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DeepWater - Inferno sull’Oceano

Sabato 08 Ottobre 2016 22:06 Pubblicato in Recensioni
Il 20 aprile 2010 la Deepwater Horizon, una piattaforma petrolifera sommergibile della società svizzera Transocean e noleggiata dalla British Petroleum, esplode violentemente a causa della repentina risalita lungo il canale di trivellazione di alcune sacche di metano instabile. Pur dotata di un meccanismo di prevenzione delle esplosioni, la piattaforma non riesce a contenere l’incendio. La Deepwater Horizon contava circa 126 lavoratori a bordo, 11 dei quali morirono sul colpo, i loro corpi non furono mai ritrovati. Molti vennero gravemente feriti, ritrovandosi a fare i conti con una circostanza inaspettata e infernale. Per 87 lunghissimi giorni milioni di persone hanno seguito con trepidazione la vicenda, incollate agli schermi televisivi pregando per la salvezza di quei poveri individui a bordo della piattaforma. Definito come il più grave disastro ambientale della storia, il cataclisma della DeepWater Horizon causò un riversamento pari a 50.000 barili di petrolio nel Golfo del Messico. Ciò che rappresentava per gli uomini e le donne della DeepWater Horizon una casa, un ambiente di lavoro, una sicurezza, si trasformò improvvisamente in una trappola infernale. Il regista Peter Berg decide di raccontare questo tragico episodio, facendo luce sul dramma umano e sul profondo coraggio delle persone coinvolte in una storia tanto scioccante. Da sempre attratto da storie di coraggio e forte spirito, Berg dirige un film in cui si approfondisce il grande impatto a livello umano che ha generato un evento di tali proporzioni su persone che hanno dimostrato sangue freddo e capacità di compiere gesta straordinarie per poter sopravvivere ad un’incontenibile disastro. Lo sceneggiatore del film Matthew Sand è stato ispirato da un articolo del New York Times, in cui si riportavano alcune interviste fatte a 21 dei sopravvissuti alla catastrofe della DeepWater Horizon. Testimonianze vivide e drammatiche, che hanno rappresentato il resoconto più dettagliato dell’accaduto, e che hanno spinto lo stesso Sand a scavare a fondo ed iniziare a redigere materiale per un film intenso e impegnativo. Un lungometraggio che non poteva non essere diretto da Peter Berg, il quale ha dimostrato di avere il giusto carisma per portare avanti un progetto tanto massiccio e complesso, riuscendo ad afferrare il nucleo pulsante della storia. Il produttore Lorenzo Bonaventura e l’attore protagonista del film Mark Wahlberg, persenti entrambi alla conferenza stampa romana del film, ci hanno esposto alcuni aspetti salienti della pellicola. Bonaventura ha espressamente dichiarato numerose volte di aver creduto da subito in questo ambizioso e articolato progetto, capace di offrire l’opportunità di mostrare al pubblico come funzionano queste piattaforme, raccontando il duro lavoro degli operai che vi lavorano con competenza e dedizione. Il candidato due volte al premio Oscar Mark Wahlberg, è uno dei pochi interpreti che più si avvicinava alla figura di Mike Williams, capo tecnico della DeepWater Horizon al momento del disastro, e che ha confermato quella sua rara abilità nell’esplorare la realtà interiore dei personaggi interpretati, qualità già mostrata al grande pubblico in pellicole come The Fighter e The Departed. Durante la conferenza stampa Wahlberg ha sottolineato come sia fondamentale comprendere il personaggio che interpreta, e come sia stato indispesabile nel caso di Mike Williams, confrontarsi con il suo vissuto, trascorrere del tempo in sua compagnia ed averlo accanto durante le riprese del film, in modo da poter fare tesoro dei suoi consigli. Una squadra d’eccezione quella rappresentata dal cast di DeepWater, in cui ricordiamo anche Kurt Russell, John Malkovich, Kate Hudson, Gina Rodriguez, ognuno dei quali riesce ad entrare in profondità restituendoci un ritratto estremamente realistico e avvincente. DeepWater Inferno sull’Oceano è un film che racconta una storia di coraggio ed eroismo, un lavoro onesto e toccante,  nelle sale italiane dal 6 ottobre. 
 
Giada Farrace

Pablo Larrain ci parla di Neruda

Sabato 08 Ottobre 2016 21:04 Pubblicato in Interviste
Il film Neruda, candidato del Cile ai prossimi Oscar, è diretto dal brillante regista Pablo Larraín. Durante la promozione del film a Roma ha dato risposte pungenti e competenti che hanno lasciato tutti soddisfatti. 
Inizia rispondendo ad una domanda sugli sviluppi della politica Cilena :“Questo film, lo abbiamo fatto nel 2016 non nel 1947, e questo è un vantaggio: sapere cosa è successo dopo. E’ ambientato nel dopoguerra, parla di un paese che ha sofferto. L’anima cilena è stata devastata,  dall’ascesa del ‘bastardo’ Pinochet. Nel film il paese vuole concretizzare un sogno che non si è mai realizzato. Quando Neruda ricevette il premio Nobel (1971) ha letto un discorso, che potete cercare su google, dove parla proprio di quest’epoca, alla fine dice che, non sa se ‘quel periodo lo ha vissuto, lo ha sognato, lo ha scritto” e in questa frase c’è proprio la chiave di tutto il film. Non è un elaborato su Neruda parla del suo universo, il suo cosmo”. 
 
 
Proprio a questo proposito, noi di FuoriTraccia abbiamo preso la parola, chiedendo dove si è documentato, su quali libri e quale studio “matto e disperatissimo” ha visibilmente svolto per realizzare la pellicola, Larrain risponde sorridendo, senza bisogno di traduzioni: “Ho letto diverse biografie, ne abbiamo scelte tre, innanzitutto la sua autobiografia ‘Confesso che ho vissuto’ e poi abbiamo fatto molte interviste a persone che lo hanno conosciuto. Neruda era un grande amante della cucina, era un cuoco eccellente, amante del vino e delle donne, un diplomatico che ha viaggiato in tutto il mondo, per il suo lavoro. Un esperto di letteratura, un amante del genere poliziesco, senatore del Cile, il poeta più grande della nostra lingua, forse il più grande al mondo e raccontare tutto questo mi terrorizzava. Ho provato una paura enorme all’idea di dover affrontare tutti questi aspetti. Al contrario ho sentito un enorme senso di liberazione quando ho capito, che non potevo raccontare tutto questo in un film di due ore, era impossibile, ‘Tutto Nerdua” non ci sta in un solo film. Neruda in Cile è ovunque, nell’acqua, nella terra, nelle piante, storici e giornalisti hanno scritto di lui. Neruda ha fatto la storia del mio paese,  io stesso lo porto addosso, nei capelli, nel corpo,  nel sudore, nel sangue, questo film è un omaggio, una poesia, un poema, scritto con il sogno che anche lui potesse leggerlo.”  
 
 
Neruda politico e artista, dualismo difficile da immaginare nella attuale società, così commenta questa doppia identità: “E’ impossibile scindere le due cose, era un mondo diverso. Immaginiamo ora cosa direbbero, se ci fosse un politico Americano che scrive poesie scontro Donald Trump, nessuno penserebbe che si tratti di vera poesia. invece Neruda nel Canto General (1950) scrive, in termini non propriamente gentili e amabili di leader politici e capi di stato dell’America Latina e  questo  va considerato come vera poesia, indirizzata alla politica. Lui come altri della sua generazione volevano con la propria arte cambiare il mondo, influenzare il regime attraverso il sostegno dei loro lettori e del pubblico.” Continua sul tema della comunicazione: “Trovo che nel mondo di oggi il modo di dire le cose, è più importante del contenuto, e questo mi sembra molto pericoloso. Questo è un roadmovie, è un film anti biopic, sulla scia dei noir anni ‘40 ‘50 e allo stesso tempo una commedia, ma sì è anche un film sulla comunicazione. Volevo mostrare come il personaggio cambia durante il suo percorso. Non è importante il punto di arrivo o la destinazione ma il viaggio stesso che ‘diventa’ la destinazione. Neruda diviene leggenda proprio in quel frangente della sua vita, e il poliziotto da senso a questa vita. Avevano bisogno l’uno dell’altro.  Per capire quello che non capivano l’uno dell’altro. E’ una storia di amore puro. Il resto è un’ po’ una scusa.” 
Altri cercando significati profondi all’interno nel film e dando letture personali della vicenda, hanno chiesto al regista come la pellicola vada letta ed interpretata, Larraín  risponde con una smorfia beffarda dando una risposta spiazzante che racchiude il suo senso del cinema: “Abbiamo lavorato 5 anni a questo progetto e per questo non voglio rispondere a questo tipo di domande. Preferisco che siate voi a scrivere e dire quello che ci avete trovato. Mi sembra sempre assurdo e orribile quando i registi, dicono cosa si dovrebbe provare guardando un film. Questo deve farlo lo spettatore, non dimentichiamoci che un cineasta è come un bambino con una bomba in mano.”  
 
 
Dopo aver chiarito che i testi della narrazione non sono citazioni di Neruda, e ringraziando se qualcuno ha pensato che lo fossero continua col dire  “Due settimane prima della realizzazione del film, mio fratello (Juan de Dios  Larraín) produttore del film, ci ha chiesto di togliere dalla sceneggiatura venti pagine perché non c’erano soldi sufficienti per coprire le corpose 160 pagine di lavoro. Così dall’America lo sceneggiatore Guillermo Calderòn è venuto in Cile. Ci siamo chiusi in una stanza per cercare di assottigliare la mole di lavoro per una settimana. Risultato siamo usciti con 180 pagine! Venti in più! Perché non c’era verso di tagliarle, ma abbiamo filmato il film più velocemente per compensare. Io lavoro rielaborando e ‘cucinando’ la sceneggiatura, un film non si fa senza scene ma per me è soprattutto un elaborato di atmosfere, toni è qualcosa di più viscerale, quindi cerchiamo di catturare questi aspetti con Sergio Armstrong (lo scenografo) e poi proseguire con il racconto. Come disse Truffaut ‘Nelle riprese bisogna lottare contro la sceneggiatura e nel montaggio bisogna lottare contro le riprese’  Sono processi diversi, c’è una battaglia che bisogna fare, ma è molto bello e liberatorio che ci sia questo conflitto. Non so se vi succede quando andate al cinema, guardando un film che il regista vi stia servendo già tutte le risposte. Vi dice già, che cosa dovete pensare, che cosa dovete provare, chi è il buono, chi è il cattivo. A me questo non piace. Non voglio che mi si faccia questo, Il cinema, il regista deve potersi fidare dello spettatore, deve potersi fidare delle sue capacità e quindi il film deve essere qualcosa di espansivo di aperto che il pubblico percepirà a seconda della propria sensibilità. Dare già tutto preconfezionato mi sembra una grande insolenza, nei confronti dello spettatore e in quei casi io me ne vado. Io voglio essere parte attiva, pensare e decidere per conto mio. I film si dovrebbero fare lasciando questa apertura verso chi lo guarda, è bello quando dopo aver visto un film, ripensandoci, non sei sicuro di quello che è successo, che hai pensato o hai visto, è un meccanismo un dialogo che si crea tra il pubblico e lo schermo. E’ come succede nel sesso quando è fatto bene.” Aggiunge ironizzando “Ho letto tanto su Neruda, le biografie di cui parlavo prima, ho fatto un film su Neruda e non ho ancora la più pallida idea di chi sia Neruda”.  
Nota tragicomica alla conclusione della conferenza Luis Gnecco, l’attore protagonista del film, aveva perso peso per la prima volta nella sua vita quando il regista lo ha portato in un ristorante italiano a farsi una bella pasta alla Carbonara dicendo “non puoi fare Neruda se non hai sostanza devi mangiare  di più” con una risata generale il regista conclude lasciando che ognuno rielabori questa lezione di umiltà. 
 
Francesca Tulli

Mine

Sabato 08 Ottobre 2016 20:39 Pubblicato in Recensioni
Quando il corpo è bloccato da una condizione di assoluta immobilità, l'impulso al movimento, all'azione, viene automaticamente trasmesso alla mente, la quale elabora questo messaggio innescando un processo di contrapposta attività. Pertanto un flusso inarrestabile di pensieri irrompe nel cervello, passando compulsivamente in rassegna alcuni momenti che appartengono al nostro passato, a quello che abbiamo vissuto. È ciò che accade a Mike, un tiratore scelto appartenente ai marines, inviato segretamente nel deserto dell’Afghanistan assieme al compagno Tommy, per uccidere un pericoloso terrorista. Ma qualcosa va storto durante la missione, e i due soldati americani si perdono nel bel mezzo di una tempesta di sabbia. Isolati dal comando, Mike e Tommy si ritrovano a vagare in un luogo sconosciuto, con numerosi terroristi a poca distanza dalla loro posizione. Privi di alcun segnale di orientamento, i due finiscono accidentalmente in un campo minato, e Mike calpesta una mina.  Per due giorni e due notti egli dovrà restare immobile nel deserto, in attesa di aiuto dall’esercito, sostando in campo nemico, senza alcun tipo di rifornimento. Una lotta estrema per la sopravvivenza, che lo porterà a riconsiderare tutta la sua vita, e a far fronte ad una pressione psicologica ingombrante. Questo thriller ad alta tensione è scritto e diretto da due italiani, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro e finanziato dallo stesso produttore di Buried. Il film lavora molto sul piano psicologico e incoscio del protagonista, focalizzando in modo particolare su uno stato emotivo soggetto a continue oscillazioni e ad una pressione mentale pesantissima.  Mine è un film che se da un lato racconta l’adrenalinica vicenda di un soldato, imprigionato all’interno di una situazione asfissiante, dall’altro si sviluppa come un viaggio introspettivo nell’incoscio di Mike, alle prese con un passato e un presente problematici. Sebbene possa apparire pesante, in quanto basato unicamente sul concept del survival, il film scorre in modo fluido nella prima e nell’ultima parte, giocando molto sulla suspence, percepita in larga misura dallo spettatore, che entra in uno stato di comunione con il protagonista. Guaglione e Resinaro, riescono a creare una profonda tensione invertendo radicalmente la prospettiva dell’ambiente claustrofobico e stretto, caratteristico in Buried, impiantando così l’azione in un luogo aperto, sconfinato quale il deserto, che restituisce in modo altrettanto soffocante le medesime sensazioni. Un film che immobilizza, tenendo con il fiato sospeso, e che gioca con le aspettative inconsce dello spettatore, portandolo prima in una direzione per poi cambiare improvvisamente percorso. 
 
Giada Farrace

Festa del Cinema di Roma, programma e anticipazioni

Lunedì 03 Ottobre 2016 09:21 Pubblicato in News
A vent'anni dalla scomparsa di Gene Kelly, l'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma omaggia questo magnifico artista dedicandogli la copertina della rassegna. Uno scatto del fotogafo di Life J.R Eyerman sul set di cantando sotto la pioggia, che ritrae Kelly in un momento di onirica danza assieme all'affascinante Cyd Charisse. L'eleganza e la delicatezza di un momento simile appositamente scelte per introdurre una rassegna altrettanto elegante e ricercata. È uno sguardo attento e aperto quello di Alberto Monda, direttore artistico di questa 11esima Festa del Cinema di Roma, che aprirà il sipario il 13 ottobre per poi chiuderlo il 23, quest’anno con un giorno in più rispetto alla scorsa edizione. Una vera e propria festa con molte novità e numerosi ospiti di prestigio che ci parleranno di cinema, di cultura, di arte e di tanti altri argomenti, saziando la nostra sete di cultura e bellezza in questi dieci giorni di puro cinema. Il programma di Roma FF11, oltre ad essere fresco e vario, è diretto a valorizzare e cogliere tutte le sfumature del mondo, e della nostra società, riscoprendo un profondo senso di appartenenza ad una comunità.
 
 
 Una lunga lista di interessanti pellicole popola il programma della rassegna, iniziamo dando un’occhiata ai titoli della selezione ufficiale. Quattro sono i film italiani in concorso, “7 minuti” diretto da Michele Placido, una storia di speranza e ricordi con un cast composto da Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi e Fiorella Mannoia; “Napoli 44” di Francesco Patierno, interessante documentario e potente denuncia degli orrori delle guerre; “Maria per Roma” diretto da Karen Di Porto, una commedia fresca e originale, tra le pellicole più particolari e su cui si scommette maggiormente; “Sole Cuore Amore” di Daniele Vicari con Isabella Ragonese,Francesco Montanari e Eva Grieco, dramma variopinto sull’amicizia di due giovani donne tanto diverse e tanto simili. Sempre all’interno della selezione ufficiale, tantissimi titoli tra cui “The Accountant” di Gavin O’Connor, con Ben Affleck e  Anna Kendrick, “Denial” di Mick Jackson con Rachel Weitz e Tom Wilkinson, “Moonlight” di Barry Jenkins con Mahershala Ali, Naomie Harris, “Snowden” di Oliver Stone con Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley. Qui elencati solo alcuni dei numerosi titoli in concorso all’interno della selezione ufficiale, perchè tra gli aspetti in rielievo quest’anno emerge con prepotenza l’estrema vivacità della rassegna con un’estesa lista di pellicole in concorso e non. Tre le retrospettive all’interno di Roma FF11, la prima di esse è dedicata alla poliedrica e immesa figura di Tom Hanks, tra gli ospiti più attesi della rassegna, che ci parlerà della sua carriera, e di cinema, accompagnato da 15 proiezioni di alcuni dei suoi più grandi successi. La seconda rassegna affronta il tema bollente della Politica Americana, in un momento delicato come quello attuale in vista delle elezioni presidenziali, saranno proiettati sedici film accompagnati da conversazioni e aprofondimenti in compagnia di intellettuali e studiosi. 
 
 
La terza retrospettiva  dedicata a un grande nome del cinema italiano quale Valerio Zurlini, ripercorre l’opera di questo maestro sottovalutato in vita, e purtroppo eclissato anche dopo la sua scomparsa. A calpestare il prestigioso tappeto rosso ospiti del calibro di Meryl Streep, Tom Hanks, Michele Placido, Oliver Stone, Bernardo Bertolucci, Viggo Mortensenn, Juliette Binoche, Ralph Fiennes e molti altri ancora. 
Tantissimi altri eventi all’interno dell’Undicesima Festa del Cinema di Roma, tra cui splendidi omaggi a personalità quali Micheal Cimino, Luigi Comencini, e Gianluigi Rondi, scomparso da poco, e vera anima pulsante di questo  grande evento dedicato al cinema. Un evento che offre l’opportunità di godere della bellezza e della magia dello schermo, rammentando come la settima arte sia capace di parlare a tutti, nutrendo di linfa preziosa la nostra realtà culturale. Dal 13 al 23 ottobre presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma. 
 
Giada Farrace