Finalmente arriva nelle sale il seguito di uno dei cult più apprezzati degli anni ’80, quel Top Gun che ha fatto sognare di volare a velocità folli e schivare missili intere generazioni di spettatori.
Pronto ormai da un paio d’anni, la sua uscita è stata posticipata in attesa di una situazione che potesse garantire un ritorno economico più stabile rispetto a quello possibile nel precedente periodo pandemico, ben più critico di quello attuale, e gli incassi delle hit uscite recentemente fanno ben sperare la Paramount Pictures.
L’espediente narrativo per giustificare il ritorno di Maverick nella celebre scuola Top Gun è quello di addestrare una squadriglia di giovani assi per una missione molto pericolosa. Oltre alla difficoltà insita nell’operazione stessa, la presenza tra le file di piloti del figlio del compianto Goose renderà i rapporti tra istruttore e allievi ancora più complicati del previsto.
Non è una sopresa che il film poggi interamente sulle spalle del celebre attore hollywoodiano, che nel tentativo di ricreare il cameratismo richiesto ricorrerà a mezzi più o meno tollerati dai superiori, ovviamente incapaci di opporsi al carisma del golden boy.
Anche il regista Joseph Kosinski ci mette del proprio nel confezionare un film su misura alla star, avendoci già lavorato nell’interessante Oblivion, ed essendosi già confrontato con un blockbuster di una major in Tron Legacy.
In questa situazione il suo lavoro ci regala emozionanti inquadrature tra i cieli e primi piani da torcicollo all’interno dei cockpit degli aerei.
Come anticipato precedentemente si avverte tutta la necessità di rientrare dei costi sostenuti perchè lo sforzo produttivo nel ricreare le coreografie a schermo è senza dubbio lampante. Trascina chi osserva nel mezzo dello spettacolo di un intrattenimento da pop-corn nel senso più pieno e divertente dell’espressione.
Per il resto il film cerca di incanalarsi sulle strade già battute dall’originale, cercando di ricreare un gruppo affiatato di piloti per cui parteggiare, e usando situazioni fuori dalla cabina di pilotaggio che rievocano sensazioni di deja-vù.
Gli interpreti cambiano, qua Jennifer Connelly in luogo di Kelly McGillis, ma le dinamiche rimangono funzionali, il tutto accompagnato da sonorità anch’esse affini al capostipite, riarrangiate da artisti d’eccezione quali Hans Zimmer e Lady Gaga.
E’ da sottolinare anche una cura ricercata nei dettagli e nomenclature di aerei e situazioni di volo, che impreziosiscono ulteriormente la visione all’appassionato di aeronautica, per tutti gli altri invece rimane un film in grado di tenere attaccati alla poltrona e con la mente oltre la velocità del suono per due ore abbondandi, e non è affatto poco.
Omar Mourad Agha
Dopo oltre 5 anni di tempo Darren Aronofsky torna con l’opera successiva al discusso Madre!, un film particolarmente complesso nelle tematiche e nella struttura, le cui critiche nettamente polarizzate presso pubblico e stampa avevano creato più di un grattacapo alla carriera del regista americano.
Con questo The Whale si ricrea un’atmosfera a lui più congeniale, indagando sulle tensioni delle nostre pulsioni emotive e guardando in faccia personaggi che spingono le proprie esistenze al limite del baratro, percorso già esplorato con titoli del calibro di Requiem for a Dream o il Cigno Nero.
Il protagonista Charlie (Brendan Fraser), è un insegnante di letteratura inglese dal peso di oltre 270Kg, una stazza che gli impedisce o rende faticosissimo anche il più comune dei movimenti per una persona normale. Dopo essere scampato ad una crisi potenzialmente fatale, visto che l’obesità è notoriamente una condizione fisica molto pericolosa, il nostro docente si rende conto di dover rimettere ordine nella propria vita. Cercherà una rivalsa sociale e personale riallacciando i rapporti con la famiglia e proverà ad affrontare demoni del passato che lo hanno direzionato verso questa situazione.
Come nelle precedenti opere, l’occhio del regista è inquisitore, crudo e senza filtro, talvolta sembra sconfinare nel vouyerismo e nel proibito, ma è necessario per cristallizzare un momento di pura sincerità nella vita dei suoi protagonisti.
Se ad esempio nel già citato Cigno Nero i tormenti della giovane Nina sfociavano in un autolesionismo che non lasciava nulla all’immaginazione, in questo The Whale, Charlie ci rende testimoni della schiavitù nei confronti della sua condizione con altrettanta efficacia. I primi piani mentre si nutre con voracità e senza alcun ritegno mostrano una creatura votata a saziare un istinto primordiale, con uno sguardo predatorio, ma tragicamente incapace di riempire i vuoti della sua intimità.
Trova necessario e salvifico cercare conforto nel cibo quando i legami sono così labili e saltuari, con la solitudine interrotta solo dall’intervento routinario delle visite mediche a domicilio.
Nonostante la dura realtà a schermo, la vicinanza col protagonista viene però molto naturale; Brendan Fraser si dedica anima e corpo, in tutti i sensi, a conferire dignità e umanità alla sofferenza di Charlie.
La sua è una prova attoriale di assoluto livello, con un ruolo di rinascita personale in cui ha infuso ogni tentativo di raddrizzare una carriera costellata di alti e, soprattutto negli ultimi anni, di profondi bassi.
Se il regista riesce a dipingere un ritratto così lucido, gran parte del merito è ovviamente suo; egli veste i panni di un personaggio anche fisicamente molto impegnativo, ma lo sforzo lo riporta al centro dei riflettori e in prima linea nella stagione delle premiazioni.
Il resto del cast, a partire dalla Sadie Sink di Stranger Things, colpisce meno, ma è anche comprensibile perché l’epopea personale di Charlie lascia poco spazio a tutto ciò che gravita intorno. Non sembra necessario indagare da altre parti quando c’è così tanto del protagonista ad appesantire le nostre emozioni.
Anche la forma segue le stesse intenzioni, perché questo diventa l’ennesimo film recente ad adottare un formato 4:3, ormai tipico nel creare più coinvolgimento nello spettatore, e tutta la vicenda è ambientata in un set praticamente unico, l’interno dell’appartamento di Charlie, a non voler spostare nemmeno fisicamente l’epicentro della narrazione.
The Whale si rivela quindi un film di grande livello, che si inserisce perfettamente nel filone drammatico-psicologico tracciato da Darren Aronosfky lungo tutta la sua filmografia. Egli rimane uno dei pochi artisti in grado di creare personaggi profondamente umani, forti e fragili, con un’autorialità che a volte respinge, ma comunque colpendo l’immaginario dello spettatore, lasciando il segno e generando discussione. Se ne sentiva decisamente la mancanza.
Omar Mourad Agha
"Strange darling" è un ottimo horror che si avvale di una fotografia eccellente. Giovanni Ribisi ne è la firma e ci regala immagini che ricordano molto gli anni settanta. Molto colorate e accattivanti. Gli attori protagonisti sono le vere colonne portanti di un racconto semplice ma che si fa via via sempre più intrigante. The electrical Lady è l'incarnazione del male travestito da angelo biondo. È delicata. Ispira tenerezza. È uno scricciolo, ha un corpo esile che ricorda quello di una bambina eppure sa essere furia, belva, malvagia, crudele. Quando entra in "modalità sopravvivenza" può uccidere chiunque le capiti a tiro e interferisca con la sua intenzione di sconfiggere il demone che vede davanti a sé. Compie omicidi con ogni mezzo possibile e senza mostrare il minimo ripensamento o essere sfiorata dalla minima esitazione.
Il film si avvale di un montaggio che rende tutto più avvincente. Dona alla pellicola il giusto ritmo. Senza lasciare tempi morti. Purtroppo il gioco di tenere sulla corda lo spettatore dura lo spazio di tre capitoli. Il film è suddiviso in 6 parti che vengono presentate allo spettatore in una sequenza non lineare e spezzettano la storia per traghettarla ad un epilogo finale che è anche la parte meno riuscita del film nel senso che diventa quasi pleonastica. Un di più che non lascia spazio ad altre interpretazioni. All'inizio siamo travolti dalla corsa sfrenata di una giovane ragazza che fugge terrorizzata da qualcosa o qualcuno. Nel breve spazio di qualche sequenza lo spettatore più avvezzo è già indotto a pensare che lo schema non può essere così banale. La ragazza non può essere la vittima e, per il resto della pellicola, rimanga solo la sorpresa di conoscere l'aggressore o la situazione spaventosa che ha determinato l'inizio della corsa disperata. Eppure, se così fosse, il film funzionerebbe lo stesso. La sceneggiatura però vuole sparigliare le carte e fare riflettere sulla situazione opposta.
Deve per forza esserci qualcosa di diverso dallo schema classico (aggressore uomo serial killer che miete vittime fra fanciulle sexy e bionde). Non può essere tutto cosi semplice.
L' uso del bianco e nero per presentare l'antefatto sembra proporre qualcosa di anacronistico che si perde nella notte dei tempi. È quasi utopico ai giorni nostri, non è quasi più possibile nella nostra contemporaneità, assistere ad un incontro occasionale fra due persone che non hanno problemi mentali ma cercano solo un modo per divertirsi insieme. Sotto sotto ci deve essere qualcosa di raccapricciante. Non basta scoprire che i due vogliono giocare insieme dei ruoli, che la donna sia la padrona che comandi, che il sesso sia solo l'esca per accalappiare la giusta preda. Non basta più solo la violenza sessuale. È il preliminare a qualcosa di ben peggiore.
La storia non è un granché, la trama è sottile come carta velina. L' intuizione geniale è il ribaltamento di ruoli e lo scambio fra vittima e carnefice che non segue le logiche comuni. In questo caso l'uomo che è anche un poliziotto (sebbene non troppo convenzionale) non è il cattivo della situazione. Per una volta il maschio non è l' aggressore ma la vittima.
Il film gioca gran parte del suo fascino nel ribaltare i luoghi comuni, nel prendersi gioco del preconcetto, del cliché. La pellicola è sporca, cattiva, ruvida e cola sangue come se non ci fosse mai un argine che possa fare da sponda. Non si contano le scene splatter portate alle estreme conseguenze. Un iperbole di situazioni che portano ad un escalation finale cruenta al quale fa seguito una momentanea stasi. Sembra, ma è solo una breve illusione, di poter essere arrivati alla fine dell' incubo e invece la scrittura ha ancora in serbo qualche cartuccia anche se è solo un colpa di coda che non supera in sorpresa quello che è appena avvenuto.
Il film deve la sua forza ai continui e ben congegnati twist narrativi che sanno cogliere sempre in contropiede. Le scelte registiche propinano la giusta dose di adrenalina e riescono nell'intento di non far calare mai troppo la tensione.
Virna Castiglioni