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The Search

Martedì 03 Marzo 2015 11:48 Pubblicato in Recensioni
Dopo il sorprendente omaggio al cinema muto con The Artist, che gli procurò l’Oscar come miglior regia nel 2012, il regista francese Michel Hazanavicius riparte da zero con un film umanitario in quattro lingue, sullo sfondo della seconda guerra cecena.
Ispirato a The Search di Fred Zinnermann (Odissea tragica, 1948), Hazanavicius se ne discosta quasi subito, ampliando la dimensione del suo film attraverso molteplici punti di vista.   
Hadji, un bambino di 9 anni, fugge dal suo villaggio dopo la brutale esecuzione dei genitori ad opera dell’esercito russo. Fra le macerie di un paese distrutto incontra Carol, capo delegazione dell’Unione Europea, con la quale stabilisce un profondo legame, pur parlando una lingua diverse. Nel frattempo Raissa, la sorella maggiore, lo cerca disperatamente fra la folla di civili messi in fuga. 
Infine c’è Kolia, ventenne russo, che, a causa di piccoli problemi con la legge, viene costretto ad arruolarsi nell’esercito, dove conosce la quotidiana brutalità della guerra. 
Nell’esercito russo i militari non hanno un vero addestramento, che non consista nel contagioso sadismo dei propri superiori. L’ambiente rappresentato da Hazanavicius è una sorta di “animal factory”, dove a sopravvivere è il più brutale. Un ingranaggio che può stritolare la gente e trasformala in assassini, tra Full Metal Jacket e Primo Levi. 
Abolita ogni reticenza, Kolia è obbligato a rovesciare ogni valore civile e morale, prendendoci rapidamente gusto. 
 
Il percorso del bambino è l’esatto opposto di quello del soldato. Hadji passa dalla morte di un mondo in rovina alla vita sociale, mentre Kolia dalla vita sociale alla morte, guadagnandosi però il rispetto dei propri superiori.  
Quello che se ne ricava è il totale fallimento di ogni forma di istituzione: da un esercito russo efferato ma totalmente allo sbando, a un’Europa profondamente distratta e priva di effettivi contatti con la realtà. 
Nel rapporto fra Hadji e Carol la questione che si pone è proprio  quella del ruolo degli occidentali e della complessità nell’accettare il dolore altrui. 
“Quale deve essere il nostro atteggiamento, la nostra empatia?” si chiede il regista. 
L’incontro con il bambino spinge la donna a rifondare la sua militanza dal basso. Forse è più importante occuparsi di Hadji che salvare tutta la Cecenia nel nome di un Parlamento Europeo che non vede (o non vuole vedere) più in là del suo naso. 
 
Il film funziona piuttosto bene, almeno fino a quando il dramma nazionale - costellato di reminiscenze, più o meno consapevoli, del genocidio degli Ebrei - lascia troppo spazio al dramma familiare del triangolo Hadji- Carol- Raissa e le istanze umanitarie del regista diventano un po’ ingombranti. Nella prima parte invece sono quasi sempre le immagini a parlare e quelle ambientazioni che rappresentano, di volta in volta, una perfetta allegoria dello stato d’animo dei personaggi; come quando Hadji, affamato e spaventato, si trova a vagare senza meta precisa nella desolazione della città distrutta insieme ai cani randagi che fiutano fra le macerie cercando qualcosa da mangiare. 
Un film importante, che riporta alla luce le stragi di un conflitto rimosso rapidamente dalla memoria collettiva (sempre che ne abbia mai fatto parte).
 
Angelo Santini
 

Premio Solinas Experimenta

Venerdì 20 Febbraio 2015 22:05 Pubblicato in News
Sono nove i progetti ammessi alla short list del Premio Solinas Experimenta seconda edizione del Concorso per progetti di film lungometraggio digitale low budget per il cinema e le piattaforme multimediali, da realizzarsi con un budget massimo di 300.000 euro a Progetto. 
 
 
 
La Giuria composta da: Isabella Aguilar, Anne Riitta Ciccone, Max Giovagnoli, Annamaria Granatello, Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni (MASBEDO), Stefano Sardo, Lorenzo Sportiello, Lorenzo Vignolo, al termine della prima fase della selezione, effettuata su 60 progetti presentati in forma anonima da sceneneggiatori e registi under 35, ha selezionato  nove  progetti. L’apertura delle buste ha svelato i nomi degli autori della short list: BEING POPULAR (ELLEN PAGE HA FATTO COMING OUT), soggetto di CHIARA EMANUELA RAP e GIADA SIGNORIN, regia di CHIARA EMANUELA RAP; I BAMBINI RIMASTI (ALLA FINE LEI MORIVA), soggetto di MATTEO VISCONTI e GIACOMO BISANTI, regia di FRANCESCA MARINO; NON SONO MICA IL LIBANESE (IL PIU’ GRANDE SOGNO MAI SOGNATO), soggetto di MICHELE VANNUCCI e ANITA OTTO, regia di  MICHELE VANNUCCI ; SHELTER ( LOCKDOWN ), soggetto di MATTIA TEMPONI e GABRIELE GALLO, regia di MATTIA TEMPONI ; TERESA E LUISA (TERESA,LUISA E LA #NOTTEROSA) soggetto di DAVIDE GIAMPICCOLO, regia di GIANLUCA ZONTA; VICTORIA ( KRAKEN 3.0), soggetto e regia di FRANCESCO PAPPALARDO; LA PORTA (I FALCHI), soggetto di LORENZO LODOVICHI e JEAN ELIA,  regia di  LORENZO LODOVICHI; BLU ((B)LU), soggetto di TOMMASO RENZONI e FRANCESCA MARINO, regia di FRANCESCA MARINO; LA STELLA DEL MATTINO (MORNING STAR),  soggetto e regia di GIGI ROCCATI 
Gli autori della short list, che entro il 5 marzo consegneranno la prima stesura della sceneggiatura, incontreranno la Giuria e potranno concorrere  all’assegnazione di due borse di sviluppo di 12.000 euro ciascuna. 
 
Maggiori informazioni consultando www.premiosolinas.it

Senza chiedere permesso

Venerdì 20 Febbraio 2015 21:27 Pubblicato in Recensioni
Fabio Traversa (interprete dei primi film di Nanni Moretti nonché l’indimenticabile Fabris in Compagni di scuola di Verdone) è un attore e autore teatrale che vive con la moglie Tiziana Lucattini, compagna nell’amore e nell’arte. Uomo pacato e generoso, Fabio affronta un viaggio onirico; “fa cose e vede gente” in un perenne stato di deja-vù che lo accompagna nella quotidiana fatalità della vita stessa. 
La giovanissima Iolanda La Carrubba, documentarista e operatrice culturale, mette in scena una commedia onirico-fantastica, che vede la collaborazione di un nutrito gruppo di amici, dal regista Aureliano Amedei (20 sigarette, Il leone di Orvieto) al giornalista Fulvio Grimaldi, da Alessandro Benvenuti a una folta schiera di poeti e artisti. Il titolo è Senza chiedere permesso, da non confondere con l’omonimo documentario sugli operai della Fiat Mirafiori, proiettato recentemente a Torino, né con il saggio sulla controinformazione militante scritto da Roberto Faenza del ’73.
 
La Carrubba già nel suo precedente Zapping indagava su come l’avvento di internet abbia cambiato l’approccio all’arte. In Senza chiedere permesso, presentato in anteprima romana alla Centrale Preneste teatro, in occasione della manifestazione Nostalgie di un presente/futuro, ignora, più o meno consapevolmente, i fondamenti rudimentali del linguaggio cinematografico per abbracciare altri codici, segretamente legati all’espressione pubblicitaria. Tuttavia l’accostamento fra dimensione onirica e flusso televisivo fatica a trovare una strada credibile e le intenzioni di regia confluiscono in una forma fastidiosamente amatoriale, dove la messa in scena dell’onirico finisce per equivalere a una messa in scena “alla cazzo di cane” (dalle riprese sovraesposte all’abuso di dissolvenze al montaggio). 
 
L'ignorare i canoni estetici attraverso un uso “sporco” dei nuovi mezzi di ripresa digitale (più pratici e maneggevoli) accumuna in parte il film al saggio di Faenza, vero e proprio manuale per il cineasta militante all’alba del videotape. Ma nel film di Iolanda La Carrubba non c’è militanza. Il suo non è un film che parla di politica, ma ambisce ingenuamente a essere un film girato in modo politico (tanto per citare Godard). 
Non importa molto se questo pressapochismo estetico sia il risultato di una scelta autoriale consapevole o meno, perché diventa insostenibile già dopo i primi dieci minuti di film e giustificarlo con la scusa del “zero budget” sembrerebbe anche un po’ pretestuoso. La Carrubba non mette veramente a frutto le potenzialità metalinguistiche del mezzo digitale e le citazioni colte da Keaton a Méliès nascono come muoiono. 
Non bastano passione e devozione dei due interpreti per salvare una storia che non si capisce bene dove voglia andar a parare.
 
Se l’obiettivo perseguito dalla regista era quello di destabilizzare il pubblico, ci è riuscita. Resta da vedere se questa destabilizzazione sia in linea con le intenzioni autoriali o la conseguenza di una noia generale per un film che vuole essere troppo ma che in fin dei conti sembrerebbe sortire l'effetto contrario. 
 
Angelo Santini

Jupiter - Il destino dell'universo

Giovedì 05 Febbraio 2015 10:51 Pubblicato in Recensioni
Quanti registi oggi giorno, sono in grado di scrivere un soggetto fantascientifico da zero attingendo al classico, senza tradire il proprio gusto, per portare un messaggio personale al pianeta terra? Domanda che potrebbe sembrare retorica ma che in questo caso sottolinea un'eccezione. I fratelli Lana e Andy Wachowski (famosi creatori di Matrix) ci aprono gli occhi ancora una volta su nuovi mondi, dissetando un panorama arido di idee, che ultimamente attinge sempre da vecchie glorie per rigenerarsi, producendo e dirigendo Jupiter Ascending. 
Jupiter Jones (Mila Kunis)  lavora come donna di servizio, vive con la sua chiassosa famiglia per metà russa e odia la sua vita. Lontano nell'universo, su un pianeta meraviglioso, gli eredi della casata di Abrasax, orfani della matriarca, litigano per l'eredità e  il maggiore e più privilegiato Balem (Eddy Redmayne) non vuole cedere ne al fratello ne alla sorella  la sua preziosa "terra". Pronta (o quasi) per donare i propri ovuli e fare un'po' di soldi facili, Jupiter Jones viene attaccata da alieni mutaforma nella clinica e salvata, o meglio rapita, da Caine Wise (il prestante Channing Tatum) cacciatore di taglie e socio del "veterano" Stinger (Sean Bean). Il salvataggio la porterà decisamente aldilà di ogni umana comprensione in una realtà dove tutti la chiamano "Sua Maestà". Se il filo conduttore di Cloud Atlas (più commovente e spietato) era l'importanza della libertà in ogni sua forma, Jupiter riprende  il tema della verità, quella che, invisibile e poi scoperta, può cambiare per sempre la vita di una singola persona e in questo caso, il destino dell'universo. La scenografia è mozzafiato, spostandoci dalla terra, troviamo palazzi d'oro che somigliano alla Asgard del Thor della Marvel cinematografica, cascate e cupole michelangiolesche, che ricordano il pianeta Naboo nella saga di Star Wars, astronavi eleganti e scomposte nello spazio infinito, i costumi sono dettagliatissimi, raffinati e minuziosi. Quali sono i difetti di questo film? diversi purtroppo. Da appassionata mi rendo conto che sarà di difficile digestione per chi non ama il genere: ha delle sequenze d'azione molto lunghe e caotiche, certi personaggi interessanti avrebbero avuto bisogno di uno spazio più ampio per respirare e nella sceneggiatura ci sono delle debolezze, i  siparietti romantici ad esempio spezzano rovinosamente la continuità degli eventi, la belloccia protagonista è mono espressione pertanto non sembra troppo turbata nel prendere decisioni cruciali e affrettate. Un'ultima nota di demerito (a mio avviso) da imputare al doppiaggio italiano: Eddy Redmayne ha una voce fastidiosissima, capisco la difficoltà di rendere una voce maschile viscida e effeminata ma il ricordo purtroppo va ai nostrani I Soliti Idioti, troppo macchiettistico per risultare efficace, svilendo ogni intento di credibilità.
 
Francesca Tulli