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The Animal Kingdom

Giovedì 13 Giugno 2024 09:52 Pubblicato in Recensioni
In “The Animal kingdom” assistiamo ad un crescendo di tensione e adrenalina che sfocia in una fuga che è anche ricerca della salvezza ma soprattutto accettazione e comprensione dell’altro che non dev’essere necessariamente simile o uguale a se stessi per poter assurgere al diritto di vivere nel nostro stesso ambiente. Francois ed Emile sono un padre attento e premuroso e un figlio adolescente con la voglia di disubbidire per trovare la propria strada. La figura materna è assente perché ricoverata in seguito ad una strana mutazione che la rende sempre più simile ad un animale selvatico e potenzialmente pericoloso. Non è l’unico caso ma una tendenza preoccupante e oscura che interessa una moltitudine di persone che vengono cacciate, assediate, contrastate, catturate e studiate affinché si possa arrivare ad una spiegazione scientifica che consenta di trovare una terapia o perlomeno mettere un argine a questo dilagante, preoccupante e inspiegabile fenomeno. Forse questa cura non è necessaria e si potrebbe trovare un modo per convivere e capire il diverso che attacca solo quando non ha scelta. Sono tanti i temi che si intrecciano in questo film e sono ben indagati per buona parte del film. La sceneggiatura fa un attimo lavoro di collegamento fra il tema fantastico, irreale e quello realistico.
 La vera nota stonata di tutto l’impianto registico è la corsa sfrenata ad un finale indefinito e incerto, sebbene non palesemente aperto, che fa crollare un castello di carte meticolosamente costruito e produce inevitabilmente delusione.
 Vincenti le riprese di lunghi piani sequenza delle azioni di fuga, delle battute di caccia che vedono coinvolti gli umani e i mutanti in una lotta impari perché le nuove creature sono aggressive solo perché spaventate e incapaci di comprendere come riuscire a sopravvivere in un mondo diventato per loro ostile. 
 Assistiamo ad una immersione nella natura più selvaggia che fa da nascondiglio e tana per i nuovi esseri ma che diventa pericolo e trappola per coloro che non sono abituati al suo contatto diretto.
 Fantastici gli interpreti principali che creano una forte complicità e contribuiscono a restituire una storia incredibile con la stessa naturalezza che potrebbe avere un racconto di ordinaria quotidianità.
 Non ci sono tempi morti e lungaggini eccessive. Una dose calibrata di tensione permea tutta la pellicola catturandoci dal primo frame. Non si assiste a nessuna battuta d’arresto che avrebbe fatto correre il rischio di far pensare ad una incongruenza della storia, ad una forzatura eccessiva. Il racconto, invece, nel suo surrealismo si mostra alquanto naturale imprimendo una particolare logicità anche a fenomeni del tutto irrazionali. E’ un film che prende in prestito il mondo fantastico e lo incastra alla perfezione alla storia ordinaria di una famiglia che si trova alle prese con un problema occorso ad un familiare, con la sventura che può colpire all'improvviso e dividere gettando sconforto e paura laddove prima c’era armonia. 
 
Virna Castiglioni 
 
 

Arrivederci Berlinguer

Lunedì 10 Giugno 2024 09:38 Pubblicato in Recensioni
Che non ci sia bisogno di raccontare chi è stato Enrico Berlinguer e che cosa abbia rappresentato nella storia recente del nostro Paese è subito evidente dalla scelta di non parlare di fatti e avvenimenti precisi che lo abbiano riguardato nella sua fulgida carriera. Le tante battaglie, le lotte, le conquiste di un leader carismatico e capace non sono richiamate alla memoria ma lasciate intendere o ricordare per chi ha vissuto in prima linea quegli anni e si è speso per gli stessi ideali. Il documentario è un omaggio all’uomo dietro al personaggio politico arcinoto di cui quest’anno si celebra il centenario dalla nascita in quella meravigliosa terra di Sardegna e già 40 anni dalla prematura scomparsa che ha lasciato orfani un’intera generazione e addolorati e spaesati una moltitudine di compagni e compagne al suo fianco per la difesa di diritti fondamentali. Focus del racconto sono i suoi funerali che videro una partecipazione di pubblico straordinaria e lasciarono un’eco di sincero dolore. Questo politico illuminato aveva davvero anteposto il bene pubblico della Nazione all’interesse personale. Significativa la scelta della colonna sonora che parla al posto del silenzio che, per buona parte del documentario, si sceglie di tenere. “Dirti grazie”, ultima canzone di Massimo Zamboni che congeda lo spettatore è anche il saluto finale dei tanti lavoratori che hanno visto nel compagno Enrico un esempio, una guida, un faro, una luce.
 
Le poche voci presenti sono sempre quelle della gente comune che ha visto in questo uomo colui che poteva prenderli per mano e permettere loro di farsi sentire per ottenere un cambiamento migliorativo della loro condizione. Enrico statista era ed superfluo da raccontare per le sue gesta politiche. Si sceglie di rappresentarlo principalmente come amico al pari di chi si riconosceva negli ideali portati avanti con passione e grande slancio. Questo documentario ha decisamente un’anima rock. Anche il commiato a questo leader politico per tanti aspetti può essere accostato per dimensioni ad un concerto di una band planetaria. Il pugno chiuso, le rose rosse, le bandiere a formare un fiume sono i simboli di chi rimarrà a imperitura memoria e testimonianza di un passato che non si scorge minimamente la possibilità che possa tornare in auge eppure il titolo è un saluto che è anche un augurio come tutte le volte che siamo costretti a separaci da chi amiamo, stimiamo e ammiriamo e quell’arrivederci è anche un ponte che si spera di poter ripercorrere per incontrarsi di nuovo a metà strada con qualcuno che ha preso il testimone e lo porta avanti con fierezza e determinazione.
 
 
Virna Castiglioni  
 
Si è svolta il 27 maggio, al Multisala LUX di Roma l'anteprima di "Colpevole", il nuovo thriller psicologico diretto da Gianni Leacche e prodotto da Mauro Norcia per Welcome Film. Il film, tratto dal libro di Gabriella Grieco, vincitore della seconda edizione del Premio Letterario "Una Storia per il Cinema", ha riscosso grande successo, catturando l'attenzione del pubblico e della critica. La proiezione, che ha visto la partecipazione del cast al completo – Monica Carpanese, Federico Tocci, Benedicta Boccoli, Pietro Rebora, Gianni Rosato e Claudio Botosso – ha lasciato gli spettatori con il fiato sospeso dall'inizio alla fine.
 

Monica Carpanese, che oltre a interpretare il ruolo principale ha curato il soggetto e la sceneggiatura, ha dimostrato ancora una volta la sua poliedricità artistica unita ad un'innata e affascinante classe recitativa. La trama avvincente vede Isabella, risvegliatasi da un coma profondo in una clinica a lunga degenza, sequestrare due anni dopo tre persone in un commissariato, minacciandole con cinture esplosive comandate da un dispositivo a cessazione di pressione. Il Commissario Elisa Frangipane, interpretata con intensità, cerca di gestire la situazione a stretto contatto telefonico. Il motivo di questo gesto estremo rimane un mistero fino alla fine, con la tensione che cresce scena dopo scena. La serata è stata impreziosita dalla presenza di numerosi ospiti del mondo del cinema e della cultura, rendendo l'evento un appuntamento di grande rilievo nel panorama cinematografico italiano. "Colpevole" non è solo un film, ma una riflessione intensa sulle sfumature della giustizia e della vendetta, un viaggio nei meandri della mente umana e nelle motivazioni che spingono a gesti estremi. Grazie alla sapiente regia di Gianni Leacche e all’interpretazione magistrale di Monica Carpanese, il film si preannuncia come uno dei titoli di punta della stagione cinematografica. L'anteprima ha confermato le aspettative, offrendo una serata ricca di emozioni e colpi di scena, e promettendo di lasciare un segno indelebile nel cuore degli spettatori.
 

 

Ripley

Martedì 04 Giugno 2024 09:05 Pubblicato in Recensioni

Adattare di nuovo una storia che il grande pubblico conosce a menadito oltre che essere un azzardo sconsiderato è anche una sfida nei confronti dei critici più severi. Ripley è la prova, pertanto, di come a volte sia necessario oltrepassare i pregiudizi nei riguardi della serialità e di quel sistematico spirito rimodellante che è il tratto distintivo di Netflix. Diretta da Stevan Zaillian, regista di Tutti gli uomini del re e The night of, la miniserie che ha come protagonista il discusso e controverso Tom Ripley si sviluppa in otto episodi giocando inizialmente alla sottrazione per poi decollare senza indugi verso un intreccio pieno di ritmo. Dietro la camaleontica e oscura maschera di Ripley si cela il volto garbato e confortante di Andrew Scott, in questo caso perfetto se si parla di phisique du role e di un personaggio come quello di Tom Ripley, sleale e irrazionalmente beffardo. La vicenda ha inizio nella New York degli anni Sessanta, dove Tom Ripley vive alla giornata gestendo piccoli affari loschi fatti di truffe e lavoretti sporchi ai danni del prossimo. Un giorno all’interno di un bar, Tom viene avvicinato da un investigatore privato il quale gli fa un’offerta allettante scambiandolo per un’altra persona. Ripley dovrà recarsi in Italia per rintracciare il figlio di un facoltoso uomo d’affari, fuggito dalla noiosa routine alto borghese in cerca di ozio e maggiore libertà nel belpaese. Giunto nella beata Costiera Amalfitana, il protagonista entrerà in contatto con un ambiente scandito da agi e benessere finendo per diventare amico del giovane rampollo americano, ma soprattutto ritrovandosi poi a gestire quella che diventerà una situazione di inganni e omicidi. Sebbene i primi episodi denuncino un certo indugio nella descrizione più che nell’esecuzione, cedendo il passo sovente a sequenze troppo estese e perse nel contorno (di indubbio incanto), la serie, procedendo per gradi, riesce a disporre tassello dopo tassello un perfetto enigma dosando con dovizia di particolari digressioni e grandi momenti di impatto emotivo. Impossibile rimanere indifferenti alla fotografia curata da Robert Elswitt, il quale ha da subito accordato la scelta del bianco e nero fortemente voluta da Zaillian con l’intenzione di stabilire come punto focale dell’inquadratura il volto di Scott, in questo caso interiorizzato dall’immagine.  Una scelta stilistica brillante e addizionata che ci culla in un’atmosfera onirica in netta collisione con le sequenze più crude e spietate. Menzione a parte merita la prova di Andrew Scott, mai scelta più adeguata, qui al suo splendore massimo, abile come pochi nel saper transitare con disinvoltura da vittima a carnefice, donando al personaggio quel chiaroscuro morale che fa da contraccolpo all’estrema difficoltà di farcelo odiare completamente.

 

Giada Farrace