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Su di un'isola, in uno spazio naturale, sospeso, selvaggio e solitario vive una ragazza altrettanto sola e misteriosa che si arrangia a fare tutto come una piccola Robinson Crusoe. Osserva il mondo da un binocolo rimanendo a distanza di sicurezza, volutamente ai margini, priva della tecnologia che ha invaso e fagocitato le vite di tutti. Mangia quello che trova, cucina con una bombola a gas, si veste di stracci e non ha paura di scorticarsi le gambe mentre esplora il suo territorio, la sua vera casa.
Raccoglie per tutta l'isola i rifiuti che i turisti, senza pensarci troppo, dimenticano o scientemente abbandonano quando hanno finito di servirsene, incuranti di sporcare uno degli ultimi paradisi terresti rimasti sulla Terra. Gira l'isola con un sacco enorme che trascina sulle sue magre spalle, come il guscio della tartaruga e, si preoccupa di recuperare questi oggetti brutti, rotti, spaiati, a volte smembrati dalla forza dei marosi, piegati dalle raffiche di vento, scoloriti dal sole e distrutti dalle mareggiate per dare loro, con amore e dedizione, una nuova seconda vita.
Ha una sorta di laboratorio che assomiglia a un sottomarino spiaggiato dal quale si protegge da occhi indiscreti e, nel contempo custodisce i suoi tesori, come se fosse una galleria d'arte sui generis.
Il film crea un parallelismo con l'infanzia di Arsa che passava le sue giornate nello studio del padre, un artigiano che per lavoro creava statuine souvenir per turisti annoiati che il più delle volte hanno solo voglia di portare con sè un ricordo qualsiasi e non badano molto al bello, al valore artistico, all'unicità del pezzo, anzi finiscono per comprare sempre le stesse cose dappertutto. D'altronde, sempre più spesso, i medesimi oggetti possono essere acquistati identici ad ogni angolo di mondo. Ormai grazie alla globalizzazione il mondo è diventato sempre più piccolo e senza sfumature, piatto, identico ovunque.
Eppure chi è artista nell'animo sa che l'arte va tutelata, rispettata, e se possibile protetta da un mercimonio che la svaluta e la svilisce.
Il processo creativo è sempre scevro, in prima battuta, da un ritorno economico e chi crea ha come obiettivo quello di incantare e stupire il suo pubblico e mai solo di potersi arricchire. Questa dicotomia di intenti è ben rappresentata nel film da un alterco fra il padre che mette anima e corpo nel suo lavoro e un capo interpretato da un sempre convincente Tommaso Ragno, che anche in questo film nonostante una sua fugace apparizione illumina la scena, che invece ribadisce che gli oggetti devono solo sembrare belli e non esserlo per forza.
Il mondo di Arsa sembra tutto racchiuso in un pezzo di cielo su una spiaggia che si getta in un mare che nelle sue profondità custodisce pane e ricchezza, segreti e la vera, autentica, bellezza.
Quando in questa apparente normalità fatta di niente che però assurge a tutto irrompe un gruppetto di tre ragazzi il mondo così piccolo ma sicuro di Arsa va in crisi. La corazza che si è costruita si incrina e sembra poter fare entrare aria fresca, luce nuova ma non sarà ancora pronta per lasciare la fanciullezza e nuotare in mare aperto come l'età adulta impone.
Un film pieno di simbolismi, di spunti di riflessione, che si presta a tante interpretazioni differenti, che mette sul piano tanti temi ma poi non riesce ad esplorarli nella giusta profondità e dimensione. Rimane un'opera interessante ma incompiuta. Gli attori sono eccellenti a partire da Gala Martinucci. Alla sua prima prova attoriale fa intuire un grande talento che, se ben diretto, darà sicuramente i suoi frutti.
Un'occasione di cinema innovativo ma che rimane con un senso di abbozzato che un pò delude e un pò rincuora per il coraggio dimostrato di cercare di fare qualcosa di diverso, sebbene imperfetto.
Virna Castiglioni
Per la sua sesta direzione Angelina Jolie prende in prestito la storia raccontata in un romanzo di Alessandro Baricco del 2002 edito da Rizzoli. "Senza sangue" è l'adattamento cinematografico di un breve testo di appena cinquanta pagine di questo raffinato autore italiano.
La prima lunga sequenza è una sparatoria che uccide quasi tutti i membri di una famiglia. Gli antefatti di questa cruenta azione non sono noti e di conseguenza non si è edotti relativamente al motivo di tanta e tale ferocia.
Solo una bambina sfugge alla furia cieca degli assalitori perché nascosta in una botola.
Dopo questo incipit così veloce e concitato il film rallenta la sua corsa, entra in una dimensione decisamente più intimistica, si fa cinema di sguardi e di dialettica.
La bambina è ormai una donna adulta e si presenta al cospetto di chi allora le aveva salvato la vita, non rivelando agli altri componenti della banda criminale il suo nascondiglio improvvisato.
Da questo punto in poi la regia mette in scena un vero e proprio duello di parole, di alterne argomentazioni, di silenzi, di non detti, di giustificazioni, di ricostruzioni meticolose ma diametralmente opposte di un passato che ha segnato le vite di entrambi i protagonisti.
È un continuo passaggio di testimone tra la verità ristabilita dalla donna e quella invece esposta dall'uomo che, all' epoca dei sanguinosi fatti, era solo un'adolescente, costretto a seguire le direttive dei grandi anche nel torto e nella violenza perpetrata ai danni di persone inermi e forse anche innocenti.
Il racconto è una corda tesa fra due primi piani strettissimi che inchioda lo spettatore a seguire un vero e proprio match, come durante una partita di tennis. La parola si fa arma tagliente, stampella del ricordo e si alimenta di odio e veleno per infliggere la stoccata finale, in attesa della risposta.
Gli attori protagonisti sono efficaci in questo scontro puramente verbale, usano i loro sguardi penetranti, le loro movenze, i loro silenzi come giocatori professionisti di scacchi che riflettono e meditano la mossa prima di presentarla con sicurezza all' avversario.
Si sceglie un finale non cruento come ci si potrebbe aspettare non perseguendo la direzione più ovvia.
Si mantiene una conclusione aperta, lasciando allo spettatore l'onere di stabilire quale potrebbe essere stata la vendetta per colui che ha avuto un moto di pietà e ha disobbedito in forza di una coscienza individuale, permettendo che si arrivasse a questo confronto.
Un film che ha sicuramente un punto di forza nella scrittura dei personaggi e nei dialoghi che riprendono interi passi del romanzo che però avrebbe dovuto cercare una maggiore vicinanza fra un incipit totalmente muscolare e fisico e un secondo tempo troppo cerebrale e psicologico.
Virna Castiglioni
Sequel di "Nella tana dei lupi" vede ancora una volta la stessa fortunata coppia composta da Gerard Butler nei panni del poliziotto Big Nick e l'antagonista O' Shea Jackson Jr. nei panni del bad boy Donnie. Entrambi invecchiati, anche perché nel frattempo tra il primo film e questo sono passati già sette anni. In questo secondo capitolo, lo scenario è decisamente più ampio e la storia cerca di avere un respiro più internazionale. L' azione inizia all' aeroporto di Anversa, poi si sposta al Diamantic Centre di Nizza e si conclude, dopo inseguimenti al cardiopalma, fughe in elicotteri e sparatorie all' ultimo respiro, in Sardegna. Tre locations che vengono rese ancora più interessanti da una bella fotografia e da riprese aeree efficaci, a forte impatto visivo, che coinvolgono lo spettatore e lo lasciano per alcuni istanti senza fiato. Le sequenze dei colpi messi a segno dalla banda criminale, sia quell' iniziale nell' hangar che quello centrale alla borsa dei diamanti, sono girati con una precisione millimetrica riuscendo a restituire molta suspence. Anche lo spettatore ne è coinvolto, sembra anch'esso dover pendere da una corda che oscilla nel vuoto e potrebbe fare fallire il piano da un momento all' altro. Si segue la sequenza con il fiato sospeso. A distrarre chi deve vigilare sulla sicurezza, l'espediente di una partita di calcio importante, che vede tutti incollati allo schermo, come succede anche nella vita reale.
Il film non si discosta nemmeno un po' dai cliché tipici del genere action ma non è propriamente un difetto. Anche senza virtuosismi di sceneggiatura si è comunque rapiti dalla storia e siamo curiosi di capire dove si voglia arrivare soprattutto con l'entrata in scena degli italiani. Purtroppo questi ultimi non brillano e non si fanno ricordare per performances attoriali di alto livello, rimanendo poco più che comparse. Il film gira bene, anche nelle parti più tradizionali, perché la regia è attenta al dettaglio, incastra tutto in modo preciso, non ci sono sbavature. Questa eccessiva apertura finale, prevedibile perché propedeutica ad un terzo capitolo, è fin troppo apparecchiata. Un film che non si può annoverare fra i capolavori del genere ma che conserva una sua dignità resa soprattutto dalle scelte di regia che sanno calibrare i momenti più adrenalinici con quelli di maggiore concentrazione e concatenazione puntuale degli eventi.
Virna Castiglioni
Un vedovo affranto per la scomparsa prematura della moglie ha un incontro al buio con una donna nel suo ristorante che ha un' ubicazione particolare. Si trova all'interno di un cimitero che accoglie speciali tombe tecnologiche progettate affinché i parenti possano continuare a vedere decomporsi il cadavere dei propri cari. Il progetto di questi cimiteri sui generis ha un enorme successo tanto che anche investitori stranieri sono interessati ad esportarne il business nei loro Paesi. Il film ha il suo punto focale e nodale nella figura di Karsh, interpretata con la consueta bravura, da Vincent Cassel. L' attore francese attua su di sé una trasformazione fisica che lo rende molto simile all'aspetto esteriore del regista che, come il personaggio, ha subito il lutto vero dell' amata moglie. Karsh si muove in maniera elegante, con discrezione, senza dare troppo nell'occhio, in un mondo che fa del mistero il suo principale appeal. Attraverso le sue frequentazioni che si mantengono tutte in una cerchia ristretta apprendiamo segreti inconfessabili di un uomo con più di uno scheletro nell'armadio. Ha una cognata, che assomiglia in modo quasi gemellare alla sorella ma ne è diametralmente distante dal punto di vista caratteriale, un ex cognato che è coinvolto nella progettazione del software che consente di rimanere in contatto con i propri defunti attraverso uno schermo che riporta l' evoluzione del corpo inumato e avvolto in un'avveniristico sudario. Una moglie morta, sempre presente anche in assenza, che continua a condizionarlo e a determinare le sue scelte di vita, come se non fosse mai andata via, rimanendo la bussola del suo baricentro.
The shrouds - segreti sepolti ha una trama complessa che necessita della massima attenzione per essere capita e che avanza per piccoli passi, in una dilatazione temporale in cui ci si perde. Quando si crede di aver compreso l' intero disegno ecco sopraggiungere un ulteriore elemento che rimescola le carte e fa ripartire da zero con congetture e probabili spiegazioni.
È tutto molto cervellotico e criptico ma, ad un certo punto, come chi riesce a prendere il bandolo della matassa con un semplice gesto, la materia si sbroglia tutta fino in fondo lasciando scoperta una verità semplice e complessa nello stesso tempo. Coloro che perdiamo continuano ad essere legati a noi stessi da un doppio filo e possiamo solo assecondare questo destino, senza averne paura.
In questo caso una sola immagine riprodotta più volte porta a risolvere l'enigma. Tutto si riconduce all'unica figura importante nella vita dell' uomo, insostituibile, incancellabile, onnipresente ovunque e per sempre, oltre la morte.
Virna Castiglioni