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Talk to me

Domenica 24 Settembre 2023 15:31 Pubblicato in Recensioni

Cosa fa di una storia inquietante un ottimo esempio di cinema horror? Sicuramente tanti elementi capaci di coesistere e contaminarsi reciprocamente generando un intreccio in cui la suspense e il colpo di scena riescono ad alternarsi in modo equilibrato. Accade molto poco ultimamente, ma ci sono pellicole che possono tracciare una linea definita su quello che si è finora narrato al cinema. La A24 è stata probabilmente una delle poche ad avere puntato gli occhi su autori carismatici ancora poco conosciuti, investendo in modo lungimirante ed acuto in progetti nuovi, vettori di un inedito concetto di cinema horror. Il duo registico composto dai gemelli Philippou è destinato a diventare un punto di riferimento per gli appassionati del genere, riscrivendo con maggiore convinzione ciò che il cinema contemporaneo d’oltreoceano ha tentato di raccontarci in svariati esempi di storie del terrore: il contatto tra terreno ed ultraterreno. Ciò che finora non ha funzionato in molti film è la totale assenza di originalità nella trama, vittima di un intreccio molto scontato che finisce poi per demolire le seppur deboli basi esposte nella premessa. Morale della favola, molti film horror finiscono per somigliarsi l’uno con l’altro senza permettere allo spettatore di entrare nel cuore della storia e di provare pertanto paura. La fretta è antagonista della suspense, e soprattutto è un elemento che poco si concilia con la chiarezza e la credibilità di molti passaggi necessari affinché un horror possa spaventare il pubblico. Detto ciò, con Talk to me siamo di fronte ad un momento chiave della cinematografia del terrore quello in cui si pongono delle basi importanti e differenti dalla visione soprannaturale finora sviluppatasi in tantissime opere minori. Nonostante si ricalchi il terreno del feticcio, mezzo attraverso il quale si apre una porta temporale con l’aldilà, il racconto assume un tono più drammatico e attento alle dinamiche interiori dei personaggi, qui finalmente approfonditi in modo dignitoso. Nel film, la protagonista Mia, ha diciassette anni ed è reduce da una situazione familiare tragica legata al triste suicidio della madre,  da tempo afflitta da una profonda depressione. Una sera come tante, Mia si ritrova a casa di amici senza sapere che quella festa tra coetanei avrà come catalizzatore una seduta spiritica. Quel momento sarà soltanto l’inizio di una lenta ed inesorabile discesa negli inferi, che sfocerà nell’infausto contatto tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Il duo registico dei fratelli  Philippou, australiani e conosciutissimi su youtube per le loro piccole opere d’orrore a puntate, ha da subito attirato l’attenzione della A4 che in precedenza aveva già puntato gli occhi addosso ad autori di un certo carisma e sempre di matrice australiana, vedi la folgorante Jennifer Kent regista di Babadook. Insomma, l’Australia sembra non sbagliare un colpo in fatto di autorialità horror, proponendo idee sempre innovative e mai modellate su quelle statunitensi (che di per sé è già una grande vittoria). Talk to me convince per la volontà di scrollarsi di dosso il solito contorno soprannaturale, fatto di spiriti che gattonano tutti allo stesso modo, frutto di un immaginario che va rivisitato ampiamente. Semina ciò che di buono possiamo apprezzare in un film horror e quindi, ambiguità e profili psicologici più complessi e per questo maggiormente credibili. Certo è che nella sua ambizione a distaccarsi dalla solita storiella disegnata su jump scare e rantoli demoniaci, trascura un po' troppo quello che è lo scopo principale di un film horror: spaventare. Stiamo facendo passi da gigante rispetto a qualche anno fa, ma la strada è ancora lunga.

 

Giada Farrace

 

 

La verita' secondo Maureen K.

Domenica 24 Settembre 2023 15:19 Pubblicato in Recensioni
Una donna al potere, nella società attuale, può rimanere solo se non crea disordine e se non arreca disturbo. Invece Maureen Kearney è tutt’altro che disposta a soprassedere quando scopre un accordo portato avanti in gran segreto da un alto dirigente della compagnia per cui lei riveste il ruolo scomodo di sindacalista. Pur di difendere i posti di lavoro, messi in serio pericolo da decisioni politiche scellerate, cerca in ogni modo di bloccare questo disegno oscuro trascinando la sua stessa vita e quella di chi le sta accanto in un tunnel dal quale uscire diventa sempre più tortuoso e complicato con il passare del tempo.
 
 
Aggredita in casa sua, al mattino quando è sola, viene seviziata e vilipesa. Legata mani e piedi, con la bocca chiusa dal nastro adesivo, con un coltello infilato nelle parti intime e una A, che riporta al nome dell’azienda per la quale lavora, incisa con un coltello sul ventre.
 
Dopo il ritrovamento da parte della collaboratrice domestica seguono vere e proprie umiliazioni inflitte da investigatori che conducono le indagini in maniera poco approfondita ma soprattutto svincolata da condizionamenti e che vedranno imboccare una direzione contraria alla verità dei fatti facendo passare questa donna da vittima a principale indiziata.
 
La giustizia non giusta può essere una macchina che si inceppa, gira a vuoto e alla fine ingrana una pericolosa retromarcia e investe di nuovo chi quella giustizia dovrebbe averla dalla sua parte senza se e senza ma.
 
Il film, dal classico impianto giallistico, si regge quasi totalmente sull’interpretazione perfetta di Isabelle Huppert. Questa attrice navigata incarna, con naturalezza, il personaggio di questa donna forte, risoluta, combattiva ma anche fragile ed esposta, giudicata per i suoi comportamenti poco ortodossi ma anche per il suo passato e per le sue scelte anticonformiste e libere. La sua recitazione è magnetica, gesti, modi di fare, espressioni: tutto studiato nei minimi dettagli e molto efficace per la narrazione.
 
La vicenda così paradossale parrebbe inventata. Invece, il film prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto, raccontato nel libro “La Syndicaliste” di Caroline Michel-Aguirre.
 
La regia, ed è un peccato, non riesce fino in fondo a creare la giusta suspence, non si giunge mai ad un consono livello di tensione, non si è catturati dal procedere degli eventi in modo totalizzante ma anzi il racconto procede in modo alquanto prevedibile e anche il colpo di scena del ribaltamento processuale viene presentato con poca enfasi e si è quasi sollevati per l’interruzione di una linearità presentata in modo troppo scontato.
 
Un film senza particolari guizzi, forse troppo classicheggiante nell’impianto e che si lascia guardare senza quel coinvolgimento completo che una vicenda reale, di tale gravità, avrebbe maggiormente meritato.
 
Virna Castiglioni

Sick of Myself

Domenica 24 Settembre 2023 15:14 Pubblicato in Recensioni
Fino a che punto ci si può spingere per ottenere attenzione ed essere considerati dagli altri come noi vorremmo ma soprattutto come riteniamo sia giusto per la nostra storia e il nostro vissuto? “Sick of myself”, nuovo lungometraggio del regista norvegese Kristoffer Borgli, presentato nella sezione “Un certain Regard” al Festival di Cannes del 2022 affronta questa tematica e lo fa in modo irriverente e politicamente scorretto. Thomas e Signe sono una giovane coppia in cerca della propria strada nel mondo. Per farlo sono disposti a tutto. Signe anche a rimetterci la salute. Attraverso tentativi maldestri, strategie balzane, si arriva sempre ad esiti grotteschi e per nulla edificanti. Il loro imperativo categorico è quello di spingersi sempre oltre e soprattutto cercare di colpire l’attenzione degli altri per avere riconoscimenti e sentirsi vincenti in una società che ha sempre più bisogno di inclusività e di storie forti da gettare in pasto all’opinione pubblica.
 
In una personale e strampalata scala di valori entrambi cercano in tutti i modi di far parlare di sé, non importa con quali e quanti mezzi, soprattutto se illeciti e proibiti dalla morale comune. Il fine giustifica i mezzi sempre e comunque per questa coppia di drogati di consenso. Non importa, quindi, se per avere una casa con complementi d’arredo di designer famosi e più in auge l’unica soluzione sia quella di derubare negozi, allestimenti, eventi ai quali ci si imbuca esclusivamente per compiere queste infantili scorribande. Nello stesso modo ogni mezzo è consentito per appropriarsi di bottiglie costose di vino che verranno poi offerte alla cerchia di amici vantandosi dell’impresa compiuta come se si trattasse di una bella azione di cui andare fieri. Un film che incastra come un puzzle vari generi (body horror, grottesco, drammatico, black comedy) per indagare un tema complesso e sempre più urgente nella società attuale dove la forma sembra aver soppiantato la sostanza e dove basta diventare vittime di qualcosa per ottenere consenso e approvazione.  Un gioco pericoloso che spinge chi non è sano ed equilibrato a percorrere un crinale di deriva morale che non ha freni inibitori e conduce sempre ad esiti infausti.
 
La protagonista, interpretata da una superlativa Kristine Kujath Thorp, muta in continuazione atteggiamento, assecondando gli eventi che si manifestano per trarne vantaggio o semplicemente per evitare che il castello di bugie costruito con meticolosa cura crolli all’improvviso schiacciandola sotto il peso delle sue atroci responsabilità.
 
In una escalation che sembra non aver mai fine si assiste ad un peggioramento fisico voluto, cercato con acribia e nascosto con tenacia il più a lungo possibile. Un atto autolesionistico che non teme le conseguenze perché il fine che si prefigge nella mente disturbata di chi lo pone in atto risulta essere più appetibile della vita stessa, che non sembra degna di essere vissuta se non lo è sotto i riflettori e alla mercè di tutti. Una ricerca spasmodica di successo e visibilità che non è avvalorata dal minimo contenuto.
 
Attraverso la trasformazione fisica della protagonista femminile, resa verosimile da un trucco speciale di pregevole fattura, il regista ci ricorda che non basta cercare di ingannare gli altri per avere un ritorno positivo perché si finisce sempre e solo per ingannare se stessi ottenendo in cambio di sopportarne le conseguenze deleterie per il resto dei propri giorni.
 
Un film che esaspera i toni, dalle dinamiche estreme, assurdo, al limite della credibilità ma che instilla nello spettatore il dubbio che la realtà non sia poi così tanto lontana e basti poco perché questa ricerca affannosa di approvazione costante diventi l’unico scopo di vita e scavalchi sentimenti e progetti fino ad arrivare a mettere a rischio la propria incolumità.
 
Un aspetto che sembra essere centrale all’inizio della pellicola ma che piano piano si eclissa per lasciare posto quasi soltanto alla malattia fisica della protagonista che fagocita tutto il resto è la dinamica di coppia. Avrebbe meritato uno sviluppo maggiore e un approfondimento che invece rimane un po' a latere di tutta la vicenda dando, a tratti, l'impressione che il racconto deragli per la tangente.
 
Virna Castiglioni

Dopo il grande successo dell’anteprima tenutasi il 7 Settembre 2023 presso la multisala UCI Cinemas – Porta di Roma con regista e cast presenti in sala, arriva sul grande schermo Phobia, lungometraggio d’esordio di Antonio Abbate.

Una cena di famiglia, un segreto oscuro, un passato che la rincorre. Per Chiara è giunto il momento di affrontare tutto ciò da cui scappava. In un gioco che confonde ciò che è reale da ciò che non lo è, chi sta nascondendo una terribile verità?

 

Su soggetto e sceneggiatura di Giacomo Ferraiuolo Michele StefanilePhobia vede protagonista la popolarissima Jenny De Nucci, la cui già corposa filmografia include Ancora più bello e Sempre più bello di Claudio NorzaRagazzaccio di Paolo RuffiniPrima di andare via di Massimo Cappelli Lo sposo indeciso di Giorgio Amato, oltre alle serie televisive Un passo dal cielo Don Matteo.

 

La affiancano all’interno del ricco cast Federica de Benedettis (Forever young), Eugenio Papalia (Chi m’ha visto), Beatrice Schiaffino (Do Ut Des), Francesca Romana De Martini (Vallanzasca – Gli angeli del male) e Federico Tocci (Suburra – La serie), con la partecipazione di Antonio Catania (Mediterraneo) in un ruolo dalle sfumature horror decisamente inedito per lui.

Chiara (De Nucci) torna dopo molti anni al casale di famiglia insieme all'amica Michela (Schiaffino). Un oscuro incidente l'aveva spinta ad andare via, ma ora i vecchi rancori sembrano finalmente superati. Durante la notte, però, Michela scompare. Chiara chiede aiuto alla sua famiglia: “Chi è Michela?”, le rispondono. La ragazza aveva cenato con loro, eppure tutti dicono di non averla mai vista, Chiara è l'unica a ricordarsi di lei…

Per la prima volta, dunque, la giovane attrice dai milioni di follower sui social si cimenta in un ruolo nell’ambito del genere thriller, tra suspense e colpi di scena destinati a condurre verso un’inaspettata rivelazione finale all’interno di un’operazione a proposito di cui il regista dichiara: “Nonostante i modelli di riferimento di Phobia siano quelli di un cinema thriller di qualche decennio fa, l’obiettivo del film è declinare il genere attraverso una tematica molto attuale e discussa come quella della salute mentale. Un altro proposito importante era evitare l'archetipo cinematografico della ‘scream queen’ o, più in generale, della donna che deve essere salvata, per rifarsi invece a modelli più moderni e tridimensionali”.

Marco Gaudenzi Pierpaolo Marcelli presentano Phobia, una produzione Undicidue3 distribuita nelle sale cinematografiche da Flat Parioli a partire dal 12 Ottobre 2023.