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Anora

Giovedì 07 Novembre 2024 17:45 Pubblicato in Recensioni
Anora” mostra la disintegrazione di un sogno, il fallimento di un desiderio di riscatto sociale quando lo si fa dipendere esclusivamente da un incontro con l’uomo propizio delegando solo all’esterno qualcosa che può essere solo autonomo per funzionare e rimanere duraturo. La felicità e la realizzazione personali completamente delegate ad un uomo poteva accadere nelle pellicole americane degli anni ottanta che riflettevano un retaggio culturale ancora oggi duro a morire in alcuni frangenti ma non può più essere il modello di rappresentazione ancora in auge alle soglie del terzo millennio.   La prima parte del film è una sporca, livida rivisitazione di un film cult del passato perché Anora detta Ani come la Pretty Woman Vivian di un tempo fa lo stesso duro lavoro che è poi anche il più vecchio del mondo.  Vende il suo bellissimo corpo a facoltosi uomini. Non lo fa più per strada ma all’interno di un night club per stimati professionisti in cerca di facili avventure senza inutili complicazioni sentimentali. Il vero motore dei cambiamenti però può essere solo l’amore, quello vero, un sentimento sincero e disinteressato ma in questo caso non si ravvede nessun innamoramento ma un banale e triviale scambio di favori. Anora è in cerca di un miglioramento (come tutti del resto) e se all’inizio è scettica della fortuna che inaspettatamente le corre incontro poi un po' ci crede di avere trovato l’occasione giusta per svoltare. Purtroppo sul suo cammino trova Vanja. E’ solo un ricco rampollo viziato che gioca a fare l’uomo vissuto ma rimane un moccioso che ama starsene inchiodato davanti ai videogiochi e cerca di stupire con i mezzi importanti che derivano solo dall’essere discendente di un oligarca russo potente e sfacciatamente ricco. Ad un certo punto questo impianto viene letteralmente sconvolto dalla volontà dei genitori di riportare tutto all’origine per non destare scandali e vedere la casata cui appartengono infangata e messa alla berlina sulla stampa nazionale dalle intemperanze di un figlio viziato e ingrato.
 
Un film che si prende gioco del sogno romantico e lo fa a pezzi divorandolo in un sol boccone per vomitarlo in faccia allo spettatore. Niente di puro e importante può nascere da pessime intenzioni e l’unico modo per non farsi male è quello di stare con i piedi per terra senza credere che ad un certo punto possa arrivare qualcosa o qualcuno dall’esterno a salvarci senza che noi facciamo nulla per costruire la nostra personale felicità. Anora è una giovane ragazza misteriosa dal passato indefinito che non vorrebbe nulla dagli altri fino a quando una prospettiva diversa le si palesa davanti e sembra facile da raggiungere, senza particolari sforzi. Quando Vanya le fa credere di essere interessato a lei non solo dal punto di vista fisico ma le propone addirittura il matrimonio anche le fantasie più sfrenate sembrano trovare terreno fertile sul quale correre. Il film ha un buon ritmo narrativo e si avvale di un montaggio efficace. La scrittura dei personaggi è ben delineata e l’interpretazione degli stessi, anche dei ruoli minoritari, appaiono impeccabili. Tutto sembra girare alla perfezione fino all’entrata in scena della famiglia del giovane rampollo che viene preceduta dall’irruenza degli scagnozzi e guardaspalle che cercano di riportare con le buone ma anche con le cattive la pecorella smarrita all’ovile e porre fine al matrimonio contratto un po' per gioco e un po' per sfida a Las Vegas ma che avrebbe comunque conseguenze legali oltre a imbarazzanti strascichi di immagine.
 
A questo punto della messa in scena qualcosa si inceppa, il film annaspa, si allunga stiracchiato e diventa ripetitivo, stancante nella dinamica di inseguimenti al giovane fuggitivo che impaurito dall’incombere dei genitori furiosi, come un coniglio braccato, cerca di allontanarsi e far perdere le sue tracce, almeno per qualche tempo sufficiente a far calmare le acque agitate dopo l’ennesimo colpo di testa.
 
Interessanti i punti di vista dei personaggi che mettono in scena uno psicodramma collettivo con le proprie ragioni e le proprie scelte comportamentali, i propri ideali e i propri valori e si ritrovano a gestire situazioni che li fanno riflettere sulla propria misera condizione umana che non può ambire ad un riscatto senza porre in essere anche un ravvedimento operoso interiore.
 
Anora” è in sintesi una favola al contrario o il dissacrante smontaggio della favola per eccellenza quella gran fortunata di “Cenerentola” che al ballo incontra il suo principe azzurro per vivere tutti felici e contenti che ha fatto da sfondo a notti serene prima di addormentarsi per miliardi di bambine in tutto il mondo convincendole, a torto, che bastava essere dotate di una innata elegante bellezza ed essere gentili ed accondiscendenti nei confronti di chi ci porgeva il braccio, se costui fosse stato facoltoso e si sarebbe avverato ogni desiderio.
 
Il denaro però non può comprare tutto e non serve a nulla quando l’obiettivo è la felicità. Per essere felici serve solo l’amore prima di tutto verso se stessi, senza compromessi. Tutto il resto è una scorciatoia che ci fa precipitare nel vuoto.
 
Virna Castiglioni

Thelma

Mercoledì 18 Settembre 2024 17:38 Pubblicato in Recensioni

"Thelma" è una dolce nonna di 93 primavere rimasta vedova ma ancora in grado di badare a sé stessa, nonostante le riserve dei familiari che la vorrebbero controllare anche a distanza attraverso l' utilizzo di un dispositivo elettronico. Un giorno, sola in casa, riceve la telefonata di due truffatori che si fingono prima il nipote vero artefice di un incidente stradale che ha causato il ferimento di una donna incinta e poi del complice che gli intima di depositare in una casella postale ben 10.000 dollari per poter pagare la cauzione e permettere il rilascio del giovane accusato di aver provocato il sinistro. Questo evento vile scatena in un attimo la confusione di Thlema che si precipita in preda ad una forte agitazione all'ufficio postale per inviare il denaro quanto prima e cercare di dare una mano, per quanto è in suo potere. Nel frattempo allerta i familiari che, in breve tempo, si accorgono del raggiro e, pur cercando di rassicurarla, si convincono che la loro parente non può più rimanere in balia di sé stessa senza rischi. Un film che prende spunto da fatti di cronaca sempre più frequenti che interessano persone fragili e vulnerabili e su questi avvenimenti costruisce una brillante commedia sul senso della vita. "Thelma" parla del tempo che scorre inesorabile erodendo affetti che se ne vanno, di malattie che subentrano minando autonomia e indipendenza ma soprattutto rammenta che il vero dramma del secolo nel quale viviamo è rappresentato dalla solitudine che può diventare prigione per chi non può contare su una rete familiare di supporto che possa accompagnare nel difficile passaggio dalla vita attiva a un' esistenza che necessita di sempre maggiore e costante assistenza.

Il film alterna, mantenendo un buon equilibrio fra le parti, momenti esilaranti e situazioni paradossali al limite del credibile con altre decisamente di tono più intimistico e riflessivo. Questa alternanza fra il registro più comico e quello più serio e compìto funziona molto bene nell'economia della pellicola.
La vera nota debole dell' impianto narrativo è la deriva action che dirotta il film su un road movie un po' troppo eccentrico e, per certi versi, fin troppo banale. Le avventure divertenti di Thelma all'inseguimento dei malviventi sono divertenti ma, alla lunga, stancanti.  Nel complesso "Thelma" rimane un film gradevole, spassoso, che diverte ma fa anche riflettere sul senso ultimo della vita, sulla preziosa amicizia di chi sta passando le stesse problematiche e può capire fino in fondo quello che si prova, fornendo un aiuto concreto e non solo di facciata. Il film che pone l' accento sulla condizione degli anziani che spesso costituiscono un peso per la società, un problema da gestire per i figli che non trovano il tempo e le forze sufficienti da dedicare loro. Molto coinvolgente anche la scelta di esplorare il legame speciale che si instaura con il nipote adolescente che si affaccia alla vita con i problemi di una generazione confusa e depauperata del futuro e si relaziona con la senilità profonda e saggia che avrebbe ancora molto da dire e da fare se non si pensasse sempre molto più frequentemente a relegare le persone anziane nelle strutture protette per non avere inutili preoccupazioni. Un film che stilla dolcezza, tenero che ha nella protagonista uno dei suoi maggiori punti di forza. June Squibb è un' attrice formidabile che regge in modo superlativo i bellissimi primi piani che catturano le sue espressioni mettendo in evidenza quel meraviglioso reticolo di rughe che testimoniano il trascorrere di una vita piena che ha elargito gioie, dolori, dispiaceri ma anche tanto stupore e divertimento perché contro il tempo che passa inesorabile si può solo cercare di impiegarlo proficuamente per diventare persone migliori offrendo qualche esempio da condividere per sentirci meno inutili e andarcene con l'animo in pace. Il ritmo del film è ben scandito da un montaggio serrato che mantiene desta l' attenzione insieme ad una colonna sonora che sottolinea con efficacia i momenti più poetici e conferisce risalto alle scene più adrenaliniche. Il cast è ben amalgamato e restituisce sulla scena affiatamento e complicità. Un film riuscito che fa sorridere ma anche riflettere.  
 
Virna Castiglioni

Familia

Mercoledì 02 Ottobre 2024 17:33 Pubblicato in Recensioni
Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo autobiografico “Non sarà sempre così” (edizioni Piemme) di Luigi Celeste, reo confesso dell’assassinio del padre e, per questo reato, condannato a scontare una pena di nove anni di reclusione. La vicenda nota alle cronache rivive sullo schermo grazie a Francesco Costabile, già apprezzato per la sua opera prima “Una femmina” del 2022, regista sensibile e istintivo che confeziona un racconto che, pur mantenendo la sua estrema drammaticità e non togliendo alcuna parte di cieca violenza, riesce comunque a non incupire e a non chiudere completamente a sentimenti di speranza e di riscatto. In questo viaggio nel dolore sceglie un cast di assoluta levatura. Barbara Ronchi è immensa nel ruolo della madre amorevole ma succube di un uomo violento, iroso, affetto da una gelosia malata e ossessiva. In un lavoro costante di sottrazione appare in tutta la sua bravura che risulta estremamente efficace nel restituire le sfaccettature di una donna combattuta tra la costante ricerca di una normalità matrimoniale di moglie e madre e la consapevolezza granitica che non potrà cambiare niente perché di quell’uomo "non ci si potrà mai liberare".  Francesco Di Leva rende al personaggio del padre tutta la forza e l’arroganza di un uomo che condiziona le vite dei suoi congiunti anche in assenza, anche quando è lontano, perfino quando è in carcere come un’animale feroce che segue e cerca il momento propizio per braccare le proprie prede e renderle vittime annientando le loro personalità. Commovente l’interpretazione di Francesco Gheghi (Premio meritatissimo per la Miglior interpretazione all’ 81° Festival del cinema di Venezia dove il film è stato presentato in concorso nella sezione Orizzonti) che opera anche una trasformazione fisica corporea per immedesimarsi in quel ragazzo dall’animo dolce e delicato che diventa forte e aggressivo per riuscire a difendere chi non ha gli strumenti per farlo, assumendo su di sè una croce pesante che lo segnerà per sempre ma lo renderà anche libero regalando la stessa libertà anche ai suoi affetti più cari. Anche gli altri attori comprimari sono estremamente efficaci nel riportare questa vicenda di solitudine e desolante abbandono che costringe ad un epilogo efferato per riuscire ad uscire da un tunnel di sopraffazione e umiliazione perenni.
 
Il film fa rivivere, avvalendosi di inquadrature strette e di molteplici primi piani tutta l’oppressione e il controllo maniacale che vive questa famiglia che cerca di sopravvivere, interpella le istituzioni, si fida delle autorità per avere maggiori tutele, si disintegra e si perde assorbendo giorno dopo giorno un male che come un cancro lavora sotto traccia per poi esplodere con la potenza deflagrante di un ordigno.
 
Il film “Familia” è un costante e calibrato gioco di sguardi. Gli occhi sono l’elemento primario che ci conduce nell’anima recondita dei personaggi.  Lo specchio dei loro pensieri più intimi, dei loro timori, delle lo loro pene e sofferenze. Gli sguardi che si incontrano e dicono più delle parole che il più delle volte sono utilizzate come paravento per schermare un dentro fatto di sopruso e vergogna e un esterno che non deve sapere troppo per non rischiare di aggravare ancora di più la situazione sempre sull’orlo del precipizio.
 
Un film che si fa urgente in una società che ha sempre più spesso rigurgiti di ritorno ad una visione arcaica della famiglia intesa come familia così come si è scelto di intitolare la pellicola nella sua etimologia che ci restituisce un significato anacronistico ma ancora perseguito in alcuni ambienti e in alcuni gruppi sociali. Familia deriva da “famulus “ cioè servo e indicava nell’antica Roma il gruppo di servi e schiavi di cui facevano parte anche figli e moglie di proprietà del pater familias.
 
Francesco Costabile sceglie di non giudicare, facendo parlare il più possibile i fatti per come si sono svolti pur inserendo anche qualche sostanziale differenza, riuscendo però solo in parte nell’intento di non far credere allo spettatore che l’unica via di uscita dalla violenza sia l’utilizzo della stessa. Un film che però interroga per tutta la sua durata soprattutto perché la violenza privata è facilmente esportabile all’esterno se non viene arginata e sconfitta al suo nascere come dimostra l’affiliazione del protagonista ad una banda di neofascisti dove gli stessi stilemi di abusi e di sopraffazione imperversano ma sono, cosa ancora più grave, anche ritenuti legittimi e applicabili a vari contesti.
 
La violenza domestica è una pianta infestante che può essere estirpata solo in sinergia e implica lo sforzo costante di vigilanza e intervento tempestivo da parte di tutti coloro che la osservano e la intercettano.
 
La società tutta è sollecitata per la costruzione di una risposta efficace che riesca a mettere un punto definitivo necessario per una ripartenza ma che primariamente ponga in stato di sicurezza e protezione tutti i soggetti coinvolti preservandoli il più possibile da ulteriori traumi psicologici. 
 
Virna Castiglioni
 

Beyond Alien: H.R. Giger al Mastio della Cittadella di Torino

Venerdì 29 Novembre 2024 17:19 Pubblicato in News

Al Mastio delle Cittadella di Torino, fino al 16 febbraio 2025, si potranno ammirare le opere di H.R. Giger, artista svizzero reso celebre per aver dato i natali allo “xenomorfo” la sua creatura più famosa e iconica che lo ha reso per tutti il papà di “Alien” e che gli ha consentito anche di conquistare il premio Oscar per gli effetti speciali.

Giger non è solo questo ma tanto altro e la mostra ha proprio il duplice intento sia di regalare ai seguaci e agli estimatori della sua complessa arte una raccolta esaustiva della sua produzione ma anche quello di far avvicinare un pubblico più ampio e meno informato affinché possa conoscere nel dettaglio e approfondire il mondo di questo affascinante artista, che ha spaziato in tanti ambiti diversi a partire da quello cinematografico nel quale ha lasciato un segno tangibile e indelebile.  

Una mostra che arriva in Italia a dieci anni esatti dalla sua scomparsa e in una suggestiva location ripropone, suddivise per tematiche, l’apporto multidisciplinare di un Maestro che ha dedicato la sua vita alle sue ossessioni facendole divenire meravigliose opere d’arte.   

Artista poliedrico che ha utilizzato con perizia varie tecniche: aerografo, olio su tela, china su carta e la scultura.

In un percorso che si snoda su più piani siamo condotti all’interno del suo mondo fatto di mostri, incubi, visioni surreali resi in dipinti, sculture e disegni che ripropongono in svariati modi le sue tematiche ricorrenti.

Il sesso come primaria fonte di ispirazione, la complessità e la mostruosità della civiltà post-moderna globalizzata, la religione, la musica, l’occulto, la biomeccanica proprio per il legame indissolubile fra mondo organico e mondo artificiale, la vita e la morte, l’inconscio umano in un caleidoscopico specchio che tutto riflette e tutto distorce.

 

Le opere raccolte a Torino, in un percorso museale curato nei dettagli da Marco Witzig, provengono per la maggior parte dal Museum Hr Giger che si trova a Gruyères da lui stesso aperto e ora diretto da Carmen Giger, vedova del Maestro.

L’artista del mistero e dell’occulto in questa raccolta museale allestita con estrema attenzione riesce nell’intento di raggiungere anche persone non particolarmente appassionate a questa tipologia di arte contemporanea e distanti da questa visione artistica contribuendo a rendere ancora più affascinante questa produzione così particolare e così originale da determinare ancora oggi molteplici influenze su artisti che a lui si ispirano per la loro arte.

 

 

Virna Castiglioni