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"Lo sguardo non mente" mostra fotografica

Domenica 11 Settembre 2011 14:10

Festival Internazionele del Film di Roma (27-31 ottobre 2011) . 

LO SGUARDO NON MENTE è un'esposizione fotografica che mette in mostra alcuni degli scatti più significati presenti all'interno del catalogo edito "Drago" con la prestigiosa introduzione di Marco Muller. Una mostra insolita che tenta di spiare gli sguardi più intimi e privati di attori e attrici, ma anche registi e sceneggiatori. Tutti immortalati dall'obiettivo onesto e attento di Riccardo Ghilardi.

L'artista utilizza la fotografia per cogliere l’immediatezza della risposta, in tutta la sua spontaneità.

La pubblicazione del catalogo segna un’ulteriore importante tappa di quello che è stato un vero e proprio evolversi del progetto, una crescita dovuta alle numerose adesioni di attori, registi e professionisti del cinema all’iniziativa.

La mostra Lo sguardo non mente è già stata esposta, infatti, all’Auditorium Parco Della Musica di Roma, Mostra Ufficiale IV Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (15 Stampe); alla B>Gallery P.zza S.Cecilia Roma (21 Stampe); alla Casa del Cinema, Villa Borghese Roma, in occasione della V Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma 2010 (24 Stampe); al Teatro Petruzzelli, Grand Hotel Oriente Bari in occasione del BIF&ST, Festival Internazionale del cinema di Bari

Come spiega lo stesso Ghiraldi "è un progetto fotografico, un set con fondali di velluto blu e alcuni set esterni simboli degli argomenti toccati nelle domande. Una poltrona in ferro lavorato a mano che rappresenta un insieme di spirali e punti interrogativi, un po’ come la vita! Ho invitato a sedersi su questa poltrona un certo numero di attori e attrici italiani di diverse generazioni e il gioco è cominciato. Una domanda ogni volta diversa... e via con lo scatto che ferma l’espressione prodotta sul volto dell’ospite.

Ho cercato quel “centoventicinquesimo di secondo” dove lo sguardo non mente”. 

Tra i volti in catalogo troveremo : Anita Caprioli, Simona Cavallari, Daniele Cesarani, Marco Cocci, Ugo Conti, Paola Cortellesi, Ninetto Davoli, Ennio Fantastichini, Donatella Finocchiaro, Giuseppe Fiorello, Claudia Gerini, Elio Germano, Marco Giallini, Antonello Grimaldi, Alessandro Haber, Sabrina Impacciatore, Valerio Mastandrea e molti altri.

info: www.dragolab.com

 

La sedia della felicita'

Lunedì 08 Settembre 2014 11:06
Bruna (Isabella Ragonese), graziosa estetista tradita dal fidanzato e pressata dai
creditori, riceve una confessione in punto di morte da una cliente, a cui lima le unghie in carcere. Norma Pecche (Katia Ricciarelli), madre di un famoso bandito, ha nascosto un tesoro di gioielli in una delle otto sedie del suo salotto. Sprezzante del pericolo, Bruna comincia una rocambolesca ricerca delle sedie, sequestrate dal tribunale e vendute separatamente all'asta. Ad aiutarla ci sono Dino (Valerio Mastandrea) disilluso tatuatore divorziato, e Padre Weiner (Giuseppe Battiston) prete cattolico con il vizietto dei videopoker. 
La commedia è un'arte nobile e  nel suo ultimo film Carlo Mazzacurati ne mette in scena i codici con sicurezza e dedizione. 
Scomparso lo scorso gennaio dopo una lunga malattia, il regista padovano conclude con un sorriso una carriera lunga più di trent'anni (cominciò come aiuto regista per Nanni Moretti), chiudendo anche una brillante trilogia di commedie, iniziata nel 2000 con La lingua del santo e proseguita nel 2011 con La passione.
Tornano immancabilmente due elementi centrali della filmografia di Mazzacurati: lo sfondo della tanto cara provincia veneta e la figura dei losers, piccoli uomini inadeguati a raggiungere il proprio obiettivo.
La trama ricorda in parte quello del romanzo russo Le dodici sedie di Il'ja Arnol'dovič Il'f e Evgenij Petrovič Petrov, già adattato per il cinema da Mel Brooks nel 1970 (Il mistero delle dodici sedie) e al quale Mazzacurati ammette di essersi ispirato in fase di scrittura. Il romanzo, ambientato nella Russia del 1927, racconta le imprese di un nobile zarista decaduto e di un astuto truffatore per recuperare dei diamanti nascosti nell'imbottitura di un antico servizio di dodici sedie, saccheggiate durante la rivoluzione d'ottobre. Ma a parte l'idea iniziale, il film di Mazzacurati vira verso altri obiettivi.
Nella loro ricerca, i protagonisti si imbattono in una serie di situazioni e personaggi surreali dello spaccato veneto - e non solo -, sempre in bilico fra le ombre di un passato diffidente e bifolco, e quelle di un futuro multietnico, che si affaccia timidamente. Si passa dal vile squallore del Mago Kasimir (Raul Cremona), celebre fenomeno da baraccone regionale, all'inquietante ambiguità della comunità cinese, da un fioraio indiano estorsore (Marco Marzocca), ai due singolari pastori confinati nelle montagne sperdute ed estranianti del Trentino. Estremi opposti che mettono in luce le contraddizioni di un paese tanto proiettato verso il futuro quanto ancora chiuso e reazionario. 
Non è un segreto che in Veneto, molto più che in altre regioni d'Italia, le istanze qualunquiste e filo-razziste della Lega Nord, data per morta due anni fa poi tornata sorprendentemente alla ribalta, siano ancora maggiormente radicate.
Questo legame morboso non è mai palesato all'interno film da chiassose ambizioni civili, ma osservato e descritto con “la giusta distanza” - come recita il titolo di uno dei più celebri film di Mazzacurati - e delinea proprio quel contesto sociale che tende a trasformare i protagonisti in outsiders del loro tempo.
La ricerca del tesoro diventa quindi un pretesto per mettere in scena le diverse facce di una regione, a sua volta specchio dell'intera penisola, e le mutazioni subite da essa negli ultimi decenni.
Mazzacurati disegna i suoi protagonisti con un affetto smisurato – compresa la tragicomica uscita di scena di Battiston -, che sfocia a volte in un affettuoso paternalismo. 
La tenera intesa fra Dino/Mastandrea e Bruna/Ragonese è talmente scontata che nasce da sé, senza però rispondere alla canonica formula “elemento amoroso = compromesso commerciale”, sulla quale la maggioranza delle commedie romantiche italiane basano un intero plot - vedi Fausto Brizzi o il sopravvalutato Paolo Genovese.
Il trio Ragonese-Mastandrea-Battiston azzecca perfettamente i tempi comici delle situazioni, ma il film conta anche una serie di “amichevoli partecipazioni”: Antonio Albanese, nel duplice ruolo di due burberi gemelli, Milena Vukotic, nominata ai David di Donatello come miglior attrice non protagonista, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio e Roberto Citran.
È come se Mazzacurati avesse voluto riunire nel suo ultimo film gli attori che più fedelmente lo hanno servito nel corso degli anni. 
La sedia della felicità è infatti un ideale film-testamento, in cui il regista ripercorre i luoghi e i volti che lo hanno accompagnato nel suo cinema e nella sua vita personale; compreso il soggiorno a Roma, rappresentato iconograficamente dalla new entry Mastandrea, tatuatore romano finito a Jesolo per seguire una donna. 
Una ballata dedicata ai perdenti, priva sia dell'eroe senza macchia o del cinico senza redenzione, ma filtrata attraverso una sensibile malinconia, tipica del regista.
Il modo migliore per ricordare Mazzacurati con un sorriso. 
 
Angelo Santini

L'omaggio del Riff a Claudio Caligari

Martedì 22 Novembre 2016 15:19
Per rendere omaggio al talento di Claudio Caligari, grande regista del cinema italiano, impegnato soprattutto nell’ambito indipendente, di indagine e documentazione sociale e scomparso lo scorso anno, il RIFF, durante la sua 15esima edizione che si terrà dal 25 novembre al 1 dicembre presso il cinema Savoy, ospiterà una retrospettiva a lui dedicata.
 
 
La rassegna comprende i tre lungometraggi narrativi, dal forte approccio documentaristico e nati nell'ottica di una adesione totale al reale. Tale volontà di descrizione spinge Caligari verso un cinema crudo, duro, dal carattere drammatico che coinvolge lo spettatore fin nel profondo.
Dalla potenza di "Amore tossico" che stravolse i classici cliché estetici, divenendo un vero e proprio cult della cinematografia underground, partecipando a importanti festival internazionali, tra cui la Mostra del Cinema di Venezia dove vinse il Premio De Sica; a "L’odore della notte", quindici anni dopo, ispirato alla storia vera della Banda dell’Arancia Meccanica di Roma, che accostandosi al poliziottesco non rinuncia alle ambizioni di ricerca sociale dell’autore; fino all'ultimo "Non essere cattivo", riproposizione moderna del suo film d’esordio in una continua autocitazione, un modo di lavorare e condurre un'esistenza per il cinema, trasformandolo nello specchio nel quale si riflettono tutti i tormenti e le contraddizioni di un’epoca e della società che la vive.
 
Una retrospettiva dovuta, per onorare il talento di un grande maestro, riconosciuto forse troppo tardi, come spesso accade con quel cinema d’autore che vuole raccontare le storie di cui avverte l’urgenza senza inseguire modelli conosciuti ma costruendo, passo dopo passo, il proprio carattere.
 
Ogni proiezione verrà introdotta dalla giornalista Chiara Nucera e interverranno ospiti tra cui l'attrice Silvia D'Amico.
 
Amore tossico (Italia, 1983, 96’) : venerdì 25 ore 22
L’odore della notte (Italia, 1998, 101’) : sabato 26 ore 22.30
Non essere cattivo (Italia, 2015, 100’) : domenica 27 ore 22
 
Sempre in occasione dell'omaggio a Claudio Caligari, martedì 29 novembre presso la Biblioteca Europea (via Savoia, 15) alle 17.30, il RIFF organizza in collaborazione con Biblioteche di Roma, l’evento Scrivere per il cinema: incontro con Giordano Meacci, co-sceneggiatore di Non essere cattivo. L’incontro, gratuito ed aperto a tutti, si configura a metà tra il workshop e la chiacchierata e verte sul rapporto tra la sceneggiatura e la scrittura narrativa con particolare riferimento alle ultime importanti esperienze professionali di Giordano Meacci, finalista ai David di Donatello con Claudio Caligari e Francesca Serafini proprio per la sceneggiatura di Non essere cattivo e arrivato in cinquina al Premio Strega con “Il cinghiale che uccise Liberty Valance” (minimum fax, 2016).
L'incontro sarà introdotto da Vanessa Tenti del Rome Independent Film Festival e da Chiara Nucera.
 
maggiori informazioni consultando www.riff.it

David 2017. Le Candidature

Martedì 21 Febbraio 2017 18:15
Sono state rese note tutte le candidature che concorreranno il prossimo 27 marzo alla cerimonia ufficiale dei David di Donatello 2017, che si terrà presso gli Studios di via Tiburtina. 
 
A fare incetta di candidature troviamo Indivisibili e La pazza gioia, 17 a testa, ma Veloce come il vento segue con un totale di 16. Doppiamente candidato Valerio Mastandrea (Miglior Attore Protagonista per Fai bei sogni e Miglior Attore Non Protagonista per Fiore). 
 
 
Nella categoria MIGLIOR FILM 
 
Fai bei sogni regia di: Marco Bellocchio
Fiore regia di: Claudio Giovannesi
Indivisibili regia di: Edoardo De Angelis
La pazza gioia regia di: Paolo Virzì
Veloce come il vento regia di: Matteo Rovere
 
 
MIGLIOR REGIA
Marco Bellocchio, per Fai bei sogni
Claudio Giovannesi, per Fiore
Edoardo De Angelis, per Indivisibili
Paolo Virzì, per La pazza gioia
Matteo Rovere, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE REGISTA ESORDIENTE
Michele Vannucci, per Il più grande sogno
Marco Danieli, per La ragazza del mondo
Marco Segato, per La pelle dell'orso
Fabio Guaglione, Fabio Resinaro, per Mine
Lorenzo Corvino, per WAX: We are the X
 
 
MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Claudio Giovannesi, Filippo Gravino, Antonella Lattanzi, per Fiore
Michele Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco Martani, per In guerra per amore
Nicola Guaglianone, Barbara Petronio, Edoardo De Angelis, per Indivisibili
Francesca Archibugi, Paolo Virzì, per La pazza gioia
Roberto Andò, Angelo Pasquini, per Le confessioni
Filippo Gravino, Francesca Manieri, Matteo Rovere, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA
Fiorella Infascelli, Antonio Leotti, per Era d'estate
Edoardo Albinati, Marco Bellocchio, Valia Santella, per Fai bei sogni
Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola, per La stoffa dei sogni
Francesco Patierno, per Naples '44
Francesca Marciano, Valia Santella, Stefano Mordini, per Pericle il nero
Massimo Gaudioso, per Un paese quasi perfetto
 
 
MIGLIOR PRODUTTORE
Cristiano Bortone, Bart Van Langendonck, Peter Bouckaert, Gong Ming Cai, Natacha Devillers, per Caffè
Pupkin Production e IBC Movie con Rai Cinema, per Fiore
Attilio De Razza, Pierpaolo Verga, per Indivisibili
Marco Belardi per Lotus Production (una società di Leone Film Group) – in collaborazione con Rai Cinema, per La pazza gioia
Angelo Barbagallo per Bibi Film con Rai Cinema, per Le confessioni
Domenico Procacci con Rai Cinema, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA
Daphne Scoccia, per Fiore
Angela e Marianna Fontana, per Indivisibili
Valeria Bruni Tedeschi, per La pazza gioia
Micaela Ramazzotti, per La pazza gioia
Matilda De Angelis, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA
Valerio Mastandrea, per Fai bei sogni
Michele Riondino, per La ragazza del mondo
Sergio Rubini, per La stoffa dei sogni
Toni Servillo, per Le confessioni
Stefano Accorsi, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA
Antonia Truppo, per Indivisibili
Valentina Carnelutti, per La pazza gioia
Valeria Golino, per La vita possibile
Michela Cescon, per Piuma
Roberta Mattei, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Valerio Mastandrea, per Fiore
Massimiliano Rossi, per Indivisibili
Ennio Fantastichini, per La stoffa dei sogni
Pierfrancesco Favino, per Le confessioni
Roberto De Francesco, per Le ultime cose
 
 
MIGLIOR AUTORE DELLA FOTOGRAFIA
Daniele Ciprì, per Fai bei sogni
Ferran Paredes Rubio, per Indivisibili
Vladan Radovic, per La pazza gioia
Maurizio Calvesi, per Le confessioni
Michele D'Attanasio, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE MUSICISTA
Carlo Crivelli, per Fai bei sogni
Enzo Avitabile, per Indivisibili
Carlo Virzì, per La pazza gioia
Franco Piersanti, per La stoffa dei sogni
Andrea Farri, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR CANZONE ORIGINALE
"I CAN SEE THE STARS", musica e testi di Fabrizio Campanelli, interpretata da Leonardo Cecchi, Eleonora Gaggero, Beatrice Vendramin, per Come diventare grandi nonostante i genitori
"ABBI PIETÀ DI NOI", per Indivisibili, musica, testi di Enzo Avitabile, interpretata da Enzo Avitabile, Angela e Marianna Fontana, per Indivisibili
"L'ESTATE ADDOSSO", musica di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, Christian Rigano e Riccardo Onori, testi di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti e Vasco Brondi, interpretata da Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, per L'estate addosso
"PO POPPOROPPÒ", musica e testi di Carlo Virzì, interpretata dai pazienti di Villa Biondi, per La pazza gioia
"SEVENTEEN", musica di Andrea Farri, testi di Lara Martelli, interpretata da Matilda De Angelis, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE SCENOGRAFO
Marcello Di Carlo, per In guerra per amore
Carmine Guarino, per Indivisibili
Marco Dentici, per Fai bei sogni
Tonino Zero, per La pazza gioia
Livia Borgognoni, per La stoffa dei sogni
 
 
MIGLIORE COSTUMISTA
Cristiana Ricceri, per In guerra per amore
Massimo Cantini Parrini, per Indivisibili
Catia Dottori, per La pazza gioia
Beatrice Giannini, Elisabetta Antico, per La stoffa dei sogni
Cristina Laparola, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR TRUCCATORE
Gino Tamagnini, per Fai bei sogni
Maurizio Fazzini, per In guerra per amore
Valentina Iannuccilli, per Indivisibili
Esmé Sciaroni, per La pazza gioia
Silvia Beltrani, per La stoffa dei sogni
Luca Mazzoccoli, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR ACCONCIATORE
Mauro Tamagnini, per Fai bei sogni
Massimiliano Gelo, per In guerra per amore
Vincenzo Cormaci, per Indivisibili
Daniela Tartari, per La pazza gioia
Alessio Pompei, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORE MONTATORE
Consuelo Catucci, per 7 minuti
Chiara Griziotti, per Indivisibili
Cecilia Zanuso, per La pazza gioia
Alessio Doglione, per La stoffa dei sogni
Gianni Vezzosi, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR SUONO
Presa diretta: Gaetano Carito – Microfonista: Pierpaolo Lorenzo – Montaggio: Lilio Rosato – Creazione suoni: New Digital Sound – Mix: Roberto Cappannelli, per Fai bei sogni
Presa diretta: Valentino GIANNÌ – Microfonista: Fabio Conca – Montaggio: Omar Abouzaid e Sandro Rossi – Creazione suoni: Lilio Rosato – Mix: Francesco Cucinelli, per Indivisibili
Presa diretta: Alessandro Bianchi – Microfonista: Luca Novelli – Montaggio: Daniela Bassani – Creazione suoni: Fabrizio Quadroli – Mix: Gianni Pallotto c/o SOUND DESIGN, per La pazza gioia
Presa diretta: Filippo Porcari – Microfonista: Federica Ripani – Montaggio: Claudio Spinelli – Creazione suoni: Marco Marinelli – Mix: Massimo Marinelli, per La stoffa dei sogni
Presa diretta: Angelo Bonanni – Microfonista: Diego De Santis – Montaggio e Creazione suoni: Mirko PERRI – Mix: Michele Mazzucco, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIORI EFFETTI DIGITALI
Chromatica, per In guerra per amore
Makinarium, per Indivisibili
Mercurio Domina, Far Forward, Fast Forward, per Mine
Canecane, Inlusion, per Ustica
Artea Film & Rain Rebel Alliance International Network, per Veloce come il vento
 
 
MIGLIOR DOCUMENTARIO
60 - Ieri, oggi, domani, di Giorgio Treves
Acqua e zucchero: Carlo Di Palma, i colori della vita, di Fariborz Kamkari
Crazy for football, di Volfango De Biasi
Liberami, di Federica Di Giacomo
Magic Island, di Marco Amenta
 
 
MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA
Florence, di Stephen Frears
Io, Daniel Blake, di Ken Loach
Julieta, di Pedro Almodovar
Sing Street, di John Carney
Truman – Un vero amico è per sempre, di Cesc Gay
 
 
MIGLIOR FILM STRANIERO
Animali notturni, di Tom Ford
Captain Fantastic, di Matt Ross
Lion, di Garth Davis
Paterson, di Jim Jarmusch
Sully, di Clint Eastwood
 
 
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
A casa mia, di Mario Piredda
Ego, di Lorenza Indovina
Mostri, di Adriano Giotti
Simposio suino in re minore, di Francesco Filippini
Viola, Franca, di Marta Savina
Il miglior cortometraggio Premio David di Donatello 2017 è: A CASA MIA di Mario Piredda
 
 
DAVID GIOVANI
Michele Placido, per 7 minuti
Pierfrancesco Diliberto, per In guerra per amore
Gabriele Muccino, per L'estate addosso
Paolo Virzì, per La pazza gioia
Roan Johnson, per Piuma
 
 

Fai bei sogni

Martedì 15 Novembre 2016 16:21
Il giornalista e scrittore Massimo Gramellini, pubblica nel 2012 il romanzo Fai bei sogni, edito Longanesi. Un libro autobiografico, il primo in cui Gramellini si mette a nudo, raccontandoci qualcosa di molto intimo e doloroso che appartiene al suo passato: la morte di sua madre. Egli affronta nel libro questo lutto, avvenuto quando aveva solo 9 anni,  dispiegando così il velo su un evento che ha indelebilmente perturbato la sua vita. La perdita precoce di una madre dolce e rassicurante, è stata per anni edulcorata da una falsa verità, gravando a lungo come un masso sulle sue spalle. Un dolore sordo e silenzioso che accompagna quel bimbo triste e improvvisamente spaesato fino all'età adulta. Momento in cui Massimo farà luce su un'amara realtà, qualcosa che il suo istinto da tempo intuiva. Bellocchio dirige l'adattamento di un libro perfetto, ben scritto, scorrevole e diretto, mai banale ed estraneo alle retoriche. Un compito complesso quello di trasporre su grande schermo una storia sincera e delicata come quella narrata da Gramellini. Parlare  allo spettatore senza ricorrere a svenevolezze, senza urlare lo strazio profondo e viscerale di chi ha perso la propria madre. Il regista di Bella Addormentata e Vincere, riesce come pochi del mestiere, a dare forma a film ricchi di sfumature emotive, gioielli di purezza ed eleganza, escludendo orpelli e sentimentalismi ostentati.  Restando fedele al libro, Bellocchio tocca tanti temi cari al suo cinema, quali la famiglia, il dolore della perdita, e il senso della rinascita. Il personaggio di Massimo, interpretato da un intenso Valerio Mastandrea, è lacerato dalla sofferenza che non ha mai smesso di segnarlo, e di forgiargli un potente scudo di indifferenza affettiva nei confronti del mondo esterno. Un confine invalicabile che lo rende freddo e distante da tutto e tutti. La tragedia dell'oscurità nel film trova perfetta espressione in una fotografia molto cupa, capace di rispecchiare il grigiore spirituale che permea l'animo del protagonista. Uno stato emotivo soffocante, che per Massimo avrà termine solo grazie alla potenza della verità, e all'amore sincero di una donna. Fai bei sogni è un’opera toccante, tanto drammatica quanto amara, che ci fa riscoprire la bellezza del cinema, quello migliore. 
 
Giada Farrace 

Ride

Giovedì 29 Novembre 2018 14:03
Mauro Secondari operaio in una fabbrica di Nettuno, muore tragicamente sul lavoro. La comunità si stringe attorno alla famiglia dell’uomo, composta ora solamente dalla compagna Carolina e dal figlio di dieci anni Bruno. Carolina sopraffatta dall’improvvisa scomparsa di Mauro, reagisce in modo piuttosto inconsueto. La donna non riesce a versare una lacrima, e pervasa da un forte senso di smarrimento, tenta di evocare tramite ricordi, canzoni e fotografie sentimenti di nostalgia e dolore,  ma ogni sforzo risulta vano. Carolina è intrappolata in un limbo imperturbabile, dove non trovano posto lacrime e disperazione. Ad un giorno dai funerali pubblici, la donna cercherà in tutti i modi di afferrare quello strazio, quell’immagine di vedova devastata dalla perdita e sprofondata nella sofferenza, nel tentativo di non deludere nessuno. In concorso al 36esimo Festival del Cinema di Torino, Ride è l’opera prima da regista di Valerio Mastandrea, e l’esordio da protagonista di Chiara Martegiani (compagna nella vita dell’attore e regista romano). Fulcro del film è il tema della perdita, edulcorato da un ritmo che, soprattutto nella prima parte, riesce a far emergere sequenze di piacevole scorrevolezza attraverso un originale e gradevole black humor. L’enfasi del dolore viene esplicitata nel personaggio di Carolina in modo inusuale e inversamente proporzionale a ciò che ci si aspetterebbe, facendole vivere con indifferenza e distacco la perdita del marito. Il trauma della morte viene completamente spogliato dai toni dello struggimento: in una realtà in cui il comportamento sociale e relazionale viene calibrato sulla base del sentire comune e in particolare sulla scia della morale dominante, Ride offre un quadro differente, del tutto invertito e sicuramente inconsueto dell’ approccio al dolore, che non subisce mai un’esplosione di senso ma anzi vira all’implosione. Si tratta di un concetto che trova il suo referente diretto nella nuova percezione della realtà e dei sentimenti, amplificata in modo esponenziale dai filtri mediatici di oggi. Tuttavia il film diretto da Mastandrea, sebbene presenti delle interessanti premesse, finisce con il perdersi in un’indeterminatezza che lo rende un po’ troppo debole. Probabilmente il tentativo di non calcare il tono drammatico, alternando costantemente l’ironia dei bravissimi personaggi di contorno (tra cui Stefano Dionisi e Renato Carpentieri) all’apatia della protagonista, restituisce una trama poco vicina al reale che non trova empatia con lo spettatore. Il gioco di sottrazione attuato dal regista purtroppo cede del tutto dalla seconda parte del film fino al suo termine, a causa di pochissimi pilastri narrativi, che finiscono con il generare momenti lenti e dalla struttura troppo vacua. Chiara Martegiani non riesce a restituire, nonostante gli sforzi, la giusta naturalezza ad un personaggio distaccato e inconsueto come quello di Carolina. La sottrazione a cui prima si accennava, non viene adeguatamente compensata con l’incisività dell’espressività e nella scelta di tempi nei pochi lunghi duetti a lei affidati. Ci si aspettava qualcosa in più dall’opera prima di un attore completo ed intenso come Valerio Mastandrea, una maggiore cura nella scrittura e nella scelta di alcuni passaggi, senza eclissare il tema originale che risulta di per sé interessante. 
 
Giada Farrace

Diabolik

Giovedì 16 Dicembre 2021 13:15

Diabolik ha “mille volti” ma sono maschere, non è “un eroe”. È il protagonista affascinante di una serie a fumetti progressista che portò alla nascita del genere “fumetto nero italiano” creato nel 1962 da due donne, Angela e Luciana Giussani, due sorelle milanesi che ne scrissero più di 800 storie.

Sono stati i registi Marco e Antonio Manetti a trovare il favore e l’aiuto nella stesura del soggetto di Mario Gomboli, attuale detentore dei diritti della casa editrice Astorina, per la riduzione cinematografica, dichiarando fin dal principio di voler scrivere non “un film su Diabolik” ma il “film di Diabolik” con tutti i suoi difetti, con tutte le sue sporcature, un ladro che senza “rubare ai ricchi per dare ai poveri” si fa beffa della legge e la fa sempre franca. Siamo negli anni Sessanta a Clerville (le strade di Bologna in questo caso fanno da location), l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea) insegue una Jaguar E-Type nella notte. Di Diabolik (Luca Marinelli) vediamo solo gli occhi, le mani al volante, fugge dall’inseguimento con l’ennesimo trucco di prestigio. La legge è sua acerrima nemica, ha un nascondiglio dietro ad una montagna di cartapesta, si annida nella casa della facoltosa Elisabeth (Serena Rossi), sua ignara amante, usando lo pseudonimo di Walter Dorian. Una vedova, la bellissima Eva Kant (Miriam Leone), torna dall’Africa a Clerville con la sua cospicua eredità. Tesori inestimabili tra cui un diamante rosa, Diabolik deve rubarlo.

Eva è scaltra, conosce gli uomini, si trascina dietro di sé il viceministro Caron (Alessandro Roja), un uomo grezzo che le fa la corte, ma il suo cuore è più complicato. Quando Diabolik si intrufola nella sua stanza d’albergo, la bracca con un coltello e la guarda negli occhi, quello sguardo basterà ad entrambi per accorgersi della loro somiglianza. Tra i due nasce un grande reciproco amore. È nel fumetto numero 3 (1963) che fa la sua prima comparsa Eva Kant, una “Catwoman” nostrana, figlia dell’amore per la filosofia delle autrici (il cognome Kant è un riferimento a Immanuel Kant), il suo ruolo è centrale, mette quasi in ombra il suo partner, che a favore di sceneggiatura in questo film viene interpretato da tanti attori, quelli di cui ruba l’identità. Diabolik con le sue maschere in silicone riesce a simulare altre persone, caratteristica particolare, resa possibile grazie al lavoro di composting di Diego Arciero. Gli effetti speciali di questo film sono tradizionali, ricordano quelli del cinema di Bava (Mario Bava nel 1968 adattò egli stesso il fumetto nel suo film Danger: Diabolik), c’è del posticcio nell'utilizzo di materiali “teatrali” ma che rende tutto assolutamente verosimile. Anche i costumi di Ginevra de Carolis, sono perfetti considerando quanto è difficile rendere credibile un personaggio che esce dai tombini di notte con una tuta nera aderente su tutto il corpo. Le musiche sono di Aldo de Scalzi e Pivio con l’aggiunta di un brano inedito di Manuel Agnelli (“La profondità degli abissi”). Gli attori protagonisti ci hanno rivelato (alla conferenza stampa di Roma) di essersi documentati senza farsi influenzare troppo dalle controparti cartacee, rendendo i personaggi propri, così che Valerio Mastandrea si è convinto che il commissario Ginko “non vuole” davvero prendere Diabolik, perché a detta anche del protagonista Luca Marinelli, entrambi non esisterebbero senza l’altro. È una caccia all'uomo che non termina mai, un classico senza tempo che potrebbe risultare anacronistico per certi versi ma mantiene una purezza di base che può attirare anche un pubblico giovane. Il film si divide involontariamente in due “casi” da risolvere, dà a tratti l’impressione di vedere due episodi di una serie televisiva (inizialmente infatti si era pensato di farlo) tuttavia, nonostante questo porti ad un ritmo altalenante, si riesce a trovare una chiusura, con un classico scontro finale. Ha il pregio di essere negli ultimi dieci anni una dignitosa trasposizione di un fumetto italiano, che si trascina dietro una tradizione che (restando nei confini dell'Europa) non ha niente di meno di quella dei BD francesi e, come un diamante prezioso, ha bisogno di splendere ancora.

 

Francesca Tulli