Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » I Nostri Corsi » Visualizza articoli per tag: documentario
A+ R A-
Visualizza articoli per tag: documentario
Il documentario di Matteo Balsamo e Francesco Del Grosso sarà presentato alla prima edizione del Matera Film Festival sabato 26 settembre alle h 17, alla presenza dei registi e di una dei protagonisti, Andreja Restek.
 
 
Il film è tra i 6 documentari selezionati per il Concorso Ufficiale del “Matera Film Festival” e verrà proiettato all’interno del cinema “G. Guerrieri”, una storica sala cittadina, cuore pulsante della manifestazione.
“In prima linea” racconta la front line attraverso l’obiettivo di quattordici fotoreporter, che con i loro scatti hanno mostrato l’inferno, gli orrori, le sofferenze e le cicatrici indelebili della guerra. Le voci, le fotografie e i ricordi di uomini e donne diventano le tappe di un viaggio fisico ed emozionale tra passato e presente. Perché la prima linea non è solo dove si spara e cadono le bombe, ma ovunque si ‘combatte’ quotidianamente per la sopravvivenza.
 
Ecco i protagonisti di cui potrete ascoltare le testimonianze di una professione che ha lasciato - e lascia - i segni sulla loro pelle e che, attraverso questo documentario, non potrà lasciare indifferenti neanche voi: (in o.a.) Isabella Balena, Giorgio Bianchi, Ugo Lucio Borga, Francesco Cito, Mauro Galligani, Pietro Masturzo, Gabriele Micalizzi, Arianna Pagani, Franco Pagetti, Sergio Ramazzotti, Andreja Restek, Massimo Sciacca,
Livio Senigalliesi, Francesca Volpi. 
Il film è stato realizzato da Giotto Production in collaborazione con Merry-Go-Sound, la fotografia curata da Gianluca Sacchi, il montaggio da Roberto Mariotti. Le musiche originali sono state ideate da Paolo Fosso, mentre il suono è stato realizzato da Pablo Pulidori, Mauro Lafratta, Roberto Marelli e Daniele Guarnera si è occupato del sound design e mix. Motion design di Gabriele Tropiano.
 
 
 
Note di regia
 
"Quattordici fotoreporter di generazioni, stili, formazioni, approcci e provenienze differenti, sono diventati il nostro passe-partout per esplorare cosa ci può essere oltre la prima linea.
 
Attraverso le loro testimonianze raccolte lontano dai conflitti che hanno documentato fotograficamente nei decenni alla varie latitudini, il documentario parte dalle esperienze dei singoli nei ‘teatri di guerra’ per comporre un ritratto corale che affonda le sue radici nel perché di un mestiere così rischioso, ma al contempo importantissimo per il racconto della realtà. A spingerci è stata proprio la volontà di provare ad abbattere gli stereotipi presenti nell’immaginario comune, che li vede come dei superuomini e delle superdonne senza paura e mossi dall’adrenalina. Per farlo abbiamo scelto di rivolgere il nostro
sguardo verso l’essere umano che c’è dietro l’obiettivo della macchina fotografica, con tutto il carico di emozioni e di ‘cicatrici’ invisibili al seguito."
Matteo Balsamo e Francesco Del Grosso
 
Qui potete seguire tutti gli aggiornamenti:
 
 
 
Chiara Nucera

Selfie

Martedì 04 Giugno 2019 17:08
È possibile uscire da una realtà in cui siamo nati e cresciuti? E se riuscissimo ad uscirne, una parte di essa continuerebbe comunque a risiedere in noi? È possibile ammettere all’interno di un sistema codificato di regole sociali una deviazione dalla norma e con quali conseguenze?
Selfie è un’opera pura, scarna, disincantata, priva di fronzoli o artificiosità sceniche. Agostino Ferrente, dopo il prezioso Le cose belle, fa esattamente ciò che un documentarista dovrebbe fare: si mette da parte affidando ai protagonisti la narrazione di se stessi. Ne deriva un lavoro lontano dalle ipocrisie, al tempo stesso doloroso ma che, come ogni cosa sofferta, non esclude il suo lato romantico e dolce, perché sofferenza e amore sono spesso complementari. Lontano dai cliché a cui il racconto cinematografico ci ha ormai tristemente e noiosamente abituato, dalla vita di due sedicenni Alessandro, garzone di un bar, e Pietro, barbiere disoccupato che si tiene in allenamento con amici e parenti, e dalla loro forte e tenera fratellanza, nasce tutto. Loro i protagonisti, loro i registi, che con cellulare in mano riprendono le loro giornate. Nel corso  di una torrida estate napoletana ci rendono partecipi dei loro pensieri, decidono e ragionano su cosa sia giusto mostrare, se solo le cose belle del Rione Traiano, quartiere alle cronache per le tristi vicende di spaccio e criminalità, perché di quella realtà già se ne parla abbastanza, come dice Pietro, oppure tutta la verità, il bello e il brutto, come vorrebbe Alessandro. E si finisce col mostrare ogni cosa, compresi i sogni e le difficoltà dei suoi giovani abitanti che immaginano un futuro sperando di andare via da quel luogo, anche se gli affetti li legano o talvolta li spronano a lasciare, rendendosi amaramente conto che per alcuni, i predestinati, il balzo sarebbe paragonabile ad un sogno e basta. Pietro e Alessandro avevano un altro fratello acquisito, Davide Bifolco, ucciso dalle forze dell'ordine una notte, casualmente, perché nonostante il giovane fosse disarmato e di spalle, viene scambiato per un pericoloso ricercato e si fa fuoco su di lui, poi raccontando di essere maldestramente inciampati facendo inavvertitamente partire un colpo fatale. In realtà Davide era un ragazzo come tanti, la cui famiglia ora non trova pace e di cui un suo fratello di sangue si è lasciato morire per il dispiacere, dopo il secondo grado di giudizio che nega almeno un risarcimento morale per quella vita recisa. Un martire di un sistema malato, l’ennesimo ultimo che non trova giustizia, resta ad emblema di questa terra contratta alla barbarie la sua immagine dipinta su un muro del quartiere, a monito sempiterno che tutto ciò non dovrebbe mai accadere. 
Tanta verità ci arriva da una delle testimonianze raccolte da Pietro e Alessandro, quella di uno spacciatore che, incappucciato e dalla voce contraffatta, ci spiega il triste senso delle cose, quello che i veri criminali vivono  in quartieri bene circondati da lusso e opulenza, e spesso fanno parte delle classi sociali che contano, sono loro a muovere i fili della manovalanza dello spaccio, che diventa foriero di semplici operai del mercato della droga, per la maggior parte dei quali unica via (facile) per la sopravvivenza. È la logica del sistema in cui non c’è niente da stupirsi. Fin da quando vengono al mondo, maschi e femmine hanno ruoli prestabiliti, gli uomini delinquono, le donne tengono la famiglia in piedi e aspettano mostrando così il rispetto al maschio a cui si sono legate. È tutto ben chiaro e tristemente cristallizzato. Ma in ogni sistema c’è sempre chi tende ad uscire dalla regola, c’è chi sogna e chi forse con gli strumenti adatti a furia di sognare ne uscirà.
Qui non c’è giudizio, c’è solo mostrare per comprendere e far luce, facendo della conoscenza una base per combattere ignoranza e pregiudizio, delle classi sociali più elevate verso le ultime, di quel “noi” confezionato e stigmatizzante nei confronti sempre di un “loro”, perché anche all’interno di quel “loro” esisteranno sempre differenze sostanziali e alternative valide.
 
Chiara Nucera

Raffa

Mercoledì 27 Dicembre 2023 11:48
La Pelloni e la Carrà. E’ su questa dicotomia che l’opera diretta con passione e affetto da Daniele Luchetti si regge saldamente in piedi, sintetizzando in tre puntate parte della vita e della carriera di Raffaella Carrà. La forma è quella di una ricostruzione in ordine cronologico, partendo da un’infanzia complicata segnata indelebilmente dall’abbandono di un padre che da quel momento in poi non farà mai più parte della vita di Raffaella. Una famiglia quella della Pelloni, composta quindi da donne che dimostrano tanta premura quanta rigida disciplina,  una tra tutte la mamma, figura severa e critica. A Bellaria, la giovane Raffaella muove i primi passi tra concorsi di bellezza accompagnata sempre da quella continua ricerca di un modo per esprimersi, che non si concretizza né con la danza né con il cinema. Ma dove non arrivano questi due mondi, arriva la televisione che travolge e viene travolta dall’energia di questa figura capace come nessuna mai di ipnotizzare tutti con corpo e sguardo. Un’epifania a cui seguirà l’inesorabile e incontrollabile ascesa verso un successo planetario che farà di lei il simbolo del peccato e della tradizione, dell’evoluzione del costume di un paese, il termometro di una rivoluzione sessuale che scoppierà a breve e violentemente. La scrittura immediata e limpida di Cristiana Farina (Mare Fuori), disintegra ogni genere di sovversione documentaristica, muovendo nel più classico degli impianti, senza però cedere il passo ad un eccesso encomiastico. Ai materiali di repertorio (sono circa 1500 immagini) tra cui spiccano interviste inedite alle donne della famiglia Pelloni, al nipote e a Barbara Boncompagni, figlia di Gianni, vengono affiancate scene di finzione evidentemente usate per stemperare quel senso di venerazione da parte di Luchetti, ma che forse poco giocano a favore dell’opera e molto guastano. Al contrario, un profondo innesto sul piano emozionale è rappresentato dalle sequenze in cui alcuni manichini con i vestiti più rappresentativi ci appaiono nei luoghi del cuore di Raffaella, con toccanti riferimenti a ricordi ed episodi della sua vita. La voice over riempie quello spazio lasciato vuoto, mentre quegli abiti di scena diventano significante e baluardo di un divismo mai snob, sempre diretta espressione del pop. A ridimensionare l’enorme successo e le conseguenze che esso porta con sé c’era il suo doppio, rappresentato dalla Pelloni:  quella concretezza e quel vigore tipicamente romagnoli che hanno sempre fatto di Raffaella una donna risoluta. Daniele Luchetti riesce a misurare i due intenti, ossia quello di ripercorrere le tappe della vita di una donna fragile e possessiva e la sua scalata verso il successo diventando simbolo di una lunga battaglia di rivoluzione e affrancamento dal perbenismo dell’industria televisiva italiana. Una serie travolgente che comunica a tutti, alle generazioni che ricordano e a quelle che non erano ancora nate. E per questo forse, l’unico vizio che gli si può contestare è l’imperdonabile brevità. 
 
 
Giada Farrace 
 

Ghost Detainee – Il caso Abu Omar

Lunedì 05 Febbraio 2024 09:22
Il documentario Ghost Detainee – Il caso Abu Omar incentrato sulla figura dell’imam della moschea milanese ci riporta all’anno 2003. Un anno fondamentale per la lotta al terrorismo internazionale.  Le truppe americane entrano in Iraq. Saddam Hussein è il ricercato numero uno e ogni pretesto è buono per vendicare l’attentato alle Torri Gemelle del 2001.
 In questo contesto avviene il rapimento dell’Imam della moschea milanese di viale Jenner Abu Omar.
 Rapimento che viene acclarato sia stato compiuto ad opera di agenti della CIA con la collaborazione anche dei servizi segreti italiani. E’ la politica attuata dagli Stati Uniti D’America della “rendition” ossia sequestrare un nemico e portarlo in Paesi dove i diritti umani sono palesemente violati facendogli subire vessazioni e torture di ogni genere. Il documentario ricostruisce con dovizia di particolari e senza paura di venire smentiti tutta la vicenda che ha portato l’emersione della verità attraverso interviste ai reali protagonisti della vicenda.
 Siamo edotti circa un attacco grave che ha subito la democrazia del nostro Paese che, per la prima volta, è stato messo in atto da una potenza alleata. Un incidente che usurpa la sovranità del nostro Stato che è inviolabile da chiunque. La vicenda ha anche molti risvolti sconcertanti a partire dalla perdita di tempo iniziale circa l’accertamento della dinamica dei fatti che potesse aver portato al rapimento di un personaggio considerato non pericoloso sebbene attenzionato dalla Procura per la sua attività di guida della comunità islamica sul nostro territorio ma soprattutto non sospettato di appartenere a gruppi terroristici o a cellule dormienti della jaad. Le acquisizioni delle celle telefoniche vengono consegnate alle autorità inquirenti che le hanno richieste con un range temporale sfalsato addirittura relativamente all’anno rispetto a quello incriminato. Ben quattro governi italiani di colore politico differente guidati rispettivamente da Berlusconi, Prodi, Monti e Letta non hanno mai avuto la forza e il coraggio di andare fino in fondo facendo giustizia e condannando a pena certa coloro i quali si erano resi protagonisti di questi reati gravissimi contro lo Stato italiano. Ci si è sempre appellati alla Ragion di Stato, al segreto che avrebbe compromesso la sicurezza del nostro Paese e non si è potuto procedere nei confronti degli appartenenti all’intelligenze italiana collaborante con gli agenti della CIA. Per questi ultimi, tutti condannati non è stata mai presentata formale richiesta di estradizione e di fatto non hanno mai pagato per le conseguenze nefaste delle loro azioni. Solo due agenti catturati in altri Stati avrebbero potuto essere assicurati alla giustizia ma in questo caso si è preferito utilizzare lo strumento della grazia. Abu Omari è stato risarcito per le torture inflitte ingiustamente solo dal governo italiano e sebbene condannato per altri reati anche per lui non si è mai richiesta l’estradizione.
 Una vicenda buia che interroga la società civile sul significato più alto e profondo di democrazia, di tutela dei diritti umani, di giustizia e legalità e ci espone come Occidente a critiche feroci di chi insinua che il nostro ordinamento giudiziario ha falle e non risulta migliore se non riesce a punire chi persegue i suoi nemici con gli stessi aberranti metodi che a parole si professa di voler condannare e provare a sconfiggere.
 La regia è molto attenta e scrupolosa e, attraverso un montaggio molto ben calibrato, ci conduce al nucleo della verità senza annoiare, senza appesantire la narrazione dei fatti, tenendo sulla corda e appassionando alla storia che aveva avuto un grande risalto mediatico per venire progressivamente eclissata, con la precisa volontà di farla rimanere ben sepolta e, grazie a questo insabbiamento, innocua.
 
Virna Castiglioni 
 
 
Pagina 3 di 3