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Ritratti Abusivi

Mercoledì 29 Ottobre 2014 20:53 Pubblicato in Recensioni
Il villaggio Coppola, noto anche con il nome di Pinetamare, è una frazione di Castel Volturno in provincia di Caserta. L’enorme complesso abitativo venne costruito negli anni ’60 con l’obiettivo di valorizzare per fini turistici la bellissima area, a due passi dal mare. Parco Saraceno costituisce solo uno dei quartieri di Pinetamare; una ventina di palazzi in stato di abbandono da più di vent’anni, occupati abusivamente perlopiù da disoccupati e piccoli pregiudicati. 
 
Il regista Romano Montesarchio racconta la trasformazione di Parco Saraceno, da prodotto del boom economico e dello sfavillante sogno americano a città fantasma dimenticata dalle istituzioni, senza però soffermarsi troppo sui moventi sociali e politici che ne hanno decretato la degenerazione. 
Il suo approccio con gli abitanti di Parco Saraceno è distaccato; riprende sempre i personaggi con una certa distanza, evitando di soffermarsi sull'aspetto di illegalità che emerge a sprazzi dai vari racconti, privilegiando il lato umano della vicenda.
 
La denuncia, esclusa intenzionalmente dall’autore, lascia spazio agli sproloqui. A volte un po' troppo qualunquisti, degli abitanti del posto. D’altro canto, l’indagine puramente antropologica, su cui il regista sembra concentrarsi maggiormente, sfocia spesso e volentieri nel dilettantismo. 
A Montesarchio manca infatti quel “cine-occhio” in grado di documentare gli aspetti apparentemente marginali nella quotidianità dei protagonisti e di fruirli coerentemente. Anche quando ci prova, lo spettatore cade sempre di più in un vortice inesorabile di noia, noia fine a se stessa.  
In assenza di tutte queste intenzioni autorali, 
la telecamera non sta mai veramente dentro ciò che accade, come Montesarchio vorrebbe farci credere, ma diventa una cassa di risonanza per amplificare l’imperante narcisismo dei soggetti filmati. 
Quel “fattore umano” di cui parla il regista si riduce a una galleria frammentaria di personaggi estraniati dalla società comune, che si appropria abusivamente del mezzo di ripresa a proprio piacimento. 
Alcuni si atteggiano, altri si autocommiserano. 
Parlano con lo sguardo rivolto in camera, parlano troppo. 
È proprio questo uno dei veri problemi di Ritratti abusivi, si parla troppo e si mostra poco, sacrificando quello che dovrebbe essere il vero protagonista, ovvero l’ambientazione desolata e straniante di Parco Saraceno.  
Il film, con la sua verve omertosa e reazionaria, è un’offesa a quei movimenti che, negli ultimi anni, di lotte per arginare l’emergenza abitativa ne hanno intraprese sul serio. 
Eppure i primi minuti lasciano presagire un’opera promettente, con il montaggio contrappuntistico che sovrappone l’entusiastica voice over dei filmati di repertorio  alle immagini attuali degli edifici diroccati. 
Ma la luce dell’interesse tende a smorzarsi presto.
A produrre è Rai Cinema, in collaborazione con Figli del Bronx di Gaetano Di Vaio, produttore dalla lunga e vivace ex carriera criminale e interprete di Take Five (Guido Lombardi, 2013). 
Ritratti abusivi è stato presentato nel 2013 al Festival internazionale del Film di Roma (Prospettive Doc Italia), che di questi tempi non è proprio un sinonimo di qualità. 
 
Angelo Santini

TRIESTE SCIENCE+FICTION

Mercoledì 08 Ottobre 2014 10:51 Pubblicato in News
La città di Trieste torna ad essere la capitale della fantascienza dal 29 ottobre al 3 novembre 2014 con la quattordicesima edizione del festival “Trieste Science+Fiction”, organizzato da La Cappella Underground.
 
 
Quella di quest’anno sarà davvero una festa del cinema di genere con una rosa di titoli sempre più ricca sia in concorso che fuori concorso.
 
Tra i nuovi titoli annunciati nella selezione ufficiale in Concorso: l’attesissimo Le streghe son tornate (Las brujas de Zugarramurdi/Witching and Bitching) di Álex de la Iglesia,  vincitore di 9 premi Goya (gli Oscar spagnoli), in uscita sugli schermi italiani a novembre; Extraterrestrial firmato dai The Vicious Brother (coppia di registi del pluripremiato horror found-footage ESP – Fenomeni Paranormali), già premiato al Tribeca Film Festival, thriller-horror a sfondo fantascientifico, pieno zeppo di alieni spaventosi e letali; Nuoc 2030 diretto da  Nghiem-Minh e Nguyen-Vo, film vietnamita scelto per inaugurare la sezione Panorama del prestigioso festival di Berlino, disaster-movie le cui premesse sono il riscaldamento globale e il rapido aumento del livello del mare; Robot Overlods di Jon Wrights, primo capitolo di una trilogia dedicata ad un pubblico teen in cui i protagonisti dovranno vedersela contro giganteschi robot provenienti da un’altra galassia, interpretato da Ben Kingsley e Gillian Anderson.
 
Fuori concorso ai titoli già annunciati si aggiungono: Hard to Be a God di Alexey Guerman, opera-fiume di straordinaria complessità visiva e tematica tratto dall’omonimo romanzo dei fratelli Strugatskiy; l’australiano These Final Hours di Zak Hilditch (nelle sale dal 30 ottobre, distribuito dalla Indie Pictures), presentato alla Quinzaine del più recente festival di Cannes, deciso a raccontare l’ultimo giorno sulla Terra, dodici ore prima di un evento catastrofico che concluderà la vita come noi la conosciamo; Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre) di Tobe Hooper, a quarant’anni dalla sua uscita in sala, riproposto per l’occasione in un nuovissimo restauro digitale.
 
Tutte le informazioni consultando www.sciencefictionfestival.org

Dracula Untold Press Conference

Mercoledì 08 Ottobre 2014 10:35 Pubblicato in Full Screen

Dalla conferenza stampa di Dracula Untold, nelle sale italiane dal prossimo 30 ottobre, intervista ai protagonisti Luke Evans e Sarah Gadon. Riprese di Francesca Tulli

Arance e Martello

Mercoledì 08 Ottobre 2014 10:11 Pubblicato in Recensioni
Roma, 2011. In una giornata di metà agosto, nell’estate più calda degli ultimi 150 anni, una radio locale annuncia l’imminente chiusura dello storico mercato rionale di Via Orvieto. Così stabilisce l’ultima ordinanza comunale dell’assessore al commercio Quattordicine, che vuole sostituire il mercato con un parcheggio sotterraneo. I commercianti, terrorizzati dall’idea di perdere il lavoro, bussano alla porta di un altrettanto storico circolo del Partito Democratico per chiedere aiuto e indire un referendum abrogativo contro l’ordinanza. A separare il circolo dal mercato c’è solo il decennale cantiere della metropolitana, così come le promesse mancate continuano a separare la politica dalla gente comune. Manco a dirlo, infatti, gli attivisti democratici non riescono a cavare un ragno dal buco. I commerciati esasperati decidono allora di assediare la sezione. Tra gli ostaggi ci sono un gruppo di giovani democratici, un ex partigiano nostalgico e Diego, ex attivista disilluso che si ritrova a documentare l’occupazione con la sua telecamera. Mentre fuori entra in scena il circo mediatico dei giornalisti marchettari, rapitori e ostaggi insieme cercano goffamente di mandare avanti la rappresaglia. 
Diego Bianchi, in arte e a lavoro “Zoro”, comincia la sua attività di blogger nel 2003, fondando il blog La Z di Zoro. Nel 2007 inaugura la rubrica video Tolleranza Zoro; in cui interpreta un simpatizzante del Partito Democratico in perenne crisi d’identità e svolge resoconti politici attraverso alcune tappe simboliche, cariche di significati emotivi soprattutto per il centrosinistra. Dal 2008 lavora nello staff creativo di Serena Dandini, prima in Parla con me, poi in The show must go off, mentre nel 2013, si ritaglia la figura di conduttore televisivo in un programma tutto suo, Gazebo, in cui alterna la diretta in studio alle sue tipiche video inchieste. Debutta dietro la macchina da presa con Arance e martello, presentato alla Settimana della Critica durante la 71ª Mostra d’arte cinematografica di Venezia.
Il talento dimostrato da Bianchi nella sua rubrica (prima per il web poi per la televisione) è sempre stato nel suo video-occhio, in grado di saper cogliere il qui e ora nel magma brulicante della politica italiana, con poche semplici inquadrature “sporche” della sua handycam e un montaggio associativo capace di dinamizzare la visione dell’utente. 
Dal momento in cui il qui e ora viene meno nella rappresentazione cinematografica, in favore di una costruzione a tavolino della mise en scène, quel video-occhio perde la genuinità dimostrata più volte in televisione e sul web. Ennesima prova dell’inconciliabilità fra il linguaggio cinematografico e quello dell’inchiesta televisiva, poiché anche quando si intende raccontare la realtà in un film a soggetto, si deve necessariamente fare i conti con i codici di una messa in scena artificiosa. Bianchi regista, infatti, si trova il più delle volte spaesato e non sa letteralmente dove piazzare la macchina da presa. L’alternarsi al montaggio tra la messa in scena canonica e le riprese brute della telecamera del protagonista sono un modo per confermare il proprio format e la speranza di conferire un ritmo alla piattezza della costruzione. 
Eppure non ci troviamo di fronte al tipico caso in cui la figura del personaggio televisivo di successo viene esportata sul grande schermo da un mecenate senza scrupoli nel nome del vile denaro. Anche se il film conserva alcuni tratti caratteristici di Gazebo sarebbe sbagliato paragonarlo necessariamente a operazioni aberranti come quella dei Soliti Idioti (per dirne una). Tutt’altro, Zoro disegna con affetto e sincerità quel mondo popolare e le macchiette che ne fanno parte. Inoltre, detiene un controllo quasi totale sulla realizzazione del film; scrive, dirige, interpreta e collabora al montaggio insieme ad Alessandro Pantano. Forse è proprio questo il problema; per un debuttante senza particolare formazione e coscienza cinematografica, sostenere da solo un tal numero di competenze non può portare ad altro che a un’opera acerba. Su questo punto Bianchi mette le mani avanti nel monologo a favore camera in cui tenta di esorcizzare preventivamente ogni accusa di narcisismo. Non resta altro da fare quindi che aggrapparsi a modelli di culto già belli che rodati, come si può notare dai continui omaggi a Spike Lee, in particolare a Fa la cosa giusta, proiettato anche durante l’occupazione. 
A fare le spese di questa inadeguatezza formale sono proprio i personaggi stessi; nostalgici, progressisti, ipocriti, qualunquisti, veltroniani, laziali, romanisti, tutti parte di un microcosmo in cui sono ammassate le diverse “correnti” degli ultimi vent’anni di storia italiana. Dal reduce democristiano (Andrea Salerno) che vota a favore della chiusura del mercato (perché “cosa c’è di più moderato, cattolico e riformista di un bel parcheggio sotterraneo”) all’ex partigiano nostalgico di una lotta che non esiste più, dall’indiano venditore di aglio al Sindaco ex picchiatore (Giorgio Tirabassi), che mostra ottuso riguardo per le marachelle dei fascisti del terzo millennio (ogni riferimento a Gianni Alemanno non è puramente casuale), dal comunista represso all’ambientalista in fissa per il macrobiotico. 
La convivenza di realtà così frammentarie non può che finire in caciara; la sezione viene distrutta dall’irruzione delle guardie, insieme alle reliquie delle incontrastabili icone di sinistra (da Guevara a D’Alema, passando per Togliatti, Berlinguer e Occhetto). Uccidi i tuoi padri prima che loro uccidano te, diceva qualcuno. 
L’ennesima analisi della sconfitta da parte della sinistra italiana, che nell’ultimo ventennio ha perso di vista la salvaguardia delle classi subalterne, innalzandosi su un piedistallo di narcisismo etico, in favore di lotte utopiche per salvare il mondo dal male del berlusconismo. Ma come può la sinistra salvare il mondo dall’ignoranza generata dal berlusconismo se non intende prima di tutto confrontarsi con essa? È questo il paradosso che Bianchi vuole mettere in luce con il suo film, quello di una sinistra che vuole salvare il mondo ma che non riesce nemmeno a pisciare senza bagnarsi i pantaloni, ed è anche lo stimolo che lo ha spinto nella sue precedenti video inchieste, (auto)ironici ritratti di una politica estraniata nell’Olimpo dei buoni propositi.
Con estremo rammarico dello spettatore però, il film non risulta qualitativamente all’altezza di Gazebo, uno dei pochi fari nel desolante panorama della televisione generalista. 
Nonostante questo, si ride molto, grazie all’assortita galleria di personaggi e alle loro vere e proprie perle nazionalpopolari.
 
Angelo Santini