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Come un tuono

Sabato 06 Aprile 2013 14:44

Tennessee Williams non si chiamava davvero Tennessee Williams. Il nome con il quale lo conosciamo tutti era lo pseudonimo di Thomas Lanier Williams.

Così la sua America, filtrata dalla lente del natio Mississipi, profuma di distillati clandestini e fieno, di drammi complessi e compressi all'interno famiglie allargate, di figlioli improdighi, di sesso, consumato in fretta, per sbaglio, per forza. Nulla è mai ciò che dovrebbe essere, per convenzione, imposizione sociale, opportunità. Ognuno rincorre ciò che non sa e fugge dalla stessa cosa, in un gioco impari con una gravitazione cinica e beffarda.

Resiste una traccia indelebile del suo melodramma non sentimentale nelle viscere più profonde dell'America contemporanea, quella dei nipoti privilegiati, segnati tuttavia dalla stessa primigenia condanna, vagabonda e disperata.Cianfrance, un passo prima del suo meraviglioso “Blue Valentine”, con l'acceleratore della moto truccata, premuto sulle corde del patetismo senza lacrime – vale l'unica straziante eccezione di Gosling – narra, in fondo, un'angoscia putrida, sudata, analoga a quella del drammaturgo di Columbus.

Un'unica sorte, oltre i pini, per chi è condannato dalla storia dei padri a correre più veloce del destino, a innalzare Dioniso sopra Apollo: epilogo infausto per gangster romantici e impavidi fuorilegge. Eppure lo sprovveduto, fragile stuntman Luke, Luke il Bello, come Johnny, ma senza vendetta, solo la voglia di garantire al proprio figlio un futuro migliore del suo, non è un nemico pubblico n.1. E' uno sbandato qualunque, in un vicolo qualunque dell'America del ventunesimo secolo, in una casa uguale a mille altre, con la cornetta del telefono, stretta nella mano sbagliata.

Allora, come adesso, conta chi spara per primo o chi ha la fortuna di dichiarare l'ordine più comodo, accettabile, delle cose, ma la tragedia è soltanto una chiazza di sangue dietro la testa, da pulire presto, da dimenticare, ancora prima, in qualche scaffale polveroso di un dipartimento di polizia di provincia. Allora, come adesso, lo spettro di Banquo, del senso di colpa, affiora impietoso per vittime e carnefici (quali, poi?), dentro la cornice perfetta di un ritratto in uniforme o nel ritaglio fotografico di una felicità particellare, custodito come la reliquia di un malum culpae non emendabile.

L'ordine (in)naturale del potere costituito che tutto sovrintende, corrotto e ipocrita, resta il solo possibile perno di una ciclicità bara, sembra dirci, con amarezza, il regista statunitense. I figli viziati, ma forse parimenti soli, sul podio di una vittoria annunciata, quelli orfani, abbandonati anzitempo, di nuovo in sella a una moto, a cercare un destino che non potranno che trovare, di nuovo e sempre, al di là dei pini.

 

Ilaria Mainardi 

 

Solo Dio Perdona

Venerdì 31 Maggio 2013 11:46

Se esista una poietica cinematografica della mente umana, attraverso complessi edipici e squarci di sapienza shakespeariana, il cinema sonda dalla sua nascita, nel sodalizio tra Bunuel e Dalì, nell’onirismo lynchiano, nella schizofrenia deterministica di David Cronenberg.

In questo “Only God Forgives”, lontanissimo dai lidi di “Drive”, più assimilabile al precedente, bellissimo, “Valhalla Rising”, Nicolas Winding Refn dà il suo prezioso contributo all’indagine epistemologica.

La riflessione del regista danese inserisce di tutto, traslando però il limite di sovrabbondanza rococò (ciò che, incredibilmente, gli si imputa) in virtù di sintesi espressiva e concettuale, filosofica e letteraria.

Non altrimenti si spiegherebbe la performance incredibile di Gosling, nuovamente diretto da Refn, dopo l’exploit del 2011: follia pura parlare di fissità espressiva quando ci si trova di fronte a un interprete che, con coraggio e adesione molto poco calcolata, in termini di marketing divistico, accetta un ruolo tanto rarefatto e silenzioso. I mondi di Macbeth e di Edipo, ma anche di Elettra, nel suo acutissimo femminino, attraversano lo sguardo struggente, doloroso, intenso dell’attore canadese che, quando la mdp gli si inchioda in faccia, parla con le pieghe del collo, col sudore, col ritmo del respiro.

Julian non esiste, per questo non parla quasi mai, lo fa la mente (o l’animo, l’anima) che attraverso i suoi occhi noi scorgiamo, lacerata e divisa. Il senso di colpa noi vediamo, demiurgo, trasfigurato in un vendicatore kurosawiano, che punisce per l’uccisione incolpevole, destinata di Laio, e non può che tormentare in eterno colui che, sembra suggerire la madre/consorte, Kristin Scott Thomas: “Ma non mi fido (né comprendo) della tua natura: troppo latte d'umana tenerezza ci scorre, perché tu sappia seguire la via più breve.”

Una strada che è già scritta, come negli eroi sofoclei, da un fato imperscrutabile, che sfugge il controllo degli stessi dei olimpici. Ma anche la fortuna in senso shakesperaniano e nietzschiano, una ruota che, girando, bilancia impulsi dionisiaci e apollinei, eros e thanatos, e che turba il protagonista: egli sa, come Macbeth, che il fatto, una volta fatto, non esaurirà nell’azione le proprie nefaste conseguenze, né sembra suggerircelo l’imago mortis scenografico che lo circonda.

Ma non vi è una prospettiva soteriologica in “Only God Forgives”, se non attraverso l’ironia beffarda del titolo: la macchia del peccato non potrà trovare redenzione ultraterrena. La metafisica del silenzio non assurge perciò a strumento di autoconsolazione dell’individuo nei confronti delle proprie azioni: nella penetrazione della madre, sangue nel sangue, con le mani colpevoli che ella stessa aveva mosso, si realizza piuttosto la nota massima di Wittgenstein, “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. E che la profezia della sfinge, dunque, si compia: gli occhi che hanno guardato siano resi ciechi da spilli acuminati, i pugni lordi, si alzino consapevoli, martoriati, per l’ultima volta, sotto il peso della colpa atavica.

 

Ilaria Mainardi

Venezia 73. Il programma ufficiale

Venerdì 29 Luglio 2016 17:04
 
 
Annunciato finalmente l'attesissimo elenco completo dei film in programma alla 73esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, che si terrà come ogni anno nella splendica cornice del Lido dal 31 agosto al 10 settembre. Come presidente di giuria già da giorni è stato confermato il nome di  Sam Mendes che assieme a Giancarlo De Cataldo, Chiara Mastroianni, Laurie Anderson, l'attrice Gemma Arterton, la collega tedesca Nina Hoss, il regista statunitense Joshua Oppenheimer, Lorenzo Vigas (Leone d'oro per il miglior film alla scorsa Mostra di Venezia nel 2015 con la sua opera prima Desde allà) e l'attrice, regista e cantante cinese Zhao Wei avrà il difficile compito di decretare i vincitori. Madrina d'eccezione sarà invece Sonia Bergamasco e sempre da poco sono stati svelate le identità dei due Leoni d'Oro alla carriera di questa edizione: Jean Paul Belmondo e Jerzy Skolimowski.
Il film d'apertura sarà una piacevole sorpresa, La La Land di Damien Chazelle, opera musicale in concorso con Ryan Gosling ed Emma Stone che prenderanno parte alla kermesse. Per quanto riguarda la chiusura sarà invece affidata a The Magnificent Seven nella rivisitazione di Antoine Fuqua, fuori concorso ma con un cast d'eccezione: Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D'Onofrio, Byung-Hun Lee e Peter Sarsgaard. 
Duplice omaggio a due grandissimi cineasti che da poco ci hanno lasciato: Michael Cimino, con la proiezione de L'anno del dragone (1985) con Michey Rourke e Abbas Kiarostami con un corto inedito della serie 24Frames (alla quale il regista stava ancora lavorando) e con la proiezione di un film di montaggio del fedele e storico collaboratore del regista Seifollah Samadian, THI IS MY FILM: 76 Minutes and 15 Seconds with Kiarostami.
Per la sezione restauri di Venezia Classici segnaliamo la proiezione di Dawn of the Dead – European Cut [Zombi] di George A. Romero, nella versione curata all'epoca da Dario Argento per il mercato europeo, l'opera verrà presentata dallo stesso Argento e da Nicolas Winding Refn, grande fan e seguace di entrambi i maestri dell'horror.
Tra le sorprese, sicuramente, Jackie di Pablo Larrain con Natalie Portman e The Lights Between Oceans di Derek Cianfrance con Michael Fassbender e Alicia Vikander che sembra colorerranno con la loro presenza la manifestazione.
Confermate anche le presenze di Tom Ford, Denis Villeneuve, Emir Kusturica, Wim Wenders e Stephane Brizè. In arrivo in concorso anche i nuovi film The Bad Back di Ana Lily Anipour, con i “cannibalici” Keanu Reeves, Jason Momoa e Jim Carrey e Lav Diaz (già vincitore di Orizzonti con Melancholia). Da non dimenticare la presenza del pisano Roan Johnson con la commedia Piuma.
Fuori concorso ma da segnalare anche le prime due puntate di The Young Pope di Paolo Sorrentino, gia annunciato alla scorsa Festa del Cinema di Roma, il ritorno di Mel Gibson da regista con lo storico Hacksaw Ridge,  Assalto al Cielo di Francesco Munzi (Anime Nere) e One More Time With Feeling, il documentario su Nick Cave di Andrew Dominik. Molto originali le selezioni della Settimana Internazionale della Critica aperta dal cortometraggio Pagliacci di Marco Bellocchio e il ricco programma delle Giornate degli Autori, con Indivisibili di Edoardo De Angelis.
 
 
La La Land
 
 
Nel dettaglio il programma dei film in concorso:
 
ANA LILY AMIRPOUR - THE BAD BATCH 
Usa, 115’
Suki Waterhouse, Jason Momoa, Keanu Reeves, Jim Carrey, Giovanni Ribisi 
 
STÉPHANE BRIZÉ - UNE VIE
 Francia, Belgio, 119’
Judith Chemla, Jean-Pierre Darroussin, Swann Arlaud, Yolande Moreau 
 
DAMIEN CHAZELLE - LA LA LAND 
Usa, 127’
Ryan Gosling, Emma Stone, John Legend, J.K. Simmons, Finn Wittrock 
 
DEREK CIANFRANCE - THE LIGHT BETWEEN OCEANS
 Usa, Australia, Nuova Zelanda, 133’
Michael Fassbender, Alicia Vikander, Rachel Weisz,  Emily Barclay 
 
MARIANO COHN, GASTÓN DUPRAT - EL CIUDADANO ILUSTRE
 Argentina, Spagna, 118’
Oscar Martínez, Dady Brieva, Andrea Frigerio, Nora Navas, Gustavo Garzón 
 
MASSIMO D’ANOLFI, MARTINA PARENTI - SPIRA MIRABILIS 
Italia, Svizzera, 121’
(documentario) 
 
LAV DIAZ - ANG BABAENG HUMAYO (THE WOMAN WHO LEFT) 
Filippine, 226’
Charo Santos-Concio, John Lloyd Cruz 
 
AMAT ESCALANTE - LA REGIÓN SALVAJE 
Messico, 100’
Ruth Ramos, Simone Bucio, Jesús Meza, Edén Villavicencio 
 
TOM FORD - NOCTURNAL ANIMALS
 Usa, 115’
Jake Gyllenhaal, Amy Adams, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Laura Linney 
 
ROAN JOHNSON - PIUMA 
Italia, 98’
Luigi Fedele, Blu Yoshimi Di Martino, Sergio Pierattini, Michela Cescon, Francesco Colella 
 
ANDREI KONCHALOVSKY - RAI (PARADISE)
 Russia, Germania, 130’
Julia Vysotskaya, Christian Clauss, Philippe Duquesne, Victor Sukhorukov, Peter Kurt 
 
MARTIN KOOLHOVEN - BRIMSTONE 
Paesi Bassi, Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Svezia, 148’
Dakota Fanning, Guy Pearce, Emilia Jones, Kit Harington, Carice Van Houten 
 
PABLO LARRAÍN - JACKIE
 Usa, Cile, 95’
Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, John Hurt
 
EMIR KUSTURICA - NA MLIJECNOM PUTU (ON THE MILKY ROAD) 
Serbia, Gran Bretagna, Usa, 125’
Monica Bellucci, Emir Kusturica, Sloboda Micalovic, Predrag Manojlovic 
 
TERRENCE MALICK - VOYAGE OF TIME 
Usa, Germania, 90’
(documentario)
Cate Blanchett 
 
CHRISTOPHER MURRAY - EL CRISTO CIEGO
 Cile, Francia, 85’
Michael Silva, Bastian Inostroza, Ana Maria Henriquez, Mauricio Pinto 
 
FRANÇOIS OZON - FRANTZ 
Francia, Germania, 113’
Pierre Niney, Paula Beer, Marie Gruber, Ernst Stötzner, Cyrielle Claire 
 
GIUSEPPE PICCIONI - QUESTI GIORNI
 Italia, 120’
Margherita Buy, Marta Gastini, Laura Adriani, Maria Roveran, Caterina Le Caselle, Filippo Timi 
 
DENIS VILLENEUVE - ARRIVAL 
Usa, 116’
Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg 
 
WIM WENDERS - LES BEAUX JOURS D’ARANJUEZ (3D)
 Francia, Germania, 97’
Reda Kateb, Sophie Semin, Jens Harzer, Nick Cave 
 
 
ONE MORE TIME WITH FEELING di Andrew Dominik
 
Fuori concorso troviamo:
 
BRUNO CHIARAVALLOTI, CLAUDIO JAMPAGLIA, BENEDETTA ARGENTIERI - OUR WAR
 Italia, Usa, 68'
(documentario) 
 
KASPER COLLIN - I CALLED HIM MORGAN
 Svezia, Usa, 91'
(documentario) 
 
PHILIPPE FALARDEAU - THE BLEEDER
 Usa, Canada, 93'
Liev Schreiber, Naomi Watts, Elisabeth Moss, Ron Perlman, Jim Gaffigan, Pooch Hall
 
ANTOINE FUQUA - THE MAGNIFICENT SEVEN
 Usa, 130’
Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio, Byung-Hun Lee, Peter Sarsgaard
 
MEL GIBSON - HACKSAW RIDGE 
Usa, Australia, 131'
Andrew Garfield, Vince Vaughn, Teresa Palmer, Sam Worthington, Luke  Bracey
 
NICK HAMM - THE JOURNEY 
Gran Bretagna, 94'
Timothy Spall, Colm Meaney, Freddie Highmore, John Hurt, Toby Stephens
 
BENOÎT JACQUOT - À JAMAIS 
Francia, Portogallo, 86'
Mathieu Amalric, Julia Roy, Jeanne Balibar
 
KIM JEE WOON - MILJEONG (THE AGE OF SHADOWS)
 Corea del Sud, 139'
Song Kang ho, Gong Yoo, Han Ji min
 
YASUSHI KAWAMURA - GANTZ:O
 Giappone, 95'
(film d'animazione) 
 
SERGEI LOZNITSA - AUSTERLITZ 
Germania, 94'
(documentario)
 
FRANCESCO MUNZI - ASSALTO AL CIELO
 Italia, 78'
(documentario) 
 
AMIR NADERI - MONTE
 Italia, Usa, Francia, 110'
Andrea Sartoretti, Claudia Potenza, Anna Bonaiuto, Zaccaria Zanghellini
 
KIM ROSSI STUART - TOMMASO 
Italia, 97'
Kim Rossi Stuart, Camilla Diana, Jasmine Trinca, Cristiana Capotondi
 
ULRICH SEIDL - SAFARI
 Austria, Danimarca, 90'
(documentario) 
 
CHARLIE SISKEL - AMERICAN ANARCHIST 
Usa, 80'
(documentario) 
 
PAOLO SORRENTINO - THE YOUNG POPE (EPISODI I E II) 
Italia, Francia, Spagna, Usa, 112’
Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando, Scott Shepherd, Cécile de France, Javier Cámara, Ludivine Sagnier, Tony Bertorelli, James Cromwell
 
REBECCA ZLOTOWSKI - PLANETARIUM
 Francia, Belgio, 108’
Natalie Portman, Lily-Rose Depp, Emmanuel Salinger 
 
 
Tutte le informazioni nel dettaglio consultando http://www.labiennale.org/it/cinema/73-mostra/film/index.html
 
Chiara Nucera 

La La Land

Domenica 11 Settembre 2016 08:45
Lo scorso anno “Everest”, film d’apertura dell’edizione 72 della Mostra del Cinema di Venezia, aveva portato il gelo sul Lido, raffreddando da subito gli animi. Quest’anno invece, un sole caldo caldo scalda i nostri cuori e li tocca con la musica dell’amore. Grazie a La La Land (pellicola scelta per aprire Venezia 73), musical romantico dal sapore vintage diretto da Damien Chazelle, regista del pluripremiato Whiplash (2014). Sembrerebbe proprio un film necessario in questi periodi storici, inzuppati del male più bieco. Un film che ci riconcilia con la vita e ci fa riscoprire i buoni sentimenti. La nascita dell’amore e il suo piacevole andamento musicale trasporta i due protagonisti, Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling), verso la realizzazione dei propri sogni. La semplicità e la forza del sentimento più potente che ci sia dovrebbero farci capire che le dannazioni dell’animo contemporaneo sono solo una nostra creazione. Sarebbe tutto così lineare se solo non ci lasciassimo influenzare dalle mode, che sentono solo la voce dell’apparire e del dover soffrire in continuazione nel raggiungimento e nel compimento dell’amore. Bentornati sognatori, questo è il film per voi. 
 
“La” è la particella musicale per indicare L.A. (Los Angeles), luogo dove è ambientato il film. Qui, la giovane aspirante sceneggiatrice/attrice Mia incontra il musicista jazz Sebastian. Non subito scatta la scintilla, ma quando i sogni contaminano la vita dell’altro è impossibile non farne parte. Passione e aspirazione muovono il mondo e anche i giovani innamorati verso le proprie destinazioni finali. Non sarà una strada semplice da percorrere perché la città degli angeli è di nascita castrante e le frustrazioni non mancheranno, ma in questo inno ai sognatori ad un certo punto le strade, gli Studios e le feste assumeranno una parvenza irreale da far sembrare Los Angeles un paradiso. 
 
Damien Chazelle non abbandona la passione per il Jazz e ci coccola con una colonna sonora, che sostanzialmente sorregge l’intera pellicola. Onirico di nascita, La La Land non è solo un ottimo esercizio di stile, è anche un film emozionale, che ci avvolge nella sua magia con riprese continue dove i tagli sono pressoché assenti. Il regista dimostra competenza con la macchina da presa portandoci con garbo nelle atmosfere della Hollywood che fu. Il prologo è un omaggio ai musical americani, un lungo piano sequenza che strappa applausi. La cinepresa danza a ritmo di musica.
Nello sviluppo della drammaturgia, curata anch’essa da Chazelle, vengono intrecciaci modelli di influenza tra il passato e il presente. Variabili che consentono alla narrazione di modernizzare il genere, portando un certo tipo di musical demodé accessibile alle nuove generazioni. Condivisione di una memoria che viene attualizzata. Nella parte centrale della pellicola vi è un leggero affossamento di ritmo ed alcuni snodi nella sceneggiatura sembrano essere troppo legati ai classici cliché. Ma la forza di La La Land sta proprio nell’uscire dalla buca della convenzionalità e sorprenderci con un finale che ribalta i concetti base del musical americano più radicale. Reale e sincronico senza perdere di vista l’aspetto poetico. Malinconia ed una non trascurabile dose di amarezza contaminano uno dei generi intoccabili di Hollywood, perché prima o poi la canzone finisce e l’apoteosi del ritornello deve arrendersi alle note più tristi. Mai drammatiche, con un assenso verso la positività di vivere che ringrazia dell’amore ricevuto.
 
Attentamente curato dal punto di vista estetico il film non si dimentica di omaggiare icone del passato: i migliori jazzisti, la musica anni 80, il tip tap, attori e locandine di meravigliosi film. 
 
Bisognerà aspettare fino al 2017 per vedere al cinema quest’opera, che potrebbe sembrare un po’ stramba, ma a conti fatti affascina con discreta eleganza. La La Land non si trascina, ma ci trascina in un mondo magico, che riapre i nostri cassetti della memoria legati a musical come West side story ed Un Americano a Parigi. La sua leggerezza potrebbe fare da trampolino per una vagonata di nomination all’Oscar 2017, sinceramente meritate.
 
David Siena
 

Blade Runner 2049

Giovedì 05 Ottobre 2017 15:40
Denis Villeneuve, dopo Arrival, firma il suo secondo lavoro di fantascienza, opera che nasce come sequel del primo Blade Runner, l'originale del 1982. Conscio della spinosa impresa alla quale è chiamato, Villeneuve ci tiene in un certo modo ad affrancarsi precisando, in un messaggio per il pubblico prima della visione, di non giudicare il film sulla scorta di preconcetti quanto di immergerci nell'esperienza cercando di lasciar cadere il maggior numero di filtri possibile.
Ed è così che sembra più utile approcciarsi a questo tipo di operazione, perché è scontato dire che cimentarsi nell'impresa di reinterpretare uno dei capisaldi della storia del cinema è qualcosa di assai arduo e si rischia di perdere in partenza.
Purtroppo il confronto scatta automatico ma il target considerato sembra anche quello delle più moderne generazioni di spettatori che non hanno avuto l'occasione di vedere il precedente o di leggere il romanzo di Philip K. Dick. 
Anche se muniti delle migliori intenzioni, l'opera non ne esce bene risultando abbastanza asettica, incasellandosi perfettamente sulla lunghezza d'onda di un qualsiasi film poco riuscito di supereroi tutto effetti grafici, sfarzose scenografie e molto poco cuore. Il tempo, estremamente lungo, della visione è spezzato da scene molto cariche e dense di immagini, luci, suoni, colori. Villeneuve, supportato dalla fotografia di Roger Deakins e avvalendosi anche di un immenso lavoro di scenografia, dà il meglio di sè sul registro visivo caratterizzandolo con i suoi specifici codici. Superficialmente toccante, in paesaggi sconfinati, desertici, postapocalittici, rimbalzanti da crude e scarne distese di sabbia con cieli seppiati postatomici a interni sfarzosi di metropoli, ormai distrutte e deprivate di un'anima che si agita stretta in automi dominanti e controllori, censori, usurpatori. 
Le ambientazioni e tutto ciò che le concerne è reso alla perfezione pescando un po' qui un po' là da tutta la fantascienza che il cinema rievoca da quell'originale dei primi anni ottanta nei quasi quattro decenni successivi. I richiami alla Bigelow di Strange Days, al Besson del Quinto Elemento, alle metropoli asfittiche e brulicanti di Wong Kar-Wai si sprecano, il revival ad un "vintage" anni novanta è forse uno degli elementi più presenti. 
La memoria storica, di una crisi lancinante che ha condotto tutto allo sfascio, è affidata su tutte ad una frase di uno stanco Deckard mentre si sofferma sul ricordo di quando l'opulenza distraeva da ciò che intorno crollava. Ma è tutto sempre lì presente, dietro l'angolo, in una simil Las Vegas vittima degli eventi, in un ologramma di Elvis che si staglia magnificamente al centro della scena, quasi in un dialogo a tre con Ford e Gosling. 
Villeneuve  nonostante il megaimpianto sembra aver perso il suo taglio, aver chiuso il cuore che palpitava forte in La donna che canta (2010) in un cassetto, ritrovandolo solo in memorie ammiccanti per la sua generazione, maldestramente fondendo mode del momento in un Jared Leto guru de noantri che, insopportabile, cita frasi della Bibbia e massime zen a casaccio, come se non ci fosse un domani. Un pastone di incroci di teorie, filosofie, letterature, stili, mode, grandi dogmi di ieri oggi e domani, giusto per accontentare un po' tutti, imprimendo comunque un gran senso di vacuità in cui lo stesso Gosling, scelto per guidarci nell'intera vicenda, con la sua monoespressione risulta a tratti anche un po' ridicolo.  
 
Chiara Nucera

First Man

Martedì 04 Settembre 2018 22:27
First Man, diretto dal premio Oscar Damien Chazelle, apre la Mostra del Cinema di Venezia 2018. Quell’Oscar fu anche merito della direzione del Festival del 2016; allora come oggi gestita da Alberto Barbera. L’apertura affidata al musical La La Land fu senza dubbio una scommessa. Vinta con ampio margine. Quest’anno si ripunta sul giovane regista americano, che con la storia dell’allunaggio di Neil Armstrong promette di stupire ed allo stesso tempo di farci riflettere su temi non proprio consoni all’avventura nello spazio. 
Il film è l’adattamento della biografia ufficiale del primo uomo che mise piede sulla Luna: First Man-The Life of Neil A. Armstrong, scritta da James R. Hansen.
 
Neil Armstrong (Ryan Gosling – Blade Runner 2049) entra ufficialmente a far parte della Nasa nel 1962. Persona schiva, riservata e concentrata sul proprio mestiere di ingegnere, non è proprio l’amicone da feste e svaghi. Per lui alla base dei suoi interessi ci sta la famiglia. Purtroppo perde una figlia e questo tragico evento lo distrugge. Il rapporto con la moglie Janet (Claire Foy, ora al cinema anche con Millennium – Quello che non uccide) non è più lo stesso, ma non perduto. La reazione è tutta focalizzata sul programma Gemini. Il lavoro preciso e costante diventa il mezzo per cercare dentro di se una redenzione difficile da trovare. La sua perseveranza lo porta a diventare il comandante della missione Gemini 8. Neil diventa così il primo uomo mandato nello spazio. Ma come obiettivo ha la Luna, promessa alla sua famiglia come terra di miracoli. La preparazione ai viaggi spaziali è complicata e colma di incidenti. Molti colleghi di lavoro perdono la vita durante i collaudi. Sembra tutto perduto quando invece il famigerato satellite diventa realtà. L’Apollo 11 è sulla rotta verso la Luna e il 20 Luglio del 69’ Armstrong è il primo essere umano a calcare il suolo lunare. 
 
Ma poi siamo veramente andati sulla Luna? Al protagonista poco importa, dato che lui la sua Luna l’ha trovata. Ecco! Questo è in realtà il vero senso di questo lungometraggio. Un’opera intima, che mette in secondo piano per una volta il Sogno Americano. Il trentatreenne regista del Rhode Island conferma le sue ottime doti nella direzione di un grande progetto, confezionando un’opera poetica ed intensa. Sta alla larga dal cliché. Fa uso cospicuo della camera a mano portando lo spettatore direttamente sulla Luna. Quasi da realtà virtuale. Una vivida camminata on the Moon, intinta di veridicità. Le scene vivono di un’avvolgente dinamismo, intercalate da un senso serrato di claustrofobia. Chazelle ha sempre lo sguardo nel posto giusto e riesce a tirar fuori da ogni inquadratura la giusta anima. Se gli si deve fare un appunto può essere che, la prima parte del film lenta ed introspettiva, lasci lo spettatore un po’ fermo su se stesso, ma i minuti seguenti sono emozionanti e coinvolgenti, incalzati anche dallo strepitoso commento musicale di Justin Hurwitz (premio Oscar per La La Land).
Il giovane autore, grande conoscitore di cinema, si fa ispirare dalle tecniche nolaniane e non mancano citazioni kubrickiane. E se ci addentriamo nel dolore ci sono anche velature eastwoodiane.
 
Parte della critica trova in First man solo un buon esercizio di stile. Come dargli torno. Ma il film di Chazelle non è solo questo. Riesce a mettere in scena la realtà sconfinando nel fantastico, in modo da poterci consentire di sconfiggere i nostri incubi più ricorrenti legati al peso della vita. Così da risolvere l’irrisolvibile. Nello spazio che non aiuta nessuno, in questo luogo inospitale per l’uomo si trova paradossalmente se stessi. Una magia oscura, che è comunque sempre magia.
 
Ryan Gosling è perfetto per interpretare Neil Armstrong: una performance in sottrazione, introversa e da un certo punto di vista psicoterapeutica. Entra in analisi con se stesso per lenire il tremendo lutto e il suo disumano obiettivo conferisce una ragione alla sua esistenza e a quella dell’umanità. Claire Foy non da meno. Una nomination all’Oscar come attrice non protagonista non gliela toglie nessuno. E produttore esecutivo troviamo un certo Steven Spielberg.
 
David Siena