietro quel velo pesante di cupezza e terrore.
 
Si può dare appuntamento alla morte anche indossando il vestito migliore, del colore più sgargiante, mettersi il belletto sul viso e attendere che la neve scenda a cancellare quello che è stato ma anche ad abbellire tutto ciò che ricopre.
 
Come nel quadro di Hopper (People in the sun) che fa bella mostra di sé in quella casa affittata appositamente per mettere in atto quel piano finale si è vivi ma in perenne attesa. La morte ci prende la mano appena nasciamo, rimane ombra discreta e silente ma ad un certo punto si fa presenza insistente, invadente, prepotente e non si può, a lungo, declinare il suo invito a seguirla.
 
Il lungometraggio è tratto dal testo letterario “Attraverso la vita” dell’autrice Sigrid Nunez. Presentato all’ultimo Festival del cinema di Venezia ha, meritatamente, conquistato la statuetta più ambita confermando Almodovar un cineasta sensibile, attento ai temi attuali e di grandi qualità artistiche.
 
Virna Castiglioni