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Visualizza articoli per tag: francesca tulli

Money Monster

Venerdì 13 Maggio 2016 10:07
Jodie Foster si conferma una notevole regista. Dopo Mr.Beaver del 2011 e le  collaborazioni con la tv, per cui ha diretto anche un episodio di House of Cards (l numero 22), torna agli intrighi di potere con un cast stellato. Il programma è Money Monster,  il nome (del conduttore) è Lee Gates (George Cloney),  la regista è Patty Fenn (Juilia Roberts). Ogni giorno si occupano dell'andamento altalenante e imprevedibile della borsa. Lei autentica e disciplinata è stanca della collaborazione, scrive per lui i testi e gli suggerisce le battute con il microfono ma Lee è una testa calda, un affabulatore, ammalia gli spettatori paragonando i numeri alle forme di una donna, suggerisce le combinazioni vincenti, le sue previsioni sembrano essere sicure e infallibili, ma non lo sono. Durante una diretta, nello studio dalle retrovie irrompe Kyle (Jack O'Connell), un giovane terrorista a volto scoperto, con una pistola spianata e l'interruttore su una bomba che può far saltare in aria tutti da un momento all'altro. Tutta la vicenda è un  thriller ad alta tensione in cui le parti si ribaltano continuamente. Lo spettatore avverte la claustrofobia dello studio sotto assedio. Per due ore la paura di annoiarsi per lo stesso scenario viene scongiurata dalla sceneggiatura, un mix di humor e colpi di scena. L'attentato si trasforma in un pretesto per smascherare un gioco di soldi prevedibilmente più grande. Con una lunghissima gestazione dal 2012, la regia è stata affidata alla Foster nel 2014  il film è stato prodotto da quattro case differenti: Smokehouse Pictures, Tristar, Village Roadshow e Sony Picture. Il film è stato presentato (in questi giorni) fuori concorso a Cannes 2016. Negli Stati Uniti le tematiche che riguardano la vendita e la perdita delle azioni sono state affrontate al cinema su diversi piani. Se The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (2013) mostrava un drogato Paperon De Paperoni pieno di fica (memorabile DiCaprio che cercava di afferrare il telefono con la stessa molla con cui voleva raggiungere l'agognato Oscar) qui viene mostrata l'altra faccia della medaglia. La Tv come strumento di intrattenimento, la (possibile) morte in diretta che attrae milioni di persone. La macchina folle che spinge lo spettatore a vedere "come va a finire" con l'apparente distanza creata del tubo catodico. Quanto vale la vita di una persona? rispondete pure con comodo dal divano di casa vostra. 
 
Francesca Tulli

X Men: Apocalisse

Venerdì 20 Maggio 2016 11:23

Ambientato dieci anni dopo gli avvenimenti di Giorni di un futuro passato, Bryan Singer dirige il nono film degli X-men. Questa volta la minaccia viene dell'antico Egitto, trattasi di En Sabah Nur (Oscar Isaac), secondo le leggende il primo dei mutanti. Sfuggito alla morte è in grado di rigenerarsi impossessandosi dei corpi di altri mutanti di cui assimila le abilità diventando invincibile. Sepolto sotto i resti della sua piramide, ora si risveglia per ripulire il mondo dai deboli e cerca tra i potenziati quattro "cavalieri" per la sua "apocalisse". Charles Xavier (James McAvoy) continua ad insegnare e dirigere la  scuola per "Giovani Dotati". Tra le nuove leve Scott Summers (Tye Sheridan) e una giovanissima Jean Grey (Sophie Turner) ignari del proprio futuro. Mistica (Jennifer Lawrence) si è allontanata da tutti ma fa la sua parte, alla ricerca dei mutanti più bisognosi di aiuto. E' considerata un'eroina ma rifiuta questo appellativo e le sue vere sembianze. Magneto, Erik Lehnsherr (Michael Fassbender) il ricercato numero, ha cambiato vita, si nasconde in Germania con una falsa identità. Ambientato nel 1983, i personaggi indossano i costumi dei fumetti classici, mettendo fine alla polemica  (iniziata nel 1999 ) dove non si capiva perché al cinema il costume di Spiderman da Uomo Ragno potesse funzionare ma non le tutine sgargianti degli X-Men, un esempio per tutti: Psylocke combatte con la sua discinta tutina aderente viola con i tacchi, ridicolo? no riuscitissima personificazione della carta stampata. Apocalisse (criticato da tanti) è il classico villain di vecchio stampo, sete di potere, deliri di onnipotenza, battute teatrali, entrate in scena inopportune, incline a borbottare per ogni piccolo fallimento è esattamente ciò che il regista voleva che fosse, Oscar Isacc recita con gli occhi un fumettone, non doveva essere diverso. Il background di Magneto invece così come le sue scelte nel film destano perplessità. Aggiungere dramma e dolore a un personaggio sempre in lotta con se stesso, sempre sul confine di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è superfluo, chi sopravvive ad Auschwitz non ha davvero ragione di trovare altre motivazioni per odiare l'umanità. Girato con 234 milioni di dollari, gli effetti e la musica di Jhon Ottman (che ripesca dagli anni 80) ne fanno un blockbuster epico, con una sceneggiatura meno ricca rispetto al precedente. Innegabilmente i personaggi vecchi e nuovi hanno tutti il giusto spazio d'azione, la loro storia è ben raccontata, se questa era la sfida del regista è stata vinta. 

 
Francesca Tulli

Alice attraverso lo specchio

Giovedì 26 Maggio 2016 13:32

Il capitano Alice, torna da un fruttuoso viaggio alla scoperta della Cina. Se questo incipit non vi sembra appropriato, non avete visto il primo film "Alice in  Wonderland" di Tim Burton. "Alice Attraverso lo Specchio" di James Bobin segue la tradizione di fiabe stravolte per essere adattate alle esigenze del pubblico più infantile del ventesimo secolo, non tenendo conto neanche in minima parte delle rocambolesche avventure di "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò" libro scritto nel 1871 da Lewis Carroll. Alice (Mia Wasikowska) torna in Inghilterra da sua madre, dopo un lungo viaggio, si presenta ad un ricevimento indetto dal suo ex (antipatico) pretendente, con un vestito orientale bizzarro, piena di entusiasmo. Viene riportata con i piedi per terra dalla situazione che le si presenta davanti: la madre sta per vendere la sua nave in cambio di soldi che possono migliorare la sua situazione economica, a lei invece viene proposto un noioso lavoro di ufficio come ad una donna si conviene. Disperata, cerca rifugio nelle grandi sale abbandonate del palazzo, incontrando il Brucaliffo (ora farfalla) che le mostra un'alternativa e l'impossibile diventa possibile. Saltando nello specchio magico, torna nel Paese delle Meraviglie dove, il Cappellaio Matto (Jhonny Deep) è convinto di poter far tornare in vita la sua famiglia, Alice gli fa pensare che questo non sia possible e lo riduce ad uno stato catatonico. E' adulta non crede più, non è più quella di "prima". Sconfortata, viene a sapere della Regina Bianca (Anne Hathaway) che si può tornare indietro nel tempo  e cambiare le cose, facendo visita al Tempo stesso in persona (Sacha Baron Choen) e parte per un viaggio  alla ricerca della cronosfera l'oggetto magico che permette di viaggiare attraverso le epoche sperando di portare pace al Cappellaio. Helena Bonham Carter riprende il Ruolo della Regina di Cuori, ossessionata dal taglio delle teste, il suo personaggio viene in parte caratterizzato in parte sminuito. Evitabili inseguimenti da videogioco e fastidiosi animaletti digitali, sono un sopportabile compromesso per un seguito apprezzabile, una bella avventura fantastica, ricca di abiti mozzafiato e castelli incantati. Da una buona lettura dell'importanza del tempo, nemico e amico dell'uomo. Se il primo film era una delusione, il classico esempio di regista perfetto per una storia nelle sue corde che riesce a sbagliare il tiro, questo risulta sotto molti aspetti più godibile. Libero dall'ingombro della fiaba originale (se almeno non teniamo conto del titolo), deve fare i conti con gli errori commessi dal predecessore ma nel complesso risulta un più coerente film per ragazzi, con qualche buono spunto nella sceneggiatura nonostante sia sempre opera di Linda Woolverton, capace di scrivere capolavori come La Bella e La bestia (1991), Il Re Leone (1994),  fallimenti come il primo Alice (2010) e Maleficent (2014). Dà una grande lezione universale: "Il passato non si può cambiare, ma dal passato si può imparare".

 
Francesca Tulli

Warcraft - L'Inizio

Martedì 31 Maggio 2016 11:39
Orchi, incantesimi, portali magici, armature e spade sfavillanti: questo è Warcraft, saga videoludica statunitense iniziata nel 1994. Duncan Jones oggi  riprende il plot del primo capitolo, lo strategico Orcs & Humans, lo farcisce di elementi presi dai romanzi correlati e dal famoso MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game) e ne fa un film. Il mondo degli Orchi sta morendo, Durotan (Toby Kebbell) capo saggio in attesa del primo figlio, sogna un futuro migliore, egli è buono generoso e  fedele alle tradizioni. Gul'Dan (Daniel Wu) suo contrario, nascosto dal suo oscuro matello, è potente e vile, usa la magia nera del Vil, una terribile fonte distruttiva che si alimenta delle anime dei vinti per guidare attraverso un portale magico la sua orda alla conquista del pacifico mondo di Azeroth. Llane Wrynn (Dominic Cooper), Re degli uomini, minacciato forma una squadra (improbabile) a difesa del regno composta dal valoroso cavaliere Lothar (Travis Filmmel), lo stregone Guardiano Medivh (Ben Foster), la bella mezzosangue Garona (Paula Patton) e perfino lo studioso nerd, giovane e inesperto Khadgar, colto a fare ricerche inopportune negli obitori inseguendo l'origine del Vil. Le alleanze (tra giocatori reali) sono la forza delle dinamiche che determino il successo di una missione all'interno del videogioco della Blizzard, non c'è da soprenedersi se l'armata Brancaleone è così eterogea e scompattata. Con la sovrabbondanza di CGi negli altri blockbuster, siamo ormai assuefatti ad uno standard: attori che vengono trasformati dalla Motion Capture in creature di altri mondi e faticano a recitare accanto ai pupazzi (realistici) e alle controparti in carne ed ossa, qui il regista (trattandosi della trasposizione di un videogioco che nasce digitale per definizione) ha intelligentemente adottato un'altra strada, si è servito spesso della  Industrial Light and Magic, per ricreare gli Orchi, senza l'ingombro e le limitazioni delle movenze umane, ha fatto a meno della Motion Capture e ha ricreato negli alter ego le espressioni degli attori interamente da zero, permettendogli di assumere  qualsiasi innaturale posizione e assetto da combattimento. Abbiamo il primo caso (moderno) in cui non è la computer grafica ad essere supporto della recitazione tradizionale ma è il contrario, la sfida è stata quella di rendere gli umani reali all'interno di un contesto totalmente alienante, la forza è la credibilità degli attori che recitano senza difficoltà (o quasi) credendo in quello che fanno con armature ingombranti blu ed oro, pelle verde e formule magiche. Scenografie perfette, musica epica di Ramin Djawadi, non manca dell'ironia del gioco (gli esperti riconosceranno se stessi nella scena della pecora!), getta presupposti per un seguito (le altre razze sono solo di contorno e il finale è aperto). Deus Ex Machina non scontati e telecamere da gioco strategico fanno perdonare la noia di alcune sequenze di assetto, cutscene all'inerno di un videogioco non interattivo che incuriosice i neofiti e strizza l'occhio agli appassionati. Non è il primo caso di videogioco al cinema ma non ha nulla di già visto nei suoi predecessori, il giappone ha provato con team di sviluppo diversi a rendere (senza successo) al cinema la meravigliosa e prolifica saga di Final Fantasy, The Spirits Within (2001) non si serviva di live action, Advent Children era un breve seguito del settimo amatissimo capitolo, più di una aggiunta al gioco meno di un film completo. Questa volta lo stampo USA si vede con tutte le sue classiche e lodevoli particolarità e le  esagerate defezioni. Se il fantasy non fa per voi state alla larga altrimenti benvenuti ad Azeroth!
 
Francesca Tulli

The Boy

Martedì 07 Giugno 2016 22:09
Diretto da William Bren Bell, giovane regista statunitense al suo quinto film Horror, The boy è un classico pieno di cliché che intrattiene più che spaventare. Greta Evans (Lauren Choen) viene assunta come baby sitter da una coppia di anziani inglesi.  Mister e Mrs. Heelshire (Jim Norton e Diana Hardcastle) vivono in uno spettrale maniero vittoriano nel bel mezzo del nulla, tuttavia questo non spaventa la ragazza a cui servono soldi. Il primo giorno di prova le vengono illustrati i suoi compiti: durante il soggiorno della coppia all'estero dovrà badare a Brahms, l'adorato cocco di casa, viziato come pochi, non vuole essere mai lasciato solo, desidera ascoltare la musica classica ad altissimo volume e il bacio della buona notte prima di addormentarsi.  Nulla di troppo impegnativo considerando che Bramsy non è un bambino, ma una bambola di porcellana. A detta della "madre" il signorino ha "licenziato" tantissime baby-sitter prima di lei. Greta inizialmente teme di approfittarsi di una coppia di pazzi ma a buon cuore accetta le condizioni. Rimasta sola come da contratto, comincia a sentire il peso della solitudine, fino a  quando nella sua vita entra l'uomo delle consegne, Malcom (Rupert Evans) il bravo ragazzo che non ha mai avuto e...le cose cominciano ad accadere. La bambola è davvero viva? è uno spettro? è il figlio che Greta non ha mai avuto? le domande si susseguono. La risposta è nei film di genere. Il film è costato (solo!) 10 milioni di dollari, ed è stato girato a Victoria nella Columbia Britannica presso il "vero" castello di Craigdarroch. Lauren Choen è tra le protagoniste della serie AMC The Walking Dead, diventata famosa per il ruolo di Meggie Greene sopravvissuta nell'apocalisse Zombie, qui se la cava con qualche sguardo allibito da manuale. L'accudire come un bisogno primario, gli errori del passato che si riversano sul presente, classici riproposti ancora con al centro il fascino e l'inquietudine delle bambole di porcellana, incubo di molti, passione e oggetto di culto per il collezionisti. L'originalità sta nel fatto che Brahms non rafigura un bambino, ne un bebé, ma un ragazzo di vent'anni w che a differenza di Chucky (Child's play - 1988 ) non è esteticamente brutto e rattoppato ne vecchio e sporco come la Annabelle dello spinoff di The Conjuring (2013) è un'oggetto di ottima fattura a prova che un feticcio di un bambino può essere inquietante anche senza un graffio. 
 
Francesca Tulli

Toxic Jungle

Martedì 12 Luglio 2016 10:38
Miscelando vari generi, passando dal biopic immaginario al dramma argentino, Toxic Jungle del peruviano Gianfranco Quattrini è stato definito dal regista stesso una “storia di guarigione”. Alla morte del fratello Nicky, Diamond Santoro (Robertino Granados) si ritira dalla scena del Rock. Ora sulla via del tramonto con la vecchia compagna di Nicky, Pierina (Camila Perissè) che lo sprona a continuare a suonare, intraprende un viaggio per incontrare uno sciamano in grado di curarlo con la “buona medicina”, il rito con la Ayahuasca, la bevanda allucinogena in grado di liberarlo dal senso di inadempienza che lo opprime. Una  lunga traversata della giungla a bordo di un battello fatiscente, brutti affari con la mala locale, un ferito a bordo in cerca di una  clinica in mezzo al nulla, sono gli espedienti che portano il protagonista verso la tanto ambita meta.  Il regista, incontrato a Roma, ci ha delucidato sul perché raccontare la storia di due cantanti mai esistiti dicendoci che “voleva che i fratelli Santoro fossero una metafora e ogni persona, potesse relazionarsi con il protagonista, a prescindere da chi fosse.” Questo ha destato diverse perplessità sulla durata e lo scopo del film che sembra inizialmente essere un normale biopic, volto a farci conoscere la vita di due artisti, ma il vero obiettivo è un altro:  promuovere il rito della  Ayahuasca. Provato dal regista una decina di volte, a suo dire non si tratta di una droga, ma di un efficace metodo per liberarsi dal male, scherzando l’ha definita come “la riduzione di 8 anni di psicanalisi concentrati in un’unica volta.” E’ una miscela di piante, Ayahuasca significa letteralmente “anima della liana” è una mistura liquida che presa dopo una dieta di astensione da diverse abitudini (tra cui il sesso, e il mangiare carni specifiche) secondo un calendario rigido, garantisce l’espulsione di ogni male, molti la temono anche in Perù e in Argentina, altri fanno chilometri per provarla, partendo dal Canada. L’effetto iniziale consiste nel rivivere ogni brutta esperienza del passato, l’effetto benefico al termine è “espellere” tramite le funzioni corporee tutto questo male e sentirsi alleggeriti da ogni conto in sospeso con il passato. Lo sciamano che fa il rituale nel film è vero, giungendo ad un accordo di soli tre giorni di riprese, giurando che non ci sarebbe stata la pioggia (cosa che poi si è verificata), si è fatto riprendere mentre attua il rituale, scuote la bottiglia, canta e balla intorno al “paziente” e attua la purificazione. In italia questa usanza è poco conosciuta motivo per cui, il film è il frutto di una collaborazione italiana (Alba Produzioni s.r.l), argentina (Historias Cinematograficas) e peruviana (Planta Madre) ed è stato riconosciuto e sostenuto come film “d’interesse culturale” e sviluppato con il contributo di Istituto Luce Cinecittà. Al confine tra un documentario e un viaggio di redenzione offre molti spunti di approfondimento.
 
Francesca Tulli

The Beatles-Eight Days a Week

Mercoledì 14 Settembre 2016 14:07
John, Paul, Ringo and George are the Beatles! Il regista statunitense Ron Howard in questo documentario ripercorre i primi cinque anni (1962-1966) della loro carriera, da quando erano famosi per essere i “bravi ragazzi” a quando in America i loro ex sostenitori arrivarono ad accusarli di blasfemia facendo un falò con i loro vinili, fino alla grande ripresa, con l’ottavo album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ogni aspetto viene affrontato con delicatezza, senza indugiare sulle speculazioni, senza toccare nello specifico, la loro vita privata. A differenza delle monotone esposizioni di fatti, date e cronaca nera che riporta talvolta la televisione, i quattro ragazzi di Liverpool vengono celebrati con entusiasmo da tutti coloro che hanno vissuto la loro epoca d'oro. Inizialmente poveri, indossate le giacche nere e tagliati i capelli con il caschetto a cipolla, presi “per mano” da Brian Epstein il loro manager, in soli quattro anni raggiunsero un successo senza precedenti da Londra agli Stati Uniti fino in Giappone riempiendo gli stadi di fans. Folle inferocite di più di ottomila persone li seguivano, facendo di loro un “pericolo” pubblico, era la rivoluzione giovanile, il “primo vero” fenomeno dei “fans” le ragazze si appuntavano le spille con il nome del favorito, si strappavano le chiome, urlavano, rischiavano la vita sulle balaustre degli stadi solo per vederli dal vivo. “Quando un calciatore fa Goal la gente grida più forte, noi dobbiamo solo scuotere la testa: quando lo facciamo loro impazziscono. E’ come fare Goal” affermano durante un’intervista spiritosi e ‘sfrontati’ senza essere cattivi le loro personalità vengono fuori mantenendo una continuità tra i filmati d’epoca e le interviste fatte oggi. La musica è la vera protagonista del film, dalla naturale creazione dei molteplici testi scritti in macchina in mezz’ora da John e Paul, alle registrazioni in studio “8 giorni alla settimana” del titolo, fino all’utilizzo di questo linguaggio universale per abbattere le differenza sociali contro le leggi razziali. Whoopi Goldberg da fan racconta di come quei quattro 'bianchi' le abbiano 'indirettamente' trasmesso la sicurezza per affermarsi come donna e artista. I Beatles vengono ritratti come 'Il gruppo ideale di amici' 'i confidenti' immaginari di una generazione. Il documentario (in Italia distribuito da Lucky Red al cinema dal 15 al 21 di settembre) ha ricevuto un'ottima accoglienza dai fan e dai neofiti perché è accessibile a tutti. Alla fine del documentario, vengono mostrati in esclusiva 30 minuti di footage, remasterizzazione a 4K dell’iconico concerto del 15 Agosto del 1965 presso lo Shea Stadium di New York, che contava più di sedicimila partecipanti. Ignari del successo che avrebbero ricevuto rispondevano a chi gli chiedeva se la loro musica avrebbe potuto portare ad un cambiamento culturale? “Quello che facciamo non è cultura! È solo divertimento”.
 
Francesca Tulli

Alla Ricerca di Dory

Giovedì 15 Settembre 2016 08:24
‘Ciao sono Dory e soffro di memoria a breve termine' così si presenta  con una tenerezza disarmate e due occhi giganti la piccola pesce chirurgo, famosa per aver aiutato un padre disperato a ritrovare suo figlio in 'Finding Nemo' della Disney-Pixar. Oggi dopo 13 anni il regista e sceneggiatore Andrew Stanton (affiancato questa volta da Angus MacLane) prosegue l'avventura con lo spin off dedicato solo a lei 'Alla ricerca di Dory.' Smemorata e colta da una fulminante reminiscenza, per volere del destino, la pesciolina ricorda di essere finita in mezzo all'oceano dopo aver perso di vista i suoi genitori. Comincia un lungo viaggio per ritrovarli, aiutata dai suoi vecchi amici e da nuove bizzarre conoscenze, tra cui spicca Hank, un polpo imitatore scorbutico e affarista con tre cuori sotto la scorsa viscida, l’amica d’infanzia Squalo Destiny e diversi incontri inaspettati. La favola ecologista continua, affronta con delicatezza il tema dell'inquinamento, i fondali dell’oceano sono ricoperti di spazzatura, i paguri fanno la casa dentro alle scatole di latta, Dory stessa resta impigliata nella confezione di plastica delle lattine, ed è là che viene pescata da un centro di recupero per la fauna oceanografica, dove i pesci vengono curati e liberati. Voce italiana della rappresentate del parco è Licia Colò (quella di Sigourney Weaver nella versione originale), che abbiamo incontrato alla conferenza stampa tenutasi a Roma durante la promozione del film. Licia ci ha raccontato che la componente di realismo che c’è nello studio delle specie  di ogni pesce è impressionante a questo proposito ha anche scherzato con noi l’attrice comica Carla Signoris, voce storica della protagonista, raccontando questo aneddoto “per farti capire quanto sono precisi ‘questi’: durante la sessione di doppiaggio di Nemo, mi hanno fatta tornare in studio, telefonando di 14 di Agosto, perché in una battuta Dory diceva “Guarda testuggini!” quando invece si trattava di “tartarughe marine”. Non potevamo tollerare un errore così imperdonabile.” Si toccano due temi portanti delicati: la disabilità, quella che fu fisica nel caso di Nemo, che poteva contare solo su una pinna, è mentale nel caso di Dory, la smemoratezza appunto che ancora una volta da apparente debolezza diventa punto di forza e l’importanza della famiglia, vera o acquisita che sia. Sorprende come gli animatori siano riusciti a trovare un espediente diverso per far attraversare a dei pesci qualsiasi territorio ostile trovando il modo di non restare mai fuori dall'acqua. Riesce nell’importante compito di restare allo stesso livello del film precedente e vanta una qualità d’immagine e grafica 3D eccellente. Ci tuffa in un mondo colorato, tenero ed emozionate, incanta una nuova generazione. Il consiglio per chi ha amato il primo film è quello di restare fino alla fine dei titoli di coda. 
 
Francesca Tulli

Star Trek Beyond

Martedì 20 Settembre 2016 10:10
Continuano i viaggi della Nave Stellare Enterprise. Star Trek Beyond, diretto da Justin Lin è il terzo della trilogia che viaggia sulla linea temporale alternativa iniziata nel 2009 con “Il Futuro ha inizio”. Krall (Idris Elba) il tiranno, minaccia la pacifica Federazione dei Pianeti Uniti. Egli possiede uno ‘sciame’ di navette che scatena contro ogni bersaglio a tiro; brama un manufatto antico in grado di soddisfare la sua sete di potere. Il giovane Capitano Kirk (Chris Pine) non sa ignorare una richiesta d’aiuto e risponde a quella di una nebulosa nei pressi della base di Yorktown.  Affiancato dal Signor Spock (Zachary Quinto) e dal resto del suo storico equipaggio, si imbarca in questa avventura che si rileva più pericolosa del previsto. Senza l’ingombro del paragone con la serie classica fatto già in precedenza con i primi due film diretti da J.J. Abrams, la storia presenta tutti (o quasi) gli elementi presenti guardando una puntata a caso del vasto firmamento di episodi seriali e ne conserva l’appeal. Facciamo conoscenza con una bella aliena (tutt’altro) che in pericolo Jaylah (Sofia Boutella) esploriamo il suo pianeta natale, selvaggio e ostile e l’equipaggio di eroi si trova a dover collaborare mettendosi in discussione, creando quella ‘famosa’ empatia con lo spettatore. Quello che a prima vista può sembrare un film di fantascienza caotico, già visto, con trovate prevedibili è in realtà un omaggio al classico. Visivamente eccellente, unisce la CGi al trucco tradizionale. Altro ci si aspettava dal regista di  Fast & Furious, tuttavia il rispetto per l’originale si vede anche da questo: schivato il pericolo di un film frenetico e coatto, ne esce una pellicola pulita, dove i personaggi subiscono (finalmente) una naturale crescita e fanno delle scelte importanti che condizioneranno le pellicole future. Kirk deve fare i conti con il suo “ennesimo” mesto compleanno, Spock, ricorda, in un meraviglioso omaggio a Leonard Nimoy, il suo “alter ego” e logicamente ne segue le orme. Apprezzato dai fan, che lo definiscono un vero film ‘Trek’ e ben accolto dagli spettatori occasionali in quanto storia a se stante è il tredicesimo lungometraggio della fortunata serie che quest’anno compie 50 anni dalla sua creazione. Beyond fa da ponte tra il ‘passato’ e il ‘futuro’ all’alba della  messa in onda di una nuova serie (che verrà trasmessa su Netflix) nel gennaio 2017. Lunga vita e prosperità...
 
Francesca Tulli

Trafficanti

Mercoledì 14 Settembre 2016 10:54
Anche prima che Donald Trump spingesse i cittadini Americani ad armarsi, gli Stati Uniti sono sempre stati i signori della guerra. L'economia del paese poggia sulle costose transazioni che occorrono per equipaggiare anche un solo singolo soldato. Ispirato ai fatti realmente accaduti raccontati nell’articolo scritto dal giornalista Guy Lawson sulla rivista ‘Rolling Stone’ e successivamente riportati nel libro ‘Arms and the Dudes’ il regista Todd Phillips sceglie di scrivere un film coraggioso e per certi versi controverso. Lo sfigato David Packouz (Miles Teller), dopo aver subito una serie di licenziamenti, lavora come 'massaggiatore' presso un resort per vecchi ricconi. Ha una figlia in arrivo e una ragazza carina, ma i soldi non gli bastano. Al contrario, il suo compagno di scuola Efraim Diveroli (Jonah Hill) ha trovato un modo legale e facile di fare i soldi. rivedere le armi comprate all'asta all'esercito Americano. Non potendo resistere davanti alla prospettiva di guadagnare miliardi all'ombra del suo migliore amico, l’eroe che lo difendeva dai bulletti in gioventù, David decide di accettare la sua offerta di fondare insieme una società ed entra nel business del malaffare. Inizialmente controllato e regolare, improvvisamente dopo una serie di sfiorati fallimenti e bugie si ritrova in mezzo al deserto dell'Iraq con il suo socio, con i terroristi alle costole. Questo è solo l'inizio del gioco! Perché di un gioco si tratta. I protagonisti sono così imbranati da risultare simpatici, come non era il Di Caprio affarista di ‘The Wolf of Wall Street’ che ha molto da spartire con questo film che inconsapevolmente ne è una cupa parodia. Storciamo il naso a sentire un arabo urlare 'Allahu Akbar' da un camion di contrabbando, non sorridiamo al conoscere il finale di questa epopea perché i fatti della cronaca ci fanno infuriare. Eppure sotto l'intrattenimento, in stile ‘Una notte da leoni’ c'è un amara verità, una forte critica alla normale amministrazione USA. Per molti versi la limitazione del film è proprio questa, non esce dai confini americani e fa la morale allo Zio Sam, ma ci rende voyer di un goliardico circo di luoghi comuni sul fare soldi facili in cui possiamo comunque immedesimarci. Diverte ma non dovrebbe farlo, provoca ma non risolve la situazione, ci fa riflettere con la giusta dose di indignazione e leggerezza. Da vedere in campagna elettorale.
 
Francesca Tulli
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