Nel 2016 Bob Dylan ottiene il Premio Nobel per la letteratura «per aver creato nuove espressioni poetiche all'interno della grande tradizione della canzone americana» ma, come se fosse cosa ordinaria, non si presenta neppure alla cerimonia di premiazione. Allergico ai riconoscimenti, antidivo per eccellenza e refrattario al successo sebbene sia diventato uno dei più grandi di tutti i tempi.
Il biopic “A complete Unknown” del regista James Mangold (che già si cimentò nel 2005 con un altro biopic incentrato sulla figura di Johnny Cash, altro mito americano) ripercorre le tappe salienti della carriera artistica di Bob Dylan ed è liberamente ispirato al libro biografico scritto da Elijah Wald “Dylan Goes Electric”.
Fulcro della narrazione è, come giusto che sia, la musica di questo cantautore eclettico e innovativo, poeta e artista visionario dall’incredibile talento musicale che ha spaziato tra vari generi (folk, country, jazz e swing, blues, rock e rockabilly) fondendoli e reinventandoli. Introdotto nella scena folk newyorkese, con sede principalmente nel Greenwich Village da Pete Seeger e Joan Baez (con la quale ebbe una lunga e travagliata storia d’amore) il film pone l’accento sul suo contributo importante e dirompente nell’utilizzo del suono elettronico all’interno della tradizione della musica folk. Dylan seppe compiere una vera e propria rivoluzione copernicana che lo fece percepire dal suo pubblico adorante dapprima come un alieno, un traditore, un ingrato, un impostore. Invece Bob era solo un pioniere che aveva capito il potenziale della contaminazione fra generi e ne aveva saputo fare un uso di grande impatto.
Timothée Chalamet, anche in questa nuova prova, per nulla facile, si conferma attore di spessore capace anche di non deludere nell’interpretazione dei tanti brani (oltre quaranta canzoni appartenenti all’arco temporale 1961-1965 registrate dal vivo anche se non tutte utilizzate), eseguiti senza l’ausilio del playback, che costellano la pellicola.
Reso molto somigliante al giovane Bob soprattutto dall’acconciatura rimasta pressocché sempre identica riesce nell’impresa di renderlo in modo aderente al vero dal punto di vista non solo estetico ma anche raggiungendo in pieno l’obiettivo di farlo ricordare nei modi di fare e nel modo di pensare e agire. Una prova superata a pieni voti. Nel cast è affiancato da altri attori di elevato calibro: fra tutti spicca Edward Norton che interpreta Pete Seeger.
Quello che, pur non disturbando la visione, non è entusiasmante è la cronaca dei suoi amori importanti. Vengono raccontati come se si dovesse per forza fare il computo delle storie avute ma senza infondere particolare trasporto o emozione. Molto intensi, invece, sia il primo incontro che il commiato finale di Dylan con il suo idolo, il cantante e chitarrista folk Woody Guthrie, che era molto malato. Introdotto nella scena folk newyorkese, con sede principalmente nel Greenwich Village da Pete Seeger e Joan Baez (con la quale ebbe una lunga e travagliata storia d’amore) Dylan ha rappresentato il trait d’union fra la vecchia guardia della musica folk americana e un nuovo modo di scriverla e cantarla.
Il film, volendo tentare una estrema sintesi, si può definire uno scrigno che racchiude magnetica bellezza, maniacale cura, fascino senza tempo ma soprattutto rende merito alla musica sublime composta e interpretata da questa icona mondiale.
Virna Castiglioni