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What is left (?)

Lunedì 10 Febbraio 2014 23:19

Italiani disorientati, italiani stanchi, italiani arrabbiati.
Dopo le vicende dell’ultimo anno, tra elezioni politiche, elezioni del Presidente della Repubblica e Larghe intese, il ‘popolo italiano di sinistra’ sembra aver perso ogni punto di riferimento.
Ma che cos’è veramente la sinistra? Come si manifesta?
Ma soprattutto, esiste ancora?
E’ questo il punto di partenza del documentario scritto e diretto a quattro mani da Gustav Hofer e  Luca Ragazzi. “What is left (?)” è una pellicola che indaga nelle coscienze degli italiani in un momento storico molto particolare. I due registi scendono in strada, parlano con la gente, intervistano candidati e politici.
Ma non solo, entrambi si mettono allo scoperto, entrano in gioco aprendo agli spettatori la loro casa e portando alla luce le loro ideologie, pensieri e riflessioni.
“What is left (?)” ripercorre le tappe salienti della politica italiana - in particolar modo di quella che loro riconoscono ancora come ‘sinistra’ - partendo dalle primarie del PD del 2012, fino ad arrivare alla costituzione del Governo Letta.
L’approccio è volutamente soggettivo, entrambi si interrogano su ciò che è giusto fare, su ciò che può essere riconosciuto come ‘buono’ o come ‘cattivo’.
Intervistano Fabrizio Barca, Celeste Costantino, Alessandro Di Battista, Dario Franceschini, Enzo Lattuca, Tomaso Montanari, Stefano Rodotà.
Gustav Hofer e  Luca Ragazzi partecipano ai comizi nei circoli PD romani, sono a Piazza San Giovanni la sera di Grillo, sono davanti al Parlamento il primo giorno del Governo Letta.
Non è di certo sbagliato riconoscere nel lavoro svolto dai due registi un’analisi personalissima, che però riguarda e investe milioni di italiani, una gran fetta di cittadini travolti e disillusi dai loro leader.
Analisi storica e filosofica condotta indiretta in un Paese che cambia.
Bravi a cogliere i cambiamenti, Hofer e Ragazzi sono riusciti nel montaggio (affidato nelle mani di Desideria Rayner) a rendere il tutto molto coerente e fluido.
La scelta della voce off (Lucia Mascino), che nel finale rivela la sua ‘straordinaria’ identità, è una delle carte vincenti delle pellicola (così come i curiosi ‘quiz’ tra una scena e l’altra): donano al film brillantezza e scorrevolezza, con ‘un fare’ alla Giorgio Gaber.
I titoli di coda rispettano lo stesso stile, regalando una graziosa performance dei due registi/protagonisti.
Gustav e Luca sono due ragazzi diversi, con alle spalle una vita e un’educazione differente, ma che, come moltissimi cittadini, si interrogano ancora sul  futuro del proprio Paese, guardando al passato con occhio malinconico. Dove sei finita ‘cara sinistra’?

Silvia Marinucci

In viaggio con Cecilia

Giovedì 27 Marzo 2014 21:50
Inizialmente concepito come un lavoro biografico su Cecilia Mangini, prima donna a girare documentari nell’Italia del secondo dopoguerra, “Vaggio con Cecilia”, evitando di ripetere un già visto in “Non c’era nessuna signora a quel tavolo” di Barletti e Conte, ha poi virato verso la forma del documentario on the road che racconta la Puglia intrecciando lo sguardo di Cecilia con quello di un’altra regista pugliese, Mariangela Barbanente.
Un secondo spostamento diventa la cifra dell’intero lungometraggio. Quel viaggio riflessivo che doveva percorrere la regione per restituirne i cambiamenti politici, economici, culturali e sociali avvenuti nel tempo lungo di 50 anni (da quella realtà analiticamente raccontata da Cecilia nei suoi 40 cortometraggi a quella dell’estate 2012, momento in cui le due ritornano nella terra d’origine) ha subito, infatti, significativi cambiamenti in corso d’opera. Intrecciando persone e luoghi e lasciandoli parlare liberamente è emerso un ritratto del paese che, se da una parte si presenta in perfetta continuità storica rispetto a quello raccontato da Cecilia (con riferimento ai suoi temi centrali, quelli dell’industrializzazione meridionale, dei cambiamenti socio-culturali relativi per lo più alla nascita di una nuova classe operaia e al ruolo della donna), dall’altra si iscrive entro le regole della ristrutturazione neoliberale di cui il caso Ilva è l’emblema nazionale.
Durante le riprese esplode infatti in tutta la sua virulenza la questione Ilva di Taranto, con l’ordinanza della magistratura che porta all’arresto di Emilio Riva, patron della società, e al riconoscimento della soglia mortale dell’inquinamento prodotto dall’acciaieria. Il sequestro dell’Ilva, il successivo sciopero dei tre sindacati uniti, insieme agli altri eventi dell’estate 2012 hanno rappresentato, pertanto, il roadsign che ha indirizzato gli occhi delle registe, fugando ogni dubbio sul focus d’indagine principale di questo viaggio di ritorno alla terra natia. Tornare, con la telecamera e con la mente, laddove sono stati mossi i primi passi dell’industrializzazione del meridione (con l’Italsider a Taranto e la Monteshell a Brindisi) per rendere conto della trasformazione di quel piccolo miracolo economico in un disastro ambientale, detonatore di problematiche sociali e sanitarie e rivelatore di una serie di fatti correlati: dalla corruzione alle connivenze politiche, dallo sfruttamento dei lavoratori al ruolo di imprenditori-proprietari che lucrano sulla salute dei cittadini.
Oltre all’evidente attenzione al valore cinematografico del film - grazie anche al direttore della fotografia, Roberto Cimatti, e al suo occhio specializzato nell’immagine di paesaggio, che realizza una perfetta simbiosi fra la parola e l’ immagine, fra le incalzanti interviste e le lunghe visioni di Taranto e Brindisi e delle terre che lambiscono le due città – la forza del documentario mi sembra possa rintracciarsi negli appassionati scambi fra Cecilia e gli operai (gli stessi che lei aveva intervistato per il suo “Comizi d’amore 80”), i pescatori, i giovani senza aspettative né sogni, i parenti delle vittime dell’inquinamento prodotto dalle acciaierie. Ma anche nelle incursioni di campo reciproche fra Cecilia e Mariangela che, con sguardo diverso ma complementare, ribadiscono l’urgenza politica di analizzare il reale.  Se Cecilia ha indagato a fondo un’Italia divisa fra boom economico e contraddizioni sociali (avvalendosi dell’aiuto del marito regista Lino del Fra e del gruppo antropologico di Ernesto de Martino) Mariangela ha dato corpo e voce a migranti e braccianti agricole, marginalizzati e invisibilizzati entro il paesaggio postindustriale che fa loro da sfondo (“Sole”, “Ferrhotel”).  Il dialogo fra le due opera un confronto doppio, fra due epoche e due persone che distano più di 40 anni le une dalle altre, annodandosi intorno al grande quesito sul prezzo dell’industrializzazione e sui costi sociali del passaggio alla modernità. L’’inserzione di frammenti dei film della Mangini (da “Essere donne” a “Tommaso”, da “Brindisi 65” a “Monteshell” fino al già citato “Comizi d’amore 80”)  ben incastonati nel racconto, è l’elemento più funzionale a rendere il confronto fra la Puglia – e l’Italia – del secondo dopoguerra e quella attuale, disillusa dalle speranze del riscatto del Mezzogiorno, incapace di proiettarsi nel futuro, impantanata nella corruzione politica, in un mix nefasto di ignoranza e indifferenza, vittima di un fatalismo ignavo che fa dire a Cecilia: “Bisogna imparare a dire di no. Bisogna imparare ad esprimere il dissenso, ad essere francamente contrari a tutto quello che ci succede … e non stancarsi di dirlo”.
Presentato in anteprima al Festival dei popoli lo scorso novembre, “In viaggio con Cecilia” gira ora nelle sale italiane. Nella misura in cui le registe concepiscono il documentario come testardo attaccamento a quell’impegno politico che ci obbliga ad incidere nella realtà, noi spettatori abbiamo la possibilità di riprendere in mano tale diritto/dovere osservando e analizzando quella realtà che giunge fino a noi attraverso l’intermediazione della macchina da presa.
 
Elisa Fiorucci

I fantasmi di San Berillo

Giovedì 27 Marzo 2014 22:07
Per Edoardo Morabito deve essere stata un’esperienza sorprendente rinvenire, tra i vicoli di San Berillo, quartiere popolare di Catania, le tracce di una storia sotterranea ma visibile che rimanda agli eventi recenti di una Sicilia sospesa tra mito e modernità; una storia di cui quei volti e quei corpi che aveva inizialmente indagato diventano testimoni – o narratori – indiretti, lasciando al quartiere, alle sue pietre e alle sue rovine, l’onore di divenire oggetto principale d’indagine.
Cuore artigiano e popolare della città, San Berillo, situato fra la stazione e il porto, è sempre stato un quartiere-ghetto in cui venivano confinate le marginalità socio-economiche (poveri, prostitute, transessuali, traffichini) entro l’usanza universale di mettere in quarantena gli esseri umani pericolosi di attentare al benessere e all’ordine della classe borghese. Un quartiere virale, malato, dunque, di cui rimane oggi soltanto un frammento – come a custodia di un passato ovunque dimenticato – sovrastato dalla moderna “via delle banche” che ha rimpiazzato il vecchio cuore popolare.
Immagine simbolo dei processi di modernizzazione del secondo dopoguerra, che sradicano un passato con le ruspe di un rinnovamento urbanistico che troppo spesso diventa scempio e annullamento della memoria (tanto da perdere, a tratti, la sua determinazione spazio-temporale per parlare di una storia comune ai tanti quartieri popolari della vecchia Europa), San Berillo è qualcosa di più di un pattern dei fenomeni di trasformazione urbanistica e di gentrificazione dello spazio urbano. San Berillo è il brandello di storia che ricorda l’indimenticabile spazio di concentrazione di tutte le case chiuse della città siciliana e, dopo il ‘58, quartiere a luci rosse fra i più noti del Mediterraneo, in cui si riversavano centinaia di prostitute da tutta Italia. Nel suo animo martoriato San Berillo porta ancora dentro di sé le cicatrici dell’essere stato vittima di due deportazioni: la prima, avvenuta appunto nel 1958, anno in cui la legge Merlin metteva fine alle case di tolleranza, quando il quartiere venne raso al suolo e i suoi trenta mila abitanti trasferiti forzatamente nella Nuova San Berillo; la seconda, nel 2000, quando un blitz delle forze armate mise fine alle attività erotiche del quartiere e gli abitanti furono di nuovo costretti ad abbandonare le loro case per disperdersi nei viali del lungomare.
È in questo rimpallo fra passato e presente, fra un solido bianco e nero e un colore scolorito, fra le immagini pornografiche pre-legge Merlin e i primi piani dei volti e dei corpi demodée delle superstiti, che si rintraccia l’anima di questo lungometraggio. 
Distante sia dal cinema d’autore che dalle regole linguistiche del documentario d’osservazione, “I fantasmi di San Berillo” poggia su di una struttura drammaturgica inusuale, frutto del desiderio dell’autore di dare vita ad un soggetto inanimato: “Non ho cercato di raccontare la storia di San Berillo con la linearità di una narrazione logica (perché ogni nostalgia è patetica e ogni presa di posizione un torto alla veridicità degli eventi), ma ho tentato di ascoltare le pietre, le insegne residue delle vecchie attività dismesse da decenni e ancora aggrappate ai cornicioni delle porte spesso murate; ho cercato le storie nei numeri civici senza alcuna corrispondenza, aggrappate a pareti rimaste in piedi solo per metà, seguendo i segni residui della vecchia città e lasciando che si intrecciassero fra loro, come fossero delle eco disperse fra i vicoli”.
La mente va a “Sicilia di sabbia” di Massimiliano Perrotta, al reportage giornalistico di Pasolini (“La lunga strada di sabbia” ) che lo informava, all’intervista ivi contenuta allo scrittore Domenico Trischitta che narrava lo sventramento del quartiere. Ma anche a “Le Città Invisibili” di Italo Calvino (i cui frammenti pervadono il testo filmico), alla poetica di Goliarda Sapienza, il cui fantasma percorre le strade del quartiere con la voce potente e dolente di Donatella Finocchiaro, a Vitaliano Brancati, cantore di avventure erotiche in una Sicilia censurata. Fantasmi di ieri che dialogano in uno scambio muto con i personaggi martoriati di oggi: le pochissime prostitute rimaste che attendono ancora gli sporadici avventori sull’uscio; quegli “esseri mezzo donna e mezzo uomo”, custodi di segreti inconfessabili; Franco, anziano siciliano che rimembra la giovinezza felice vissuta fra i bordelli del quartiere; Vincenzo, abbandonato da moglie e figli, rinchiuso dentro un’esistenza solitaria nel nuovo quartiere del centro storico; Orazio, che si aggira nostalgico tra i muri scrostati scorgendo in ogni pietra la forza del ricordo di un momento intenso che mai più tornerà (“Uno certe volte può sembrare nostalgico, patetico, ma quali cazzi? È la dolcezza della memoria, il sapore di certi ricordi che ti fanno venire veramente un nodo alla gola, ti riportano a quando da bambini scoprivamo i luoghi, la curiosità della vita”).
L’immaterialità del ricordo si scontra con la fotografia realistica di una ferita ancora aperta nel volto della città siciliana, con la materialità di quei giochi politici che hanno pianificato lo smantellamento della vita del quartiere e la correlata costruzione di un abitato per l’accoglienza dei “deportati di San Berillo”: l’ISTICA (Istituto Immobiliare di Catania) e il piano Brusa (dal nome dell’architetto che lo realizzò), appoggiati dalla DC e lautamente finanziati da Stato, Regione, Banca Vaticana, ed altri. Infine la recente riqualificazione dell’area prima affidata alla supervisione architettonica di Massimiliano Fuksas, poi sostituito da Mario Cucinella. Come se i nomi importanti potessero, in qualche modo, restituire il chiacchiericcio e la vitalità di uno spazio ormai perduto, vittima del bigottismo e del progresso, quando invece un altro mondo, un’altra architettura sociale, hanno sostituto le rovine di uno spazio che non c’è più, trasfigurato in una meta-città descritta dalle parole di Goliarda Sapienza: “Le vecchie cartoline non rappresentano questa città com’era, ma un’altra città che per caso aveva lo stesso nome di questa”
Miglior documentario al Torino Film Festival del 2013, “I Fantasmi di San Berillo” ci ricorda quanto è viva la memoria e quanto è forte quel cinéma du réel italiano consacrato da TIR e SACRO GRA.
 
Elisa Fiorucci

Visioni Fuori Raccordo

Lunedì 10 Giugno 2013 14:01

Scadenza Bando: 30/06/2013 

 
C'è tempo fino al 30 giugno per effettuare la pre-iscrizione online alla 6a edizione di Visioni Fuori Raccordo Film Festival, il concorso cinematografico che si propone di ricercare, valorizzare e promuovere opere audiovisive capaci di favorire una riflessione sulle periferie del Paese, sulle sue aree marginali e sulle sue realtà “invisibili”.
 
Possono partecipare alla selezione per il concorso opere audiovisive di genere documentaristico realizzate su qualsiasi supporto e prodotte a partire dall’anno 2012, che affrontano da qualunque punto di vista storie, personaggi, situazioni, percorsi legati alle periferie italiane, alle aree marginali del paese e alle sue realtà “invisibili”, colte in una prospettiva storica, sociale, antropologica, urbanistica ed esistenziale.
Le opere audiovisive devono essere in lingua italiana o in versione italiana (anche sottotitolata).
 
L’edizione 2013 del Festival prevede un’unica sezione competitiva dedicata ai documentari di qualsiasi durata.
 
Bando e modalità di partecipazione consultando il sito www.fuoriraccordo.it
 

Temporary Road

Venerdì 02 Maggio 2014 15:38

Cantautore, compositore, regista, pittore. Franco Battiato nei suoi quasi cinquant’anni di carriera si è dimostrato in grado di mettere continuamente in discussione se stesso in una ricerca sperimentale che ha segnato la storia della musica italiana e non solo. Nel 1972 fu il primo musicista italiano a utilizzare il VCS3, un sintetizzatore analogico, di cui, all’epoca, vennero venduti solo due modelli. Uno a Battiato, l’altro ai Pink Floyd. 

Secondo una teoria sulla reicarnazione, abbracciata dallo stesso Battiato, un uomo può vivere diverse vite. In Temporary Road si tenta di raccontarne una: quella dell’artista tout court che tutti conosciamo.
 
Quello che ne esce fuori è un ibrido abbastanza anonimo fra documentario e film concerto. A essere anonima non è certamente la voce di Battiato, ma la mano degli autori, il giornalista Giuseppe Pollicelli e il regista Marco Tanni. Le parole del cantante, il suo misticismo e la personalità prorompente sovrastano e annientano qualsiasi tentativo di istanza autoriale. L’invisibilità di Pollicelli e Tani, i quali si mettono da parte lasciando spazio esclusivamente alla figura di Battiato, si rifa, in parte, alla tradizione documetaristica di Wiseman, ma, in questo caso, genera un’opera trascurata e trascurabile, in cui le parole del cantante si confondono indistinguibili in un getto unico e continuo di verbosità irrefrenabile. I racconti della vita di Battiato sono privi di un vero file rouge o di un momento memorabile che cela una qualche epifania rivelatrice. Nonostante la presenza di tre montatori (Pollicelli, Tani e Alessandro Latrofa) manca una certa abilità di montaggio mirata a strutturare le argomentazioni del protagonista. Questa mancanza, oltre a svalutare le argomentazioni stesse, fa precipitare lo spettatore in un vortice inesorabile di noia, dal quale riesce a salvarsi solo grazie alla musica memorabile del maestro Battiato. 
Temporary Road. (Una) vita di Franco Battiato, presentato prima fuori concorso nella sezione “Festa Mobile” del Torino Film Festival, poi durante la XIII edizione del RIFF (Rome Independent Film Festival), è un film acerbo, che non riesce a codificare in immagini l’enorme potenziale espressivo del suo protagonista. Così facendo tende ad assomigliare più a una semplice (e un po’ confusa) biografia televisiva. Niente da dire contro le biografie televisive, ma il cinema è un’altra cosa. 
 
Angelo Santini

Documentiamoci Film Festival

Mercoledì 09 Ottobre 2013 10:08

Scadenza Bando: 9 dicembre 2013

 
L'Associazione culturale Il Centro del Fiume indice  la prima  edizione del Festival internazionale del Documentario: Documentiamoci Film Festival che si terrà a Ceccano (Fr) nei giorni 23-24-25 Gennaio 2014.
 
 
Ogni autore può partecipare con una sola opera in concorso.
 
 
Il tema dell'edizione è libero e l'iscrizione al concorso gratuita, ogni autore dovrà inviare:
la scheda di adesione  compilata in ogni sua parte, stampata e firmata , nel
la quale attesti anche di essere titolare di tutti i diritti di utilizzazione del
filmato o di esser delegato dal produttore del documentario presentato, di conoscere in ogni sua parte il regolamento e di accettarlo incondizionatamente;
due copie del film in formato DVD  
I documentari non in lingua italiana dovranno essere sottotitolati in lingua italiana . Sulla custodia e sul dorso delle copie dovranno essere indicati, in stampatello, il titolo dell'opera, la durata, il nome dell'autore  e l’anno del documentario.
 
Le opere e le schede di adesione  dovranno essere spedite esclusivamente tramite posta
ordinaria o prioritaria al seguente indirizzo:
 
Associazione Il centro del Fiume c/0 Protani Diego
Via G. Matteotti 97
03023 Ceccano (FR)
 
 

PerSo - Perugia Social Film Festival

Mercoledì 18 Marzo 2015 15:05
Dal 15 al 19 aprile, all’interno del programma dell’International Journalism Festival di Perugia, ci sarà una rassegna di cinema documentario d’inchiesta curata dal PerSo, Perugia Social Film Festival, sotto la direzione artistica di Mario Balsamo.
 
 
“La parola chiave di questa sezione è prospettiva: prospettiva degli eventi; linea prospettica delle narrazioni.
 
Ciò vuol dire che si unisce l’identità del PerSo al necessario, urgente, racconto dei fatti.
L’identità del PerSo esprime il codice genetico proprio della cinematografia del reale che, sui grandi temi dell’attualità, cerca una profondità di campo per arricchirli, per contestualizzarli nella universalità delle storie, sconfinando sul terreno della Storia.
Questa sezione documentaria cerca di agganciare la cronaca ad una riflessione sull’animo umano, negli spazi che lo segnano e ne tracciano gli archetipi, nei fili che annodano paradigmi esistenziali.
L’esplorazione si rafforza attraverso l’espressività e la forza dei film scelti che utilizzano linguaggi creativi, a tratti sperimentali; film che, dalla ricostruzione dei fatti, approdano alla rappresentazione di passaggi tragici dell’umanità, dei suoi sentimenti e delle sue criticità.” Questo è ciò che afferma il direttore artistico nella presentazione del progetto.
Dopo un numero zero, svoltosi a settembre 2015, prenderà il via la prima edizione che declinerà i suoi concorsi alle tante, dense storie del sociale.
 
Per il programma dettagliato consultare www.persofilmfestival.it/ijf15-programma/

N-Capace

Sabato 29 Novembre 2014 21:22
Esterno giorno. Spiaggia. Eleonora Danco indossa un pigiama bianco. Impertinente e lagnosa come una bimba che aspetta con ansia il corso della digestione per tornare a fare il bagno. Poco più in là sua madre bardata di nero è in piedi sotto l’ombrellone. Una figura autoritaria ingenuamente minacciosa e ingombrante, come solo l’amore di una madre sa essere. 
 
Nella ricerca personale di un contatto con la madre morta, l’autrice e regista teatrale Eleonora Danco cerca di attingere da diversi sottosuoli umani per smentire o confermare sé stessa. Dalla natia Terracina a Ostia, passando per Tor Bella Monaca e San Lorenzo, intervista giovani o giovanissimi e anziani o anzianissimi, escludendo volontariamente la generazione di mezzo – la sua.
“Mi interessava lavorare sul vuoto” spiega la Danco “nel senso che sia i ragazzi che gli anziani non sono produttivi: i primi non ancora, i secondi hanno già dato. Noi invece siamo ancora dentro al vortice del fare, del realizzare, delle bollette”
Le indagini di Eleonora Danco ricordano in parte il viaggio pasoliniano di Comizi d’amore. In N-Capace però l’inchiesta paragiornalistica lascia spazio all’intimismo dell’autrice, che si mette letteralmente a nudo nel suo percorso per svegliarsi dal dolce sonno esistenziale.
L’uso extra-quotidiano che fa del suo corpo è spesso al centro di visioni contrappuntistiche, come il letto sfatto sulla banchina di una stazione ferroviaria o il bagno nella vasca piena di biscotti Gentilini.
Si ritaglia un personaggio, battezzato ironicamente Anima in pena, con indosso quasi sempre lo stesso pigiama bianco della scena iniziale; un po’ per rimarcare il tepore della sua condizione di immobilità e, allo stesso tempo, una neutralità nei confronti delle testimonianze raccolte nel suo viaggio.
Tra i molti intervistati c’è anche suo padre. L’uomo intimidisce, soprattutto di fronte alle domande sul sesso. Borbotta. Si rifiuta di rispondere. 
Ma quanto sono cambiate le abitudini sessuali negli ultimi 40 anni? 
Gli anziani della Danco potrebbero essere stati quei giovani intervistati da Pasolini nel ’65. Nonnine reduci da un passato patriarcale accettato passivamente (perché ai tempi era così) e autentici geni nazionalpopolari ingenuamente comici attingono dalla memoria del tempo perduto e si aprono con l’autrice come in una seduta di psicoanalisi. Persone semplici, come anche i giovani di borgata - pizzettari, aspiranti idrauilici e parrucchiere - che su determinati argomenti sembrano dimostrare lo stesso qualunquismo di quelli pasoliniani - le donne sono tutte troie o se mi nasce un figlio gay mi ammazzo -, questa volta però tutti accomunati da un categorico rifiuto dello studio e della cultura parruccona. La Danco rimane alla loro altezza, senza innalzarsi su un piedistallo di narcisismo intellettuale. Gioca con la loro fisicità in partiture sceniche determinate. Mette in risalto i loro piccoli tentennamenti in un inno alla naturalezza. Monta anche le riprese sbagliate, come in una sorta di backstage, per ripudiare ogni aspetto formalmente cinematografico. N-Capace è quasi un anti-film per la regista debuttante, che concepisce la sua opera prima più come un diario scritto di getto, pieno di appunti sparsi e cancellature. “Infatti io non ho pensato alle regole cinema” dice “non ho pensato a stare dentro qualcosa, ho solo pensato ad esprimermi come penso di saper fare attraverso un mezzo a me inedito”
 
Prodotto da Angelo Barbagallo - storico collaboratore di Nanni Moretti -, N-Capace è il primo film italiano in concorso nella sezione ufficiale del 32° Torino Film Festival, ma per adesso ancora in attesa di una distribuzione. 
 
Angelo Santini
Grande apertura con “In Jackson Heights” di Frederick Wiseman, Evento Speciale “Showbiz”
 
Inizia oggi a Roma fino al 15 novembre, tra il cinema Farnese Persol e il Cineclub Detour, l’ottava edizione del Visioni Fuori Raccordo Film Festival che si propone di promuovere e valorizzare i migliori documentari italiani dell’ultimo anno, con il contributo della Regione Lazio e il patrocinio del Comune di Roma.  
 
 
Dodici i documentari in CONCORSO tra cui 2 anteprime assolute e 5 anteprime romane che indagano il rapporto tra il cinema e la metropoli intesa in senso ampio con le sue migrazioni, molteplici identità e diversi confini.  Offrono uno sguardo sulla città e le sue aree periferiche: Habitat – Note personali di Emiliano Dante, MaldiMare di Matteo Bastianelli e Napolislam di Ernesto Pagano. Particolare attenzione viene riposta verso i luoghi della malattia e dell’emarginazione: La malattia del desiderio di Claudia Brignone, The Perfect Circle di Claudia Tosi e Roma Termini di Bartolomeo Pampaloni. Molti documentari scelgono la dimensione autobiografica del diario conoscitivo: Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte, Ogni preziosa giornata di Francesco Adolini; Samsara Diary di Ram Pace. Infine alcuni autori si concentrano sul ritratto umano tratteggiando un affresco corale in Uomini Proibiti di Angelita Fiore, un confronto individuale Dal ritorno di Giovanni Cioni o un incontro interculturale Doris e Hong di Leonardo Cinieri Lombroso. Tutti i registi presenteranno i documentari in sala.
FUORI CONCORSO il festival propone, nella sezione PANORAMA INTERNAZIONALE, due prime visioni, dopo la Mostra del Cinema di Venezia: “In Jackson Heights”, del regista statunitense Frederick Wiseman, Leone d’oro alla carriera nel 2014, documentario su una delle comunità etnicamente e culturalmente più eterogenee degli Stati Uniti e del mondo, che aprirà la kermesse l’11 novembre alle 20.30 al cinema Farnese Persol e “The Event” del regista ucraino Sergei Loznitsa (“I ponti di Sarajevo”, “Maidan”) sul fallito colpo di Stato del 1991 in Russia che portò alla fine del potere sovietico. 
Due gli EVENTI SPECIALI dopo la presentazione alla Festa del cinema di Roma, il docufilm “Showbiz” di Luca Ferrari, che presenterà il film in sala, prodotto da Kimera Film e  Valerio Mastandrea e due cortometraggi “Quasi eroi” e “Se avessi le parole” di Giovanni Piperno scritti e interpretati coinvolgendo i ragazzi della periferia romana con il progetto Tor Sapienza Film Lab. 
LA GIURIA che assegnerà il premio al miglior documentario  è composta da personalità che si sono distinte nella realizzazione, studio e divulgazione del genere cinematografico documentaristico. La regista  Valentina Zucco Pedicini, la direttrice della fotografia e documentarista Sabrina Varani e Fabio Mancini dal 2013 commissioning editor del programma DOC3 su RaiTre. Le attività dei giurati saranno riperse e i video trasmessi on-line per garantire la massima trasparenza dei lavori. “Visioni Fuori Raccordo appare quanto mai fondamentale – precisa il direttore Luca Ricciardi – nel contesto attuale italiano in cui, anche se il documentario sembra ormai sdoganato e finalmente considerato cinema tout court, sono sempre pochi e coraggiosi i distributori che si dedicano al genere e ancor meno gli spazi che gli riservano i palinsesti televisivi. A questo proposito –continua Ricciardi -  un festival come il nostro garantisce visibilità e riflessioni  attorno al grande sviluppo del documentario italiano degli ultimi anni e consente al pubblico di conoscere opere internazionali altrimenti assenti dal sistema distributivo”. 
 
Maggiori informazioni e il programma nel dettaglio consultando http://www.fuoriraccordo.it/

 

Da oltre un anno il Nuovo Cinema Aquila è stato chiuso dall'amministrazione comunale. I lavoratori sono stati lasciati a casa e il quartiere è stato privato di uno dei pochi presidi culturali sopravvissuto all'invasione dei locali, lontano dalla movida ignorante e dallo spaccio ad essa legata.
 
La chiusura è stata predisposta dagli ambienti di quella lobby culturale dominante che nel cinema e nella cultura vedono solo occasioni di profitto. 
 
Il Nuovo Cinema Aquila, sottratto alla “banda della Magliana” dalle lotte del quartiere, vorrebbe essere consegnato nella mani della “Fondazione Cinema per Roma” raggirando le norme per l’assegnazione tramite bando pubblico a una cooperativa sociale, non garantendo un funzionamento partecipato degli abitanti e la conseguente esclusione dalla programmazione di chi il cinema lo fa fuori dalle logiche commerciali e non fa parte delle cricche. 
 
SABATO 28 MAGGIO
Dalle ore 18 davanti al Nuovo Cinema Aquila e nell'adiacente via Ascoli Piceno: proiezioni, incontri e dibattiti.
 
 
 
Di seguito il calendario degli eventi:
 
 
dalle ore 18.30 - ASSEMBLEA PUBBLICA 
 
Dal 9 giugno  2015 è stata sospesa la programmazione del Nuovo Cinema Aquila. Capiamo perché,  cosa è successo nel frattempo e il danno subito dal quartiere insieme a chi ha creduto nel ruolo sociale di questo luogo (parteciperanno l’Associazione Città delle Mamme, responsabili della rassegna Cinemamme, Rosa Morea responsabile del cineforum per i centri anziani del quartiere).
L'assemblea si riunirà per chiedere:
 
Riapertura della sala preservando le caratteristiche sociali che ne determinarono la nascita attraverso processi trasparenti, partecipati e pubblici.
Reintegro dei lavoratori.
Programmazione popolare e attenta alle esigenze del territorio.
Cinema con prime visioni, autoproduzioni e circuiti non-mainstream
Possibilità di utilizzo della struttura da parte del quartiere.
Proiezioni mattutine per le scuole.
 
 
Dalle ore 20.15 FILM D’ANIMAZIONE
 
Proiezione di UN GATTO A PARIGI
 
di Jean Loup Felicioli e Alain Gagnol (Francia, 2010, 65')
candidato all’Oscar 2012 come miglior film d’animazione.
Sarà presente il distributore Pierfrancesco Aiello (P.F.A. Films).
 
 
dalle ore 21.30 ASSEMBLEA PUBBLICA
 
Incontro sulla chiusura del Nuovo Cinema Aquila e gli spazi a disposizione per il cinema indipendente italiano al quale parteciperanno tutti gli ospiti alle proiezioni e alcuni addetti ai lavori che hanno contribuito negli anni all’affermarsi del documentario, del cortometraggio e delle  nuove realtà (produttive e distributive) nella sala del Pigneto:
 
Mimmo Calopresti (regista, ‘La fabbrica dei tedeschi’)
 
Marco Luca Cattaneo (regista, ‘Amore liquido’)
 
Antonio Sinisi (produttore/attore, ‘Je Suis Simone’ ‘Piano sul pianeta (malgrado tutto, coraggio Francesco’)
 
Giovanni Saulini (produttore, ‘Mi chiamo Maya’).
 
dalle ore 22.30 DOCUMENTARI, FILM, CORTOMETRAGGI
 
Proiezione del documentario RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE LOTTE
 
a cura del Comitato di Quartiere di Villa Certosa (maggio 2016) sulle lotte delle consulte popolari nella zona sud est di Roma dal dopoguerra agli anni sessanta
 
Proiezione del film SENZA PACE
 
di Cinematografo Poverania (Italia, 2012, 90')
girato quasi interamente negli studi del Forte Fanfulla al Pigneto.
Saranno presenti Fabio Morichini di Cinematografo Poverania ed altre realtà vicine al Fanfulla, tra i quali il Daltonico Vision Studio.
 
Proiezione del cortometraggio VILLA GORDIANI
 
Proiezione del cortometraggio 19 GIORNI DI MASSIMA SICUREZZA
Sarà presente il regista Enzo De Camillis
 
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